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Cina: quando il controllo sociale riscrive la famiglia

beppegrillo.it - Maggio 12, 2025

Dopo il trauma collettivo della Rivoluzione Culturale, Deng Xiaoping, leader della Cina post-maoista, era determinato a evitare che la Cina venisse travolta da una nuova ondata di radicalizzazione giovanile. La sua preoccupazione non era solo demografica, ma profondamente politica. Aveva visto con i propri occhi dove poteva portare un eccesso di giovani senza guida e senza prospettive; durante le proteste, suo figlio fu aggredito e gettato da una finestra, rimanendo paralizzato a vita. Episodi come questo contribuirono a rafforzare in Deng la convinzione che servisse prevenire alla radice nuovi focolai di caos sociale. Fu così che prese forma una delle decisioni più controverse della storia contemporanea cinese: la politica del figlio unico. Razionalizzando l’istruzione e facendo spazio a un nuovo tipo di cittadino, produttivo, silenzioso, tecnico.

Accanto alla limitazione demografica, infatti, la Cina avviò una ristrutturazione profonda del sistema educativo. L’obiettivo non era solo formare lavoratori, ma “trasformare i giovani da soggetti potenzialmente pericolosi in elementi produttivi”. L’università cinese fu ripulita da ogni residuo ideologico e riempita di facoltà tecnico-scientifiche. Ingegneria, chimica, fisica, matematica applicata. Oggi, i numeri parlano chiaro: la Cina ha una percentuale di laureati in discipline STEM superiore a quella degli Stati Uniti e dell’India. Ma il vero punto di forza è che si tratta, in larga parte, di persone “private di ogni forma di radicalizzazione”. Non si pongono grandi domande, non contestano, non chiedono troppo, lavorano.

Questo modello ha reso la Cina la fabbrica del mondo, ha attratto le multinazionali in cerca di manodopera specializzata e disciplinata. Ha sollevato milioni di persone dalla povertà, ma ha anche generato effetti collaterali profondi. Il primo, e forse più grave, è la trasformazione della famiglia.

I figli unici, chiamati in Cina xiaohuangdi, piccoli imperatori, sono cresciuti al centro dell’universo familiare, coccolati, responsabilizzati, investiti di tutte le aspettative, ma ora, adulti, si trovano a dover gestire da soli l’intero carico assistenziale di genitori e nonni. “Studenti di una sola famiglia, nipoti di quattro nonni, futuri genitori di un solo figlio.” Una catena di cura in cui ogni anello si regge su una sola persona.

Nelle città, la pressione è diventata evidente. A Nanchino, per esempio, i tribunali sono oberati da cause intentate da genitori anziani contro figli che non li assistono. Si parla apertamente di “negligenza affettiva ed economica”. Alcuni funzionari del Partito sono stati accusati di usare le proprie posizioni per minimizzare le condanne, ma il trend è in crescita. In molte zone, i comitati locali pubblicano gli elenchi delle famiglie “colpevoli”, nella speranza che la vergogna sociale funzioni più delle leggi. Non è raro leggere di figli che, per non occuparsi dei genitori, dichiarano di non avere risorse o tempo, spesso a causa della distanza o degli impegni lavorativi. Tuttavia, in alcuni distretti, la legge impone un obbligo: visitare i genitori almeno ogni due settimane, pena una sanzione. È un tentativo estremo per contenere l’erosione di un legame che, per millenni, ha tenuto unita la società cinese.

Ancora più drammatica è la situazione nelle campagne. Milioni di giovani sono emigrati verso le città, lasciando i genitori soli nei villaggi. La solitudine degli anziani è diventata una vera emergenza sanitaria. Secondo l’Accademia delle Scienze Sociali, il tasso di suicidi tra gli ultra-sessantenni nelle aree rurali è più del doppio rispetto alla media nazionale. Molti anziani, esclusi dalla modernità, vivono in silenzio e in povertà, spesso senza alcun contatto regolare con i figli.

In tutto questo, emerge un dettaglio non secondario: “le figlie femmine, in media, si dimostrano più disponibili dei maschi.” È una costante osservata in tutta l’Asia orientale. Le donne sono considerate più affidabili, più affettuose, più disposte a gestire le fragilità dei genitori. I figli maschi, al contrario, sembrano più distaccati, e spesso delegano, consapevolmente o meno, la cura a mogli e sorelle. Molte coppie cinesi, oggi, dichiarano apertamente di preferire una figlia femmina. Perché sono loro, le figlie, a rispondere al telefono, a mandare soldi, a tornare a casa. Nelle famiglie dove sono presenti entrambi i sessi, la differenza è evidente. E questa inversione rispetto alla cultura tradizionale, che per secoli ha privilegiato i figli maschi, segna un cambiamento profondo nei rapporti intergenerazionali.

La Cina si trova oggi a fare i conti con una popolazione che invecchia in fretta e un equilibrio sociale sempre più fragile. La politica del figlio unico, anche se superata, continua a produrre i suoi effetti: ha accelerato lo sviluppo economico, ma al prezzo di un isolamento crescente, ha garantito controllo ma ha indebolito i legami su cui si fondava la solidarietà familiare.

Ora che il paese si affaccia su una nuova fase della sua storia, dovrà non solo crescere, ma ricucire ciò che è stato sacrificato.

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