
Le città moderne sono veri e propri motori dell’evoluzione. Le lumache urbane nei Paesi Bassi e le lucertole di Los Angeles hanno sviluppato gusci più chiari e dimensioni maggiori per adattarsi all’effetto isola di calore, in cui le temperature urbane superano di diversi gradi quelle delle aree circostanti. La luce artificiale ha creato una sorta di alba anticipata, spostando l’orario del canto degli uccelli, e ha portato i ragni che vivono sui ponti cittadini a sviluppare un’attrazione per la luce stessa, mentre le falene ermellino la stanno invece perdendo del tutto. Una mutazione del cosiddetto “gene del temerario”, riscontrabile anche in sciatori e snowboarder, sta rendendo i cigni urbani più audaci e tolleranti nei confronti degli esseri umani.
I nostri ambienti urbani costringono molte specie a reinventare il proprio corpo e il proprio comportamento per adattarsi alla vita cittadina. Ma alcune specie stanno anche ripensando le nostre città. E da questa natura che si adatta possiamo imparare moltissimo.
Architettura ostile, nidi resilienti
I dissuasori anti-uccelli sono un tipo di architettura ostile, pensata per tenere la natura “fuori” dagli edifici. Eppure, corvi e gazze a Rotterdam, Anversa e Glasgow li strappano via per usarli come materiale da nido.
È difficile immaginare che si possa trovare conforto in un nido fatto di spuntoni metallici, eppure questi uccelli lo abitano con soddisfazione, trasformando ciò che era stato pensato per escludere in rifugio.
I biologi evoluzionisti chiamano questo processo “exaptation” (preadattamento). Le piume, per esempio, si sono inizialmente evolute per mantenere il calore nei dinosauri piumati come l’Archaeopteryx, prima di essere riutilizzate, o meglio, reimpiegate per il volo.
L’exaptation ci invita a ripensare ciò che esiste in funzione di ciò che potrebbe diventare. Cosa accadrebbe se progettassimo le nostre case secondo questa logica?
Riutilizzare i rifiuti
A Brighton, la Waste House è una casa-modello a due piani costruita quasi interamente con rifiuti domestici e da costruzione. Quando l’ho visitata per la mia ricerca sul libro Nature’s Genius: Evolution’s Lessons for a Changing Planet, ho avvertito un senso tangibile di possibilità: scale fatte di carta compressa, piastrelle di moquette sovrapposte come ardesie sulle pareti esterne. Ma ciò che mi ha colpito di più erano le finestrelle aperte sulle pareti interne, che mostravano i materiali usati come isolamento: vecchi piumoni, camere d’aria di bicicletta e, in una nicchia, persino una pila di DVD. Uno di questi era Ricomincio da capo, il film in cui lo stesso giorno si ripete all’infinito. Anche noi siamo bloccati in un ciclo che si ripete: estraiamo, consumiamo, scartiamo, sempre allo stesso modo. Ma questo non è un ciclo chiuso, è una linea retta, che porta milioni di tonnellate di materiali utili dritti in discarica.
Il problema è che molti oggetti vengono progettati per un solo scopo. Tendiamo a non chiederci che cosa potrebbero diventare alla fine del loro ciclo vitale. Ma l’exaptation ci invita a smettere di vedere le cose solo per ciò che sono e cominciare a immaginarle per ciò che potrebbero diventare.
Il potenziale del riuso creativo
A Edimburgo, il Pianodrome è uno spazio per spettacoli costruito interamente con vecchi pianoforti. Il pubblico sale su gradini fatti con tavole armoniche, si appoggia a corrimano ricavati dai coperchi, poggia la testa su schienali creati con tastiere dismesse. Destinati alla discarica, questi strumenti hanno trovato una nuova vita, diventando un luogo di incontro e creazione artistica ma, come per ogni elemento exaptato, la loro nuova vita conserva tracce della precedente. Le corde delle vecchie arpe-pianoforte sono ancora lì, nel cuore della struttura. Così come le piume continuano a tenere caldi gli uccelli in volo, e gli spuntoni anti-uccelli vengono usati dai corvi per proteggere i loro piccoli, ogni volta che al Pianodrome si tiene un evento, l’intero spazio risuona come un gigantesco strumento musicale.
Lezioni dagli uccelli
Un approccio ispirato all’exaptation potrebbe contribuire a costruire una vera economia circolare. Potremmo uscire dal nostro modello lineare di estrazione e spreco e iniziare a dare valore a ciò che oggi scartiamo. Lasciare che i materiali finiscano in discarica è come mettergli un limite. Quegli uccelli che costruiscono nidi con i dissuasori ci ricordano che ciò che un tempo era una barriera può diventare un rifugio.
Articolo di David Farrier pubblicato su The Conversation