Il 28 maggio 2025 una parte consistente del ghiacciaio Birch si è staccata dalla montagna e ha travolto il villaggio di Blatten, in Svizzera. La massa di ghiaccio, fango e detriti ha causato danni ingenti alle abitazioni, interrotto vie di comunicazione e ostruito il corso del fiume Lonza, creando un bacino artificiale che resta sotto osservazione per il rischio di esondazione. Le autorità svizzere avevano disposto evacuazioni preventive nei giorni precedenti, scongiurando una strage. Al momento si segnala una persona dispersa.
Secondo i glaciologi della ETH Zürich, già dal 14 maggio si erano registrati movimenti anomali e segnali di instabilità nel ghiacciaio. La causa scatenante un accumulo di detriti e roccia piombati dal monte Kleines Nesthorn, che hanno sovraccaricato un corpo glaciale già minato nella sua struttura profonda da decenni di aumento delle temperature. In parole povere, il permafrost si sta sciogliendo e i ghiacciai non sono più colonne portanti ma impalcature marcite.
I ricercatori sottolineano che episodi come questo sono destinati a diventare più frequenti con il progredire del riscaldamento globale. Il caso di Blatten rappresenta un esempio concreto di come la crisi climatica non sia più un tema astratto o proiettato nel futuro, ma una realtà materiale che coinvolge la sicurezza delle comunità alpine.
Sempre dalla ETH Zürich arriva un altro studio, pubblicato sulla rivista Science, che quantifica in modo preciso le conseguenze del riscaldamento globale sui ghiacciai di montagna. Limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5 gradi rispetto all’era preindustriale permetterebbe di salvare oltre la metà della massa glaciale non polare, pari al 54 per cento. Se invece si raggiungessero i 2,7 gradi, come previsto dallo scenario attuale, si salverebbe soltanto il 24 per cento. Anche con un aumento contenuto a 1,2 gradi, la perdita prevista è del 39 per cento rispetto al 2020. Ogni decimo di grado in più comporta una perdita ulteriore di circa il 2 per cento della massa glaciale mondiale.
Secondo i dati più aggiornati, tra il 2000 e il 2023 i ghiacciai del pianeta hanno perso complessivamente 6.542 miliardi di tonnellate di ghiaccio, contribuendo a un innalzamento del livello del mare di circa 18 millimetri. La perdita annua attuale è di 273 miliardi di tonnellate, un volume equivalente al fabbisogno idrico dell’intera popolazione mondiale per 30 anni. Le Alpi si stanno riscaldando a una velocità doppia rispetto alla media globale. Dal 2003 al 2015 si è registrata una perdita media di 25 chilometri quadrati di ghiaccio all’anno, e nell’estate del 2022 si è toccato un nuovo minimo, con la scomparsa di 5 chilometri cubi in una sola stagione. Entro il 2050, si stima che le Alpi italiane perderanno quasi la metà della loro superficie glaciale attuale. Il ghiacciaio dell’Adamello potrebbe ridursi del 40 per cento già entro metà secolo.
Anche i ghiacciai dell’Himalaya si stanno sciogliendo con velocità crescente. Tra il 2011 e il 2020 la loro velocità di ritiro è aumentata del 65 per cento rispetto al decennio precedente, con conseguenze potenzialmente gravi per quasi due miliardi di persone che dipendono dai grandi fiumi dell’Asia meridionale e orientale.
Il 2025 è stato dichiarato “Anno Internazionale della Conservazione dei Ghiacciai dalle Nazioni Unite”, per richiamare l’attenzione globale su questi fenomeni. La fusione dei ghiacci non provoca solo l’innalzamento dei mari, ma altera il ciclo dell’acqua, aumenta il rischio idrogeologico e mette in pericolo interi territori.
Il caso di Blatten si inserisce in un quadro più ampio di eventi estremi e cambiamenti accelerati, che richiedono politiche climatiche più incisive e interventi strutturali immediati. Non si tratta più di prevenire un pericolo lontano ma di affrontare un’emergenza presente.
Il futuro, è già scritto nell’acqua che ci cade addosso.





