
di Igor G. Cantalini
In un Giappone segnato da stagnazione economica, invecchiamento demografico e consumi prudenti, sta emergendo un fenomeno culturale che, sorprendentemente, contribuisce in modo significativo alla tenuta dei consumi interni, l’Oshikatsu. Questo termine nasce dall’unione di “oshi” (推し, ovvero il proprio beniamino, l’artista o personaggio preferito) e “katsu” (活, attività), e rappresenta l’insieme delle pratiche con cui i fan giapponesi sostengono attivamente i loro idoli, siano essi cantanti di musica pop, attori, doppiatori di anime, personaggi fittizi, Vtuber, mascotte locali, oppure squadre sportive. L’Oshikatsu non è una passione passeggera o adolescenziale, è diventata una vera e propria economia parallela, che nel 2025 è stata stimata contribuire per circa 3,5 trilioni di yen (oltre 21 miliardi di euro) all’economia giapponese, pari al 2,1% delle vendite al dettaglio nazionali. Un dato impressionante, se si considera che questi consumi nascono interamente da una forma di attaccamento emotivo e volontario, non da bisogni primari.
Il sostegno economico dei fan avviene in modi molteplici. In primo luogo, c’è l’acquisto di merchandise ufficiale e non: magliette, spille, photobook, lightstick, gadget esclusivi venduti nei concerti o nei negozi tematici. Poi ci sono i biglietti per eventi dal vivo, spesso venduti in più turni con lotterie riservate ai membri di fanclub ufficiali, il cui accesso costa un’iscrizione annuale (in media 4.000-5.000 yen). I fan più devoti partecipano a più date dello stesso tour o viaggiano in tutto il paese per vedere il loro oshi. I pagamenti avvengono tramite carte prepagate, app dedicate e circuiti online altamente efficienti, spesso collegati a piattaforme come LINE, PayPay o siti gestiti direttamente dalle agenzie. Non mancano le donazioni vere e proprie, alcune community raccolgono fondi per comprare spazi pubblicitari (cartelloni in stazioni e metropolitane, banner digitali, pagine di riviste) per promuovere l’uscita di un album o celebrare il compleanno dell’idolo. In alcuni casi, si finanziano persino i fiori per gli eventi dal vivo o i costi per la produzione di contenuti video promozionali. Tutto ciò avviene in modo organizzato, quasi sempre attraverso fanclub ufficiali o gruppi online, dove ci si coordina per fare regali collettivi, sostenere le classifiche, partecipare ai sondaggi, comprare album in blocco per far salire l’artista nelle classifiche.
Ma l’Oshikatsu non si ferma agli oggetti, è anche un’esperienza. I fan fanno code chilometriche per eventi “handshake” (stretta di mano), eventi “hi-touch” (un saluto fugace con tocco), o persino “cheki” (foto istantanee scattate con l’idolo). Alcuni idoli si incontrano solo tramite schermo, come le Vtuber o i personaggi virtuali, ma anche in quel caso ci sono piattaforme che permettono di inviare regali, denaro o messaggi durante le dirette, ricevendo in cambio saluti personalizzati o contenuti esclusivi. Tutto questo crea un ciclo virtuoso in cui i fan si sentono parte di qualcosa, e gli artisti ricevono un sostegno economico costante e mirato.
Dal punto di vista dello Stato giapponese, questo fenomeno è visto con estremo favore. La Banca del Giappone ha menzionato l’Oshikatsu nei suoi rapporti regionali, segnalando che nei settori legati al fandom si registra un aumento della spesa media per cliente. In un paese dove il tasso di risparmio è storicamente alto e i consumi privati stagnanti, la volontà di spendere per passione è considerata una benedizione. Il governo, sebbene non lo incentivi direttamente, lo osserva con attenzione; gli economisti vedono in questa tendenza un nuovo modello di consumo selettivo, dove le persone scelgono di tagliare su spese quotidiane per “investire” in ciò che dà senso e gioia. In un Giappone sempre più anziano, isolato e connesso digitalmente, l’Oshikatsu è diventato anche un ponte sociale. Non è raro che persone over 60 partecipino agli eventi o siano attive nei forum, o che madri di famiglia dedichino il tempo libero a creare fanart o seguire concerti. Un sondaggio condotto da Interspace ha rilevato che il 58,3% delle madri giapponesi pratica l’Oshikatsu, e un 5,1% di loro spende più di 1 milione di yen all’anno per sostenere il proprio oshi. Questo significa che l’Oshikatsu non è solo una valvola di sfogo o evasione, è una forma di partecipazione, identità e, in molti casi, benessere personale.
Il Giappone, che da anni cerca strategie per stimolare i consumi interni, potrebbe trovare in questo fenomeno una lezione preziosa, le persone non spendono solo per necessità, ma per appartenenza, passione e relazione. Il consumo emotivo ha vinto sul marketing tradizionale.
L’AUTORE
Igor G. Cantalini – Esperto di comunicazione e marketing digitale di 45 anni, laureato in Scienze della Comunicazione, ha lavorato con brand di fama nazionale e internazionale, specializzandosi successivamente in Intelligenza Artificiale. Scrittore e divulgatore, pubblica articoli su vari temi.