di Gianni Pietro Girotto – L’aumento del prezzo dell’energia è una questione con cui avremo a che fare ancora per molti mesi, con conseguenze economiche molto preoccupanti, sia per il rischio di aumento dell’inflazione sia per il pericolo di un rallentamento, o addirittura interruzione, della ripresa economica.
Tale situazione ha coinvolto tutti gli Stati membri, anche quelli più nuclearisti, legati comunque alle stesse regole di formazione dei prezzi sui mercati nazionali e internazionali e alle stesse dinamiche di approvvigionamento delle risorse. Il nostro Governo ha già dato alcune risposte nel recente decreto ora in esame per la conversione qui al Senato, intervenendo tramite sussidi sulle bollette. Ma una politica di sussidi non può essere la soluzione. Mettere “pezze”, mi si passi l’espressione, è doveroso per carità, ma non risolve il problema nel medio-lungo periodo. Solo attraverso azioni strutturali sul mercato dell’energia in ambito europeo e nazionale il problema potrà essere risolto.
Di sicuro la confusione alimentata dai media nazionali su quali fossero le ragioni di questo aumento non ha aiutato a inquadrarne fin da subito le reali cause. Si sono dovuti “scomodare” la Presidente della Commissione europea, von der Leyen, e il Vicepresidente esecutivo della commissione europea e responsabile dell’European Green Deal, Timmermans, per fare chiarezza sull’argomento e ribadire che l’unica alternativa possibile sono le rinnovabili e l’efficienza energetica. Questa è la posizione europea!
Lo dimostra la “tempesta perfetta” in corso: un forte aumento dei prezzi del gas che si è verificato negli ultimi mesi in Italia e in Europa per la combinazione di situazioni strutturali e congiunturali, che verosimilmente rischiano di perdurare. Il sistema energetico nazionale e quello europeo, fortemente dipendenti dal gas, pur disponendo di un sistema di infrastrutture diversificato e resiliente, non ha potuto sottrarsi alle dinamiche degli aumenti di prezzo.
Veniamo alle proposte. Qualcuno suggerisce di ri-tornare alle produzioni nazionali, cioè aumentare le trivellazioni su suoli e mari italiani, per avere gas e petrolio “a buon mercato”. Ma sarebbero estratti da operatori privati e prezzati sempre sui mercati internazionali, rimanendo quindi legati alle attuali dinamiche di prezzo, che non controlliamo. Dubito fortemente, poi, che tali operatori privati siano disponibili a effettuare nuovi, costosi investimenti senza avere certezza dei ritorni economici. Ricordiamoci infatti che il settore fossile è fortemente “cost-intensive” e gli investimenti di solito hanno bisogno di diversi anni prima di essere ammortizzati. Invece, il quadro politico nazionale, a seguito anche dei relativi referendum, si sta predisponendo ad un forte “giro di vite” in senso restrittivo. Basta leggere la “Proposta di PITESAI” che dispone un restringimento delle aree marine trivellabili e il divieto per nuovi pozzi di petrolio in terraferma, con forti limitazioni anche sul gas.
Nella sua recente comunicazione sui prezzi dell’energia, la Commissione europea propone di sostenere imprese e consumatori, soprattutto quelli che si trovano in condizioni di povertà energetica, ma soprattutto di rafforzare la nostra indipendenza energetica tramite la c.d. “transizione” all’energia pulita, il modo migliore secondo la Commissione UE per scongiurare altri shock futuri. Per questo deve essere accelerata, in linea con gli impegni internazionali sul clima e l’energia.
In egual modo la pensa la International Energy Agency (IEA), in passato prudentemente pro-fossile, che ora invece nel suo ultimo recentissimo rapporto afferma con totale assolutezza che non ci dovranno essere ulteriori investimenti in fonti fossili.
Si tratta di proposte e posizioni che come M5S condividiamo appieno.
Il processo di transizione energetica deve essere rapido per un semplice motivo: è economicamente conveniente, e in esso le rinnovabili e l’efficienza energetica hanno il ruolo chiave. Prima lo facciamo, più risparmiamo quindi più guadagniamo. Il primo a dirlo fu Nicholas Stern, nel 2007, ben 14 anni fa, ma ormai sono tanti gli studi autorevoli che ribaltano la narrativa del “costi maggiori dei benefici” per la transizione e parlano di risparmi netti di migliaia di miliardi di dollari, rispetto a un sistema basato sui combustibili fossili (uno degli ultimi quello pubblicato un mese fa dall’Institute of New Economic Thinking dell’Università di Oxford).
