di Gianluca Ferrara – La guerra in Ucraina è soltanto un pezzo di un puzzle molto più ampio e complesso. Un puzzle che si sta disgregando. Nell’inconsapevolezza generale ci troviamo in un bivio storico di estrema delicatezza in cui si sono incrociati due fattori potenzialmente esplosivi. Il primo è di ordine geopolitico: l’attuale sistema internazionale unipolare a guida Usa costituitosi dopo la caduta del muro di Berlino 1989 e poi con l’implosione dell’Urss del 1991, è destinato a una trasformazione. Come argomentato nel mio ultimo libro di recente pubblicazione, nei prossimi anni ci sarà inevitabilmente una Resa dei conti tra chi ambisce a mantenere il vigente ordine costituito e nuovi attori internazionali come Brasile, Sud Africa, India, Russia ma soprattutto la Cina. Ci attende un mutamento epocale dove tutto può accadere, compreso una guerra nucleare che ci porterebbe sul baratro dell’estinzione. Il punto di rottura o d’incontro che stabilirà il futuro delle relazioni internazionali sarà determinato dall’accettazione o meno da parte degli Usa di un sistema multipolare e non più unipolare. Gli Stati Uniti accetteranno di cedere lo scettro di unica potenza dominante? Analizzando la loro politica estera dal dopoguerra ad oggi, temo che difficilmente rinunceranno a parte dei controlli marittimi su cui oggi, in ogni quadrante, hanno un dominio assoluto.
Una seconda ragione, ancora più profonda, è che il modello di sviluppo cominciato con la Rivoluzione Industriale è diventato talmente insostenibile da stravolgere l’equilibrio ambientale del nostro pianeta. Gli scienziati avvertono che, se continuiamo a gettare nell’atmosfera gas climalteranti, le temperature in questo secolo potrebbero aumentare fino a sei gradi e la scelta non sarà tra il condizionatore acceso o spento, ma sarà il rischio d’estinzione. Come sostenne Kenneth Boulding: “Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista” e Boulding era un economista. Nel 2050 la popolazione mondiale arriverà a contare 10 miliardi di esseri umani e ipotizzare di estendere a tutti tale modello di sviluppo predatorio è tecnicamente impossibile. Serve un cambio di paradigma con una crescita selettiva e soprattutto una nuova visione.
La guerra in Ucraina è altresì un interessante “laboratorio sociologico” perché ha fatto emergere degli aspetti su cui sarebbe opportuno soffermare l’attenzione. Le democrazie in Occidente sono in crisi. Come è noto, democrazia è un termine di origini greche composto da due sostantivi Kratos (potere), Demos (popolo). In realtà il potere non appartiene al popolo perché chi lo dovrebbe rappresentare, si limita a recitare un copione scritto da potentati economico finanziari. Chi non segue questo copione e va a braccio, viene estromesso. I cittadini percepiscono questo corto circuito e sempre meno vanno a votare. Nel 1961, il presidente Usa Dwight Eisenhower, nel suo discorso di congedo alla nazione, ci aveva avvertito sostenendo che il crescente peso del complesso militare industriale, per la sua disastrosa influenza progressiva, avrebbe minacciato la libertà dei processi democratici. Eppure, Eisenhower era un ex generale.
Altro grave aspetto emerso platealmente con questa guerra è la mancanza di indipendenza, libertà e dignità dei principali mass media italiani. Chi ha tentato di sviluppare un’analisi più complessa o suggerito di percorrere la strada della diplomazia rispetto a quella dell’invio d’armi, è stato tacciato in maniera puerile di essere filo putiniano e antiamericano.
Infine, si è espressa una sudditanza nei confronti degli Stati Uniti a tratti al limite del fanatismo. Si è giunti a minare l’accordo commerciale con la Cina sulle Nuove vie della seta che rappresenta un’occasione epocale per le nostre esportazioni. Come può un governo sabotare le proprie imprese per accontentare le richieste altrui?
Ottanta anni fa gli Usa sono stati determinanti per liberarci dal nazifascismo; tuttavia, si dovrebbe avere un minimo di sovranità e dignità. Come fu fatto durante i drammatici giorni del Covid, sarebbe opportuno partecipare a certi consessi avendo una postura eretta, guardando negli occhi gli interlocutori. L’Italia è un grande Paese e serve, oggi più che mai, una politica forte, coraggiosa che abbia una prospettiva in grado di affrontare le colossali sfide che ci attendono.
L’AUTORE
Gianluca Ferrara, laureato in Scienze Politiche, è direttore editoriale di GFE e fondatore delle case editrici Creativa e Dissensi Edizioni. Ha scritto diversi saggi introdotti da Vandana Shiva, Paul Connett, Beppe Grillo, don Andrea Gallo e Ferdinando Imposimato. Ha collaborato con riviste e quotidiani nazionali ed è blogger de Il Fatto Quotidiano. Nella XVIII legislatura è stato eletto senatore della Repubblica e ha svolto il ruolo di Capogruppo in Commissioni Esteri e Vicepresidente a palazzo Madama per il Movimento 5 Stelle. È stato membro dell’Osce (Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa) e del Consiglio d’Europa. È socio fondatore dell’Associazione di Promozione Sociale “Il Bene fa bene” ed è consulente della Camera dei deputati. Il suo ultimo libro è “La Resa dei Conti”, acquistabile qui.