
Immaginate di iniziare una partita a Monopoli con il doppio dei soldi degli altri, due tiri di dado per turno e la possibilità di comprare più proprietà fin da subito. Dopo pochi giri, probabilmente vincerete ma penserete di aver vinto perché siete stati più bravi o perché avete avuto un vantaggio? Questa non è una provocazione, è un esperimento scientifico reale che racconta molto del mondo in cui viviamo oggi, dove le disuguaglianze economiche crescono, ma vengono giustificate in nome del merito.
Lo psicologo sociale Paul Piff, dell’Università della California, ha modificato le regole del Monopoli per studiare gli effetti psicologici del privilegio. Due giocatori si sfidavano ma uno dei due partiva con un evidente vantaggio: più denaro iniziale, la possibilità di tirare due dadi a ogni turno, ricompense economiche maggiori ogni volta che passava dal “Via” e il diritto di cominciare per primo. Il tutto veniva deciso da una finta estrazione a sorte. Nel giro di pochi minuti, i comportamenti cambiavano radicalmente. Il giocatore privilegiato (ricco) diventava più sicuro, più rumoroso, faceva gesti teatrali con le pedine, parlava di più, rideva in modo sarcastico, e soprattutto, finiva per credere di aver meritato la vittoria. L’altro giocatore (povero), svantaggiato, si faceva più silenzioso, più rigido e rassegnato. Nonostante le regole truccate, chi era avvantaggiato finiva per dimenticare di esserlo stato. L’esperimento è stato ripetuto più volte con risultati costanti. I giocatori privilegiati tendevano a diventare più dominanti e assertivi, muovevano le pedine con forza, spesso sbattendole sul tabellone, e occupavano fisicamente più spazio, allargando le braccia e assumendo posture espansive. Alcuni arrivavano persino a muovere le pedine degli avversari, sottolineando la propria superiorità. Durante il gioco, manifestavano comportamenti più arroganti, vantandosi dei propri successi e minimizzando le difficoltà dell’altro giocatore. Ridevano in modo sarcastico, facevano commenti sprezzanti, diventavano visibilmente più entusiasti e compiaciuti. Alla fine della partita, quando veniva chiesto loro di riflettere sul motivo della vittoria, raramente riconoscevano il vantaggio arbitrario. Anzi, tendevano a giustificare il risultato come frutto di talento personale, strategia o esperienza. È questa razionalizzazione del privilegio che rivela il lato più pericoloso dell’esperimento: la convinzione che l’ingiustizia sia giusta, se favorisce chi la subisce positivamente.
Il privilegio, dunque, anche quando è assegnato arbitrariamente, influenza profondamente la percezione della realtà. È una lezione potente per la nostra società. Secondo Oxfam, nel 2024 i cinque uomini più ricchi del pianeta hanno raddoppiato il proprio patrimonio rispetto al 2020, mentre quasi 5 miliardi di persone si sono impoverite o hanno visto peggiorare le proprie condizioni. Il 10% più ricco della popolazione mondiale possiede oltre il 76% della ricchezza globale, mentre la metà più povera si deve accontentare del 2%. In Italia, i 10 miliardari più ricchi detengono un patrimonio superiore a quello complessivo del 30% più povero del Paese.
Eppure, la narrazione che va per la maggiore parla di merito, di sacrificio e di intelligenza individuale. Il successo viene celebrato come conquista personale, anche quando le condizioni iniziali erano già spudoratamente favorevoli. La psicologia ci dice che questa è una tendenza naturale; chi è in posizione dominante tende a vedere il proprio privilegio come giustificato, a ridurre l’empatia verso chi sta peggio, a non vedere i meccanismi che generano e perpetuano la disuguaglianza.
Monopoli nacque negli anni Trenta con l’intento di denunciare le storture del capitalismo, ma paradossalmente è diventato uno strumento per celebrarlo. E oggi, torna utile alla scienza per dimostrare quanto il sistema sia truccato. La realtà, come nel gioco, è che non tutti tirano i dadi con le stesse regole. E che la vera sfida non è solo redistribuire la ricchezza, ma anche smontare l’illusione che chi sta sopra ci sia arrivato sempre e solo per merito.