di Marco Bella – Il New York Times ha riportato su un suo articolo che è dal 2013 che la Nuova Zelanda assegna una parte dei finanziamenti per la ricerca per mezzo di una “lotteria”. I progetti sono sottoposti a una prima scrematura riguardo ai requisiti minimi di qualità e validità scientifica e, tra quelli che li superano, quelli da finanziare sono scelti tramite un’estrazione a sorte.
I revisori si limitano a valutare in modo serio e scientificamente rigoroso se un progetto sia scritto bene o male (quelli improponibili sono scartati) piuttosto che a costruire improbabili classifiche. È abbastanza facile scegliere tra i “bravi” e gli “scarsi”, ma è difficilissimo stabilire chi è “bravissimo” tra i “bravi”. Lo schema della “lotteria” è stato utilizzato anche dalla Swiss National Science Foundation e la Volkswagen Foundation in Germania.
Nonostante questo approccio possa essere considerato “eretico”, sono gli stessi ricercatori, gente che il proprio lavoro lo sa fare davvero, ad apprezzare questo sistema, come riportato in un articolo scientifico.
L’approccio convenzionale per distribuire i fondi di ricerca utilizza il sistema della “revisione tra pari”, in modo simile con cui si accettano gli articoli sulle riviste scientifiche. Degli scienziati leggono i progetti presentati in modo anonimo e assegnano un punteggio: i progetti con i “voti” più alti sono finanziati.
Questo sistema però presenta delle criticità largamente riconosciute.
Mentre per uno scienziato è relativamente agevole valutare se una ricerca è stata ben condotta ed è importante basandosi sui dati presentati, diventa molto più difficile “indovinare” quale tra tanti sarà il progetto che investirà meglio i soldi pubblici. “Se sapessimo (esattamente) quel che stiamo facendo, non si chiamerebbe ricerca”, è una frase attribuita ad Albert Einstein.
Gli ultimi anni hanno visto i ricercatori dedicare sempre più tempo alla ricerca di fondi, che sono poi impiegati per assumere collaboratori e produrre pubblicazioni che servono a chiedere ancora più fondi in un circolo vizioso. L’attività di ricerca dovrebbe portare a benefici per il tutto il genere umano, sia in termini di invenzioni pratiche che di avanzamento della conoscenza, non a vantaggi solo per alcuni (lo scienziato a capofila del progetto, i ricercatori precari che ottengono un contratto, la singola istituzione accademica). Per questo, l’attività principale dei nostri scienziati dovrebbe essere la ricerca di qualcosa che non esiste ancora e che nessuno ha neppure immaginato, con tutti gli inevitabili fallimenti connessi, non la ricerca ossessiva in modo competitivo e non collaborativo di finanziamenti.
Sono davvero pochi i casi in cui gli scienziati raggiungono l’obiettivo che si erano prefissati, e persino in quelle rare occasioni non vi arrivano seguendo la strada che avevano pensato.
Da non trascurare è il fatto che anche gli scienziati sono umani e quindi non esenti da comportamenti poco etici. I revisori tenderanno a valutare in modo più benevolo ciò che si avvicina al proprio campo di ricerca, piuttosto che qualcosa che nessuno ha mai affrontato prima.
È quindi evidente che le proposte che sembrano apparentemente “eretiche”, quelle tra cui si può celare la ricerca che rivoluzionerà la nostra vita, sono poi quelle che hanno le maggiori difficoltà a trovare finanziamenti. Togliere ogni giudizio umano nell’ultima fase può portare a finanziare qualcosa di davvero innovativo, e a sparigliare le carte di chi ottiene i finanziamenti grazie alla propria rete di conoscenze tra i revisori e non grazie alla qualità del proprio progetto di ricerca.
In tutte le comunità umane i conflitti di interesse sono inevitabili, ma l’approccio del sorteggio potrebbe essere efficace per limitarli. Qualcuno obietterà: ma così si rischiano di sprecare soldi pubblici.
Questa può essere una criticità, ma non è che finanziando con i metodi convenzionali si hanno certezze, tutt’altro. Il sistema attuale appare ben difficilmente sostenibile nel lungo periodo.
L’esplosione del fenomeno della cosiddetta “editoria predona”, cioè riviste che pubblicano dietro lauto pagamento qualsiasi cosa indipendentemente dalla qualità, riviste che accrescono in modo fraudolento il numero di pubblicazioni di alcuni scienziati senza portate alcun beneficio alla comunità che invece indirettamente paga i costi di pubblicazione, dovrebbe farci riflettere sul fatto che dei correttivi devono essere apportati in ogni caso. Il sorteggio potrebbe essere la prima legge sul conflitto di interessi nella ricerca.
Quando la valutazione diviene aleatoria, perché non si può prevedere il futuro di una ricerca così come non si può prevedere come si comporterà un comune cittadino una volta divenuto parlamentare, allora affidarsi al caso può essere una via da esplorare. Soprattutto, di fronte a un problema non ci si addormenta auto-consolandosi con un “non va bene ma è stato sempre così”. Dai ricercatori ci si aspetterebbe una visione: anche se non si riesce a cambiare le cose, almeno ci si impegna sperimentando nuove strade.