Più di 70 economisti internazionali, tra cui Joseph Stiglitz, Jayati Ghosh e Laurence Tubiana, convocano un forum nel “Mondo” per creare una tassa internazionale sulle transazioni finanziarie, per combattere povertà e cambiamenti climatici. Ecco la lettera scritta dagli economisti, pubblicata sul Corriere:
di Joseph Stiglitz e 73 economisti – Robin Hood Tax, Tobin Tax o TTF: comunque la si chiami, l’idea di una tassa sulle transazioni finanziarie per riequilibrare gli effetti negativi della globalizzazione viene sempre più discussa ad ogni nuova crisi economica. E per buone ragioni. Il principio è semplice: data l’entità consistente delle transazioni sui mercati finanziari, una tassa con un’aliquota estremamente bassa permetterebbe di raccogliere un gettito fiscale significativo senza incidere sul funzionamento dei mercati.
La TTF ha tutti gli attributi per essere una buona tassa: è a bassa distorsione, con forti effetti redistributivi, un gettito potenzialmente elevato e bassi costi di riscossione. Un’altra ragione della popolarità della TTF è l’esplosione dei volumi di azioni, o altri titoli, scambiati sui mercati finanziari (trading) che si è verificata a seguito della liberalizzazione finanziaria degli ultimi decenni. Dagli anni ‘70, l’ammontare delle transazioni borsistiche a livello mondiale è aumentato di oltre 300 volte. In Francia, l’importo annuo alla Borsa di Parigi era di 3,5 miliardi di euro nel 1970, 9 miliardi nel 1980, più di 100 miliardi nel 1990, più di 1.000 miliardi nel 2000, per arrivare a oltre 2.000 miliardi oggi. È probabilmente per tutti questi motivi che oggi viene applicata, in forme diverse, in più di trenta Paesi: in Francia, Italia, Spagna, Svizzera, Hong Kong o Taiwan in particolare, e ininterrottamente da più di tre secoli nel Regno Unito – l’imposta di bollo è addirittura la più antica tassa in vigore tra i nostri vicini d’oltremanica. Chiaramente, le imposte sulle transazioni finanziarie in vigore non hanno impedito lo sviluppo dei centri finanziari che le applicano, che sono tra i più importanti al mondo.
Le discussioni sulla TTF si concentrano sempre sul suo impatto: alcuni sperano di ridurre l’instabilità del mercato scoraggiando la speculazione, mentre la maggior parte degli oppositori rifiuta semplicemente il principio della TTF, temendo un aumento della volatilità dei mercati dovuto alla mancanza di liquidità. Gli studi empirici dimostrano che la prima e la seconda ipotesi sono false. Nella sua forma attuale, la TTF ha un impatto minimo sui mercati. Non è il grande stravolgimento temuto da alcuni, ma nemmeno la soluzione definitiva ai problemi dell’architettura finanziaria attuala sperata da altri. Non si tratta di punire i banchieri o i mercati, poiché un’imposta con un’ampia base e un’aliquota bassa non crea distorsioni, ma produce entrate elevate, a basso costo di riscossione e con un forte carattere redistributivo.
La TTF è quindi attualmente una fonte significativa di entrate per molti Paesi. Ogni anno, essa genera circa 4 miliardi di sterline nel Regno Unito, più di 7 miliardi di euro in Corea del Sud, Hong Kong e Taiwan e 1,5 miliardi di franchi svizzeri in Svizzera. In Francia, il suo gettito è attualmente di circa 2 miliardi di euro all’anno. Quanto potrebbe fruttare una TTF a livello della zona euro, dell’Europa o addirittura del mondo?
L’equivalente della TTF francese o dell’imposta di bollo britannica estesa a livello G20 nonostante le numerose esenzioni, tra i 156 e i 260 miliardi di dollari all’anno, a seconda dell’aliquota nominale scelta dello 0,3% o dello 0,5%. Circa due terzi sarebbero finanziati dal G7, un quarto dai Paesi emergenti. Ciò sarebbe sufficiente, ad esempio, per finanziare la lotta contro la povertà estrema e il cambiamento climatico e per sostenere i Paesi a basso reddito di fronte agli sconvolgimenti di cui le nostre economie sono le principali responsabili. Sarebbe anche possibile estendere la TTF al trading ad alta frequenza, cioè alle transazioni infragiornaliere: il gettito raccolto potrebbe allora superare i 400 miliardi di dollari all’anno, e questo non potrebbe che promuovere la trasparenza dei mercati finanziari e aumentare il sostegno pubblico.
A giugno, Francia e India organizzano a Parigi un vertice internazionale per un “New Global Financial Deal”, destinato a riformare l’architettura finanziaria internazionale. Un passo verso una tassa internazionale sulle transazioni finanziarie sarebbe una prima storica. Un gruppo di Paesi leader potrebbe concordare i parametri di tale tassa, da attuare da parte di ciascun Paese a livello nazionale, e impegnare i proventi nella lotta contro la povertà estrema e il cambiamento climatico. Queste risorse potrebbero essere trasferite direttamente ai fondi multilaterali o attraverso i Paesi che si impegnerebbero a redistribuire l’importo equivalente a istituzioni predefinite.
Di fronte all’esplosione delle esigenze di affrontare le disuguaglianze globali e il cambiamento climatico, la ripresa economica dei Paesi più colpiti dalla pandemia, la ricostruzione dei Paesi devastati dalla guerra, la riforma dei sistemi alimentari globali e tutte le altre grandi sfide che dobbiamo affrontare, possiamo ancora permetterci di non introdurre questa tassa equa ed efficace sulla più ampia scala possibile?