
In molte città del mondo ricco, l’auto elettrica è ormai il simbolo della transizione ecologica ma in Africa, dove l’energia elettrica è spesso un lusso, il sogno dell’e-mobility si scontra con una realtà più dura: reti instabili, blackout frequenti, infrastrutture il più delle volte inesistenti e fragili, eppure, nel cuore del continente, c’è un piccolo paese che ha deciso di provarci lo stesso, il Ruanda.
Il suo obiettivo è quello di convertire in elettrico oltre 100.000 motociclette a benzina, vera spina dorsale del trasporto urbano e rurale. Una scommessa ambiziosa, che potrebbe ridurre del 32% le emissioni del traffico su strada e offrire un modello replicabile in tutto il Sud globale.
Per affrontare il problema della rete elettrica, che in molte zone è ancora intermittente, una nuova generazione di startup locali ha deciso di reinventare la mobilità dal basso, con stazioni di ricarica solari, sistemi di scambio rapido di batterie, micro-reti autonome, e persino il riciclo creativo delle batterie esauste. Il tutto, con un obiettivo chiaro, quello di far funzionare flotte intere di e-bike senza sovraccaricare la rete nazionale.
Ampersand, Spiro, eWaka e REM sono alcuni dei nomi che stanno già cambiando il panorama. In molti casi, le batterie vengono fornite in affitto direttamente dalle aziende, riducendo i costi iniziali per chi guida. Secondo Toffene Kama, investitore senegalese nel settore, “questo modello ha permesso una diffusione rapida delle e-bike in Rwanda, sostenuta anche da politiche governative mirate.”
Oggi nel Paese circolano quasi 5.000 moto elettriche. Secondo i dati ufficiali, ognuna riduce in media 2,6 tonnellate di CO₂ l’anno. Le proiezioni sono chiare, su larga scala, l’impatto ambientale sarebbe enorme.
I problemi comunque sono tanti. La distribuzione dell’energia elettrica resta il tallone d’Achille; se è vero che oltre la metà delle famiglie rwandesi è oggi connessa alla rete nazionale, i blackout sono ancora frequenti, e le promesse di “elettricità per tutti” sono spesso rimandate. Il rischio è che l’espansione incontrollata della mobilità elettrica aggravi la situazione, sottraendo energia a case e imprese, ma c’è una via d’uscita, quella di puntare sul solare. Ampersand, ad esempio, ha cominciato a installare pannelli fotovoltaici nelle sue stazioni di scambio batterie, soprattutto nelle aree rurali. L’idea è semplice, mentre una batteria si scarica, un’altra si carica con il sole. Il cambio dura meno di due minuti, più veloce di un pieno alla pompa. Anche Spiro, che ha già distribuito oltre 17.000 e-bike in Togo, Benin, Kenya e ora Rwanda, sta pianificando l’integrazione del solare nei propri centri. L’obiettivo è garantire autonomia anche nei luoghi lontani dalla rete elettrica nazionale.
E quando le batterie invecchiano poi non si buttano, si reinventano; le celle agli ioni di litio, anche se degradate, possono essere impiegate per alimentare mini-reti off-grid, utili per piccoli villaggi o attività commerciali isolate. È quello che sta facendo Ampersand con SLS Energy, insieme hanno realizzato una mini-rete in Zambia da 120 kWh, in grado di fornire energia a 100 case per due giorni. Un passo avanti enorme per l’accesso all’energia in Africa.
Il Ruanda è ancora lontano dal traguardo della mobilità elettrica al 100% ma quello che sta costruendo, tra investimenti pubblici, idee dal basso e tecnologie verdi, è qualcosa di straordinario, da guardare con attenzione. Se l’e-mobility può funzionare qui, in un contesto con mille ostacoli, allora può funzionare ovunque; non si tratta solo di moto o batterie, ma di un modo nuovo di pensare l’energia locale, circolare e accessibile.
Il vero successo non sarà misurato in kilowattora, ma nella capacità di alimentare, oltre ai veicoli, le vite e le economie di milioni di persone.