
Nel 1962, con la pubblicazione di Primavera Silenziosa di Rachel Carson, il mondo ha iniziato a rendersi conto che qualcosa non andava. Gli uccelli smettevano di cantare, le allodole sparivano. La questione era chiara: cosa stiamo facendo al nostro ambiente?
Siamo circondati da prodotti progettati senza una vera riflessione sulle conseguenze. Perfino una banale ochetta di gomma può contenere sostanze chimiche cancerogene. Come possiamo accettare un mondo in cui i giocattoli per bambini devono essere venduti con un avviso di pericolo? È evidente che abbiamo un problema di design.
Se il design è un segno di intenzione, quali sono le nostre intenzioni? Cosa vogliamo come specie dominante su questo pianeta? La nostra cultura sembra adottare strategie di gestione che portano alla distruzione, perché, semplicemente, non abbiamo un piano alternativo. Se il nostro obiettivo fosse il riscaldamento globale, allora staremmo procedendo alla grande. Se il nostro obiettivo fosse l’intossicazione da mercurio nei bambini a causa delle raffinerie di carbone, allora i nostri sistemi educativi dovrebbero adottare il motto “Morte cerebrale per tutti, nessun bambino lasciato indietro”.
Eppure, continuiamo a progettare senza umiltà, senza strategia, senza visione. Servono nuove regole, nuovi paradigmi. Serve un piano. Invece di pensare ai rifiuti, dobbiamo pensare ai nutrienti. Ogni materiale dovrebbe essere progettato per rientrare in un ciclo biologico o tecnico senza diventare scarto tossico. È possibile? Sì. Abbiamo sviluppato moquette che possono essere riciclate all’infinito, edifici che producono più energia di quanta ne consumano, automobili pensate per essere interamente riutilizzabili.
E non è solo una questione di materiali. È una questione di progettazione urbana. Stiamo lavorando con il governo cinese per costruire città capaci di ospitare 400 milioni di persone in 12 anni, senza esaurire le risorse naturali del pianeta. Queste città sono progettate per garantire aria pulita, acqua potabile e energia rinnovabile. Non più strade di cemento che soffocano il suolo, ma tetti verdi, agricoltura urbana e gestione intelligente dei rifiuti.
Gli ambientalisti spesso vedono la crescita come il nemico, ma il problema non è la crescita in sé, bensì ciò che facciamo crescere. Stiamo facendo crescere distruzione e tossicità, quando potremmo invece far crescere abbondanza e salute. Dobbiamo cambiare il paradigma: più non deve significare peggio, ma meglio.
L’energia solare, il recupero intelligente delle risorse e il design sostenibile non sono solo idee futuristiche, ma realtà già applicabili. È tempo di abbandonare il vecchio modello di produzione lineare e adottare un approccio circolare, dove tutto ciò che creiamo possa essere riutilizzato, rigenerato e restituito alla natura senza danni.
Se vogliamo un mondo sicuro, sano e giusto, il design deve essere il primo passo. Perché il problema non è la tecnologia, né le risorse: il vero problema è la nostra mancanza di immaginazione.
Dobbiamo pensare a come progettare edifici che respirano, oggetti che non siano destinati a diventare rifiuti, città che rispettano il loro ambiente. L’architettura può essere sostenibile, non un mostro di cemento. Possiamo produrre cibo e energia senza distruggere il pianeta, possiamo vivere in armonia con le risorse invece di sprecarle.
Nel mondo della produzione industriale, dobbiamo smettere di usare materiali tossici e pensare in termini di cicli chiusi. Una scarpa non deve essere un rifiuto, ma un oggetto progettato per essere riciclato. Una macchina deve poter tornare a essere materia prima senza inquinare.
Se osserviamo la storia, vediamo che abbiamo impiegato migliaia di anni per mettere ruote ai bagagli. Abbiamo progettato città che si surriscaldano e materiali che avvelenano le persone. Ma possiamo anche cambiare direzione. Possiamo immaginare un mondo in cui ogni prodotto abbia un senso, in cui ogni edificio contribuisca al benessere invece che alla distruzione.
E allora, iniziamo a progettare un futuro diverso. Perché il tempo per i rimpianti è finito: ora è il momento di agire.
Versione adattata del TED Talk di William McDonough del 2005.