di Luca Carabetta – Nel 2021 in tutto il Mondo sono stati raccolti 132 miliardi di dollari di investimenti venture capital in startup che si occupano di fintech, di innovare la finanza. Trattasi del primo settore per quantità di denaro investita, pari al 21% di tutto il mercato, in crescita del 169% rispetto al 2020.
Digitalizzazione e innovazione – in ogni settore come in finanza – hanno portato all’abbattimento delle barriere di ingresso per il mercato, dando voce a tante startup e PMI dirompenti che si stanno muovendo da protagoniste, molto più velocemente di noti colossi storici.
Una maggiore ed equa competizione ha generato una democratizzazione della finanza, servizi più vicini alle persone, efficienti e via via meno costosi e quindi una conseguente maggiore propensione degli utenti ad utilizzarli.
Nuovi paradigmi come il “Web3”, abilitato dalla blockchain, costituiscono poi un ulteriore ripensamento totale e strutturale dei modelli di interazione sociale e di business che hanno dominato il mercato sino ad oggi.
Le stesse istituzioni politiche e monetarie hanno avviato percorsi nella direzione di un radicale cambiamento dei modelli attuali, sia sul fronte normativo e regolatorio, che introducendo nuovi strumenti come le valute digitali delle banche centrali (CBDC, Central Bank Digital Currencies).
Fatte queste premesse risulta un po’ svilente il livello dell’attuale dibattito pubblico Italiano attorno alle ultime iniziative intraprese dal Governo sul tetto al contante e sull’allentamento delle sanzioni sul POS obbligatorio. Il tema centrale, come è noto, è quello dello stretto collegamento con l’evasione fiscale.
Nel corso delle audizioni alla Camera dei Deputati sulla Legge Finanziaria, sia l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) che Banca d’Italia hanno fermamente criticato le nuove disposizioni introdotte dal Governo ed evidenziato l’importanza degli strumenti digitali nel contrasto all’evasione. Le dichiarazioni della Presidente Cavallari (UPB) sono state nette: “in base a uno studio del 2022 emerge che l’aumento del tetto ai contanti varato con la manovra del 2016 (da 1.000 a 3.000 euro) ha avuto l’effetto collaterale di far crescere l’economia sommersa, mentre un’altra analisi ha concluso che l’abbassamento adottato a fine 2011 (da 5.000 a 1.000 euro) ha contribuito a contenere l’evasione”.
Anche il Quirinale e Commissione Europea sono intervenuti in queste settimane cercando di smorzare la portata delle modifiche di legge, viste come in pieno constrasto con la direzione europea.
La stessa Commissione Europea proprio nei giorni scorsi ha pubblicato i dati sull’evasione IVA, impietosi per l’Italia che “vince” la maglia nera tra gli stati membri: 24.5% sul totale per oltre 35 miliardi di euro.
Di rilievo il dato su paesi come Svezia (evasione IVA al 0.7%), Finlandia (3.6%) e Danimarca (7.2%), paesi che, secondo il rapporto Ambrosetti Cashless Society, registrano i valori più alti nell’adozione di sistemi di pagamento digitale. Secondo il “Cash Intensive Index” del rapporto Ambrosetti, l’Italia risulta essere ventiquattresima su ventisette paesi UE. Su 144 economie globali analizzate, il nostro Paese si trova nella top 30 delle peggiori al Mondo in termini di dipendenza dal contante.
Per completare il quadro occorre poi riferirsi ai dati dell’UPB sulle differenze tra Regioni. Emerge come nelle Regioni ad alta intensità dei pagamenti digitali, l’evasione sia inferiore. In Calabria il 90% delle transazioni avviene in contanti e si stima un 21% di economia sommersa, in Campania a fronte di un 80% si stima un 20% di sommerso. Dati invertiti per Lombardia, Friuli ed Emilia (contante al 55-65%, evasione sotto al 11%).
