di Danilo Della Valle – Con la pandemia da Covid 19 che ormai si sta diffondendo sempre più velocemente in tutto il mondo, con gli attuali equilibri geopolitici internazionali che sembrano traballare e poter portare a nuovi sviluppi che anche l’Europa dovrà affrontare, questa Unione Europea sembra sempre più un elefante che si muove in un negozio di cristalli di Boemia, goffo ed impacciato e con poche “soluzioni” per uscirne fuori indenne. Eh sì, da Bruxelles dall’inizio della crisi hanno pasticciato, cercando di salvare capre e cavoli, paesi rigoristi e paesi che spingono per non “morire” sotto i colpi della crisi economica derivante; e siamo solo agli inizi dell’emergenza.
E così hanno cominciato con le dichiarazioni discordanti quelli della BCE con la Lagarde che prima ha frenato il “whatever it takes” di Mario Draghi facilitando il crollo delle borse e mettendo a rischio le già fragili fondamenta dell’euro, poi è passata al contrattacco mostrando i muscoli: nuovo quantitative easing da 750 miliardi (ma nessun taglio di interessi).
Poi è stato il turno della Von der Leyen che ha subito annunciato in pompa magna l’attivazione della clausola di sospensione del Patto di Stabilità aprendo anche alla possibilità degli eurobond ed alla condivisione del debito a livello europeo. Ma anche le parole della Presidente di Commissione sono state in buona parte sbugiardate dal documento presentato al Consiglio Europeo dal direttore generale del Mes Klaus Regling che ha di fatto confermato un approccio continuativo con le politiche di austerità, riforme strutturali, condizionalità debitorie e misure lacrime e sangue.
Tutto rimandato dunque, con sonoro NO da parte di Germania e paesi nordici agli eurobonds.
Ma intanto si torna a parlare di Mes, con troika annessa.
Le vicissitudini legate al coronavirus e alla crisi sanitaria dovuta alla pandemia sembravano aver allontanato la malsana idea venuta a qualcuno di richiedere il ricorso al Mes, quel famoso “meccanismo europeo per la stabilità” che addirittura si sarebbe dovuto “riformare” ma che per ovvie ragioni è slittato.
E così tornano alla mente di molti le politiche lacrime e sangue imposte dalle clausole di condizionalità che hanno piegato pian piano la Grecia, e in contemporanea le registrazioni dell’Eurogruppo del 2015 pubblicate dall’ex ministro greco Varoufakis in cui si chiedeva di non pagare le pensioni ai greci per rispettare il programma di “aggiustamento economico” previsto.
Così mentre i parrucconi di Bruxelles restano ancorati all’idea di un’ Europa neoliberista, del rigore e dei paletti, vi sono nei Paesi membri intere fette di popolazioni che rischiano di uscire da questa pandemia con una situazione ancor più tragica di quella attuale. Eppure diversi economisti della società civile hanno a tracciare delle linee guida per arrivare a delle soluzioni (questo pubblicato dal Financial Times). Senza liquidità e con una crisi postuma che si prospetta devastante per interi Stati, il rischio di un incremento notevole di povertà è un dato di fatto. Proprio questa emergenza ci ha dimostrato che le politiche neoliberiste del rigore e dell’austerità, delle privatizzazioni e dei tagli non portano vantaggi ai popoli, e proprio per questo serve subito un cambio di paradigma delle politiche economiche oltre che una maggior solidarietà europea. Se è vero che dai grandi fatti matura sempre una lezione, quello che abbiamo imparato è che l’Europa del Trattato di Maastricht è fallita, sta cadendo pian piano sotto i colpi dei suoi stessi governanti troppo distanti dai bisogni dei popoli, e sembra che molti Stati stiano iniziando a capire che qualcosa non quadra. La stessa Germania, rigorista per molti versi, e soprattutto con gli altri Paesi, dopo aver esportato oltrepassando spesso il patto di stabilità e con un surplus basato sull’export che ha drenato di fatto ricchezza dai Paesi che importavano da Berlino, ora si trova in difficoltà nel momento in cui molti Stati impoveriti non comprano più, mentre ad est è blindata dalle sanzioni messe in atto dalla stessa Ue, ad esempio nei confronti della Russia. E se anche a Berlino qualcuno si chiede se convenga ancora una Ue così come lo è oggi, allora qualche domanda dobbiamo porcela anche noi. Se l’Europa dei trattati neoliberisti è finita urge sicuramente un cambio di paradigma a livello politico-economico;
In quest’ottica, di solidarietà e di cambio di paradigma, anche delle politiche economiche, c’è bisogno di nuovi strumenti per i cittadini e proprio per questo si dovrebbe proporre per la popolazione europea il reddito universale garantito, unico mezzo per permettere a tutti i cittadini di riuscire ad accedere ai beni di prima necessità in un periodo in cui mancheranno soluzioni per garantire la vivibilità e la tranquillità a tutti.
In un periodo come questo, con l’economia quasi immobile e con la concreta possibilità di impiegare molto tempo per rimettere in piedi una economia stabile, come non era fino ad oggi, e florida, i governi devono dimostrare di aver a cuore il benessere di tutti. Certe misure di Stato sociale possono funzionare; diversamente da quanto proposto dai governi Usa e Uk con l’Helicopter money, ossia immettere denaro una tantum nel Paese (per pochi mesi) per dare una spinta ai consumi, il “reddito universale europeo” potrebbe fungere come salvagente per i cittadini, soprattutto per le fasce più deboli che saranno quelle maggiormente colpite.
Si tratterebbe di una misura di solidarietà, di equità e redistribuzione.
Se l’Unione Europea vuole per la prima volta esser coerente con quei valori di dignità umana, di uguaglianza, di lotta all’esclusione sociale sui quali si dovrebbe basare il “tanto chiacchierato” sogno di una Europa dei popoli allora ponga subito in essere il Reddito universale europeo. È il momento giusto per smentire tutti i critici di questa UE, me compreso, che fino ad oggi è sembrata troppo attenta ai mercati ed alle politiche neoliberiste e poco al benessere dei cittadini.
L’AUTORE
Danilo Della Valle, laureato in scienze politiche e relazioni internazionali (con tesi sull’entrata della Russia, nel Wto); Master in Comunicazione e Consulenza politica e Scuola di formazione “Escuela del buen vivir” del Ministero degli Esteri Ecuadoriano. Si occupadi analisi politica, principalmente di Eurasia. Scrive per l’antidiplomatico, “Il mondo alla rovescia”.