Sostenere le rinnovabili e investire su strumenti quali le Comunità Energetiche e il Superbonus è dunque la chiave per ridurre in modo strutturale i costi energetici e calmierare gli effetti della crisi in atto. Significa passare a un modello rinnovabile, decentrato, efficiente, molto più resiliente e legato a dinamiche economiche non rischiose.
I numeri lo dimostrano.
Dal GSE sappiamo che le oltre 750mila famiglie/utenze domestiche che nel nostro Paese hanno realizzato un impianto fotovoltaico in autoconsumo hanno evitato per un terzo l’aumento del costo dell’energia (poiché in parte usano la loro energia autoprodotta). Vantaggi simili ci sono stati anche per le quasi 110mila imprese che hanno realizzato un impianto a fonte rinnovabile. A ciò si aggiungono i risultati, in termini di risparmi e mancati approvvigionamenti energetici, conseguiti grazie agli interventi di efficientamento, spinti anche dal Superbonus. Una fotografia, quella scattata dal GSE, che ci dimostra come questi interventi abbiano saputo mitigare gli aumenti recenti.
Implementare il modello dell’autoconsumo dell’energia rinnovabile sposta i risparmi/guadagni ai cittadini, alle imprese e alle autorità locali, e questo si può fare attraverso la costituzione di Comunità energetiche da loro stessi gestite. Così come crediamo riteniamo, poi, di fondamentale importanza prorogare l’applicazione del Superbonus anche alle unifamiliari. Strumenti che vanno sostenuti anche per rafforzare la filiera tecnologico-produttiva nazionale e offrire al sistema economico un importante valore aggiunto, scongiurando il rischio di crisi.
Inoltre, per superare l’attuale modello energetico, fossile, inquinante e centralizzato, che pochi ma grossi vogliono conservare, occorre garantire la reale partecipazione e corretta concorrenza tra le diverse tecnologie che operano nel mercato elettrico. Ad oggi tale condizione non è ancora pienamente realizzata, poichè la mancanza di determinate norme tecniche rende di fatto tale mercato ancora pro fossile. Su tale fronte il M5S si sta muovendo da tempo, entrando in una serie di capitoli tecnici che qui per semplicità non menzioniamo, ma chi volesse può trovare nella Risoluzione recentemente approvata in Commissione Industria al senato.
Altra soluzione che la maggior parte degli esperti indicano, per accelerare lo sviluppo delle fonti rinnovabili, è quella di creare un quadro regolatorio che non ostacoli la stesura di “contratti a termine”, tramite i quali produttori di energia rinnovabile e clienti possano stabilire un rapporto di compravendita appunto di lungo periodo, a condizioni di reciproca soddisfazione, con i clienti che in tal modo si mettono al riparo da eventuali fluttuazioni dei prezzi nei mercati.
Si tratta di soluzioni reali, concrete e a portata di mano, che abbracciano una visione che, se perseguita, porterà a un miglioramento strutturali non solo del mercato delle energie.
Chiediamo al Presidente Draghi e al Governo che sui tavoli decisionali, europei e non, sostengano e implementino un modello energetico rinnovabile, efficiente, decentrato e spinto il più possibile verso l’elettrificazione dei consumi. Questo va fatto anche tramite le politiche fiscali, partendo dalla indispensabile definizione di una tassonomia verde che escluda il nucleare e il gas. E proprio nel dibattito sulla tassonomia verde europea, stiamo ancora aspettando che il MEF decida quale posizione prendere, e dopo le dichiarazioni di ieri della von der Leyen riguardo al ruolo del nucleare, non è più possibile attendere.
Il nostro nuovo premio Nobel, Giorgio Parisi, ha detto che l’azione dei governi per combattere i cambiamenti climatici è stata finora “non all’altezza della sfida”, che la politica sta facendo poco. La miglior risposta è dimostrare che c’è la volontà di fare. Ci vorrebbe, mi permetto di citarlo, un nuovo Enrico Mattei, un Uomo in grado di “fare”, così come nella storia italiana ne abbiamo avuti tanti, che ha rischiato tutto, persino quello che di più caro aveva, la vita, per garantire al nostro Paese l’indipendenza energetica, madre di quella politica. Al tempo la tecnologia su cui puntare era quella fossile, ora è quella delle rinnovabili e dell’efficienza.
Passare ai fatti è qualcosa che possiamo fare già adesso e un obbligo morale per noi e per i nostri figli.
Gianni Pietro Girotto è Portavoce M5S al Senato, Presidente Commissione Industria Commercio Turismo.