Elevato limite al contante e poca propensione all’uso degli strumenti digitali di pagamento sono quindi l’unica causa dell’evasione fiscale? Ovviamente no. Prova ne è il dato sulla Germania che risulta ancora indietro sull’adozione di questi strumenti ma che totalizza un’evasione IVA dell’8.6%.
Ci sono molti fattori da cui dipende il livello di evasione di un Paese come il livello di controllo (anche preventivo) delle frodi, le pene previste per i reati commessi, la complessità e l’equità del sistema fiscale, la cultura della legalità, la situazione economica.
La politica dovrebbe concentrarsi su ognuno di questi aspetti (compresi quindi i pagamenti digitali), evitando di fare passi indietro che potrebbero invertire una tendenza virtuosa.
Pagamenti digitali e fintech non devono essere poi visti solamente come strumento di contrasto all’evasione, sarebbe una prospettiva estremamente miope e limitante. Parliamo infatti di settori in crescita a doppio cifra, di fondamentali elementi di competitività del sistema Paese, sia per il pubblico che per il privato che beneficiano anzitutto dei vantaggi introdotti dalla dematerializzazione, dall’aumento delle perfomance e da una maggiore efficienza del sistema finanziario.
Con riferimento al privato uno degli aspetti chiave da valutare riguarda l’apertura verso marketplaces digitali. Tra le aziende italiane che si occupano di commercio, solamente un terzo prevede una componente e-commerce. In generale solo il 56% delle imprese italiane hanno attivato canali digitali per gestire ordini e transazioni con altre aziende mentre il 25% non ha attivato nessun canale e non sta valutando questa opzione.
Questo dato dipende principalmente dalla fiducia degli esercenti nei confronti degli strumenti digitali e dai relativi costi, argomento già sfatato.
Come è noto lo stesso denaro contante ha dei costi sia per gli esercenti (prelievi, depositi, installazione sistemi antirapina, inefficienze nella contabilità) che per la collettività, pari a circa 7.4 miliardi l’anno (costi di produzione, gestione, trasporto valori, assicurazioni, contraffazione).
Il costo degli strumenti digitali, oltre a essere compensato da misure temporanee del Governo, è inoltre in netto calo (-40% per le commissioni e -60% dei costi per le apparecchiature negli ultimi cinque anni) e risulta essere già oggi sostanzialmente inferiore a quello del denaro contante i cui costi vengono applicati al consumatore/contribuente in maniera indiretta.
In conclusione vorrei lasciare qualche spunto per il dibattito:
- il Governo dovrebbe valutare le ricadute delle sue decisioni nel medio-lungo periodo in termini di competitività del sistema Paese;
- andrebbero confermati – se non potenziati – gli incentivi fiscali oggi esistenti per sostenere la transizione digitale nel mondo dei pagamenti facendo ricadere anche agli esercenti e ai consumatori parte dei vantaggi derivanti dall’uso della moneta elettronica, anche sulla linea virtuosa del programma “Cashback”;
- si dovrebbero affrontare le diverse criticità attivando un tavolo di confronto tra Governo e operatori del settore con l’obiettivo di trovare un accordo su condizioni di ulteriore vantaggio per consumatori e imprese;
- ci sono diverse voci del PNRR che riguardano la transizione digitale del Paese – dalla PA al turismo, dalla sanità ai trasporti. Spendere bene i soldi del PNRR significa spingere proprio sulle tecnologie strategiche e per la competitività Italiana;
- sarebbe opportuno investire nel settore con riferimento alle startup e alle PMI che hanno deciso – per il momento – di lanciare un’innovazione radicale proprio qui in Italia.
Infine una riflessione sul tema dell’evasione fiscale. Se il Governo intende davvero procedere in una lotta senza sosta contro questo cancro lo dimostri, oltre tornando indietro su contanti e sanzioni per il POS obbligatorio, lavorando per interconnettere le banche dati della PA, aumentando i controlli anche preventivi specie nei confronti delle categorie e dei soggetti più a rischio e rivedendo il sistema sanzionatorio.
L’AUTORE
Luca Carabetta è consulente per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, già Deputato del MoVimento Cinque Stelle nella XVIII Legislatura.