di Fabio Massimo Parenti – Chi si occupa di Cina sa bene che lo sguardo dell’Occidente sulla Repubblica popolare contemporanea è stato spesso liquidatorio, più che critico direi sprezzante, superficiale e distorto. Una sorta di sagra delle opinioni stereotipate, con giudizi di valore utilizzati costantemente per mettere in risalto quanto saremmo superiori rispetto al “modello cinese”. Senza però conoscere cosa sta accadendo in quel paese, né approfondire la sua lunga e profonda storia di civiltà.
Per altro verso, a livello strategico gli Usa hanno favorito, proprio negli anni dell’ascesa cinese come potenza economica e politica internazionale, un clima da guerra fredda. O meglio, hanno mantenuto una mentalità da guerra fredda. Si vedano ad esempio le posizioni di Robert Kaplan, ma anche l’ultimo discorso di Pence, tanto sul commercio e la tecnologia, quanto sulle questioni marittime e strategiche, con la condanna definitiva del sistema cinese come resistente ai migliori valori dell’universalismo liberale. Da non dimenticare che da quando l’universalismo liberale ha preso la forma dell’egemonia liberale a livello internazionale, l’universalismo si è sempre tradotto nell’imposizione del particolarismo dell’egemone di turno (i riferimenti bibliografici sono troppi per essere ripresi qui).
Per questo è sempre più urgente aprire spazi di approfondimento su come funziona la politica cinese, dipinta di volta in volta come autoritaria, rigida, antidemocratica… non si capirebbe come abbia fatto un sistema tanto chiuso e autoritario, secondo la vulgata popolare, ad avere il più alto livello mondiale di soddisfazione popolare verso i propri governi, a siglare accordi di ogni genere in ogni continente senza mai utilizzare la leva militare, a contribuire, in media negli ultimi anni, al 30 per cento della crescita mondiale e, non in ultimo, ad ispirare l’idea, derivante da analisi empirica, del Beijing consensus, in alternativa al Washington consensus. La Belt and Road Initiative, ad esempio, sta stimolando varie emulazioni, data la sua concretezza e ragionevolezza centrata sulla necessità di aumentare l’interconnessione geografica come ricetta di sviluppo pacifico e cooperazione tra popoli. Sempre nel rispetto della sovranità e autonomia degli stati. Cosa dire poi del contributo alla riduzione della povertà assoluta nel mondo, avendo sollevato da questa condizione 800 milioni di persone in pochi decenni.
Secondo Martin Jaques – noto studioso britannico e tra i massimi conoscitori della realtà cinese – non siamo preparati a capire le trasformazioni cinesi che avvengono sotto la guida di governi comunisti. Ciò è dovuto sicuramente ad un ostacolo ideologico, per quella che è stata la nostra esperienza del comunismo, altamente idealistica e legata ad un altro contesto storico-culturale. Tuttavia, l’etnocentrismo di cui l’Occidente è campione, anche nell’esperienza comunista, rappresenta a mio avviso la barriera più rilevante. Essa non consente di aprirsi alla conoscenza e quindi al rispetto verso una civiltà che, per quanto altamente modernizzata e capace di apprendere ed adattare elementi tipici dello sviluppo occidentale, rimane estremamente differente nella sua peculiare longevità. Nella politica della Cina contemporanea prevalgono infatti continuità storiche, filosofiche e pratiche, incentrate nella tradizione confuciana, la quale si combina storicamente con taoismo e buddismo cinesi.
Il sistema politico non è stato occidentalizzato, diversamente da altri paesi in via di sviluppo, e ciò ha creato confusione, irritando alcuni falchi. Nella letteratura sul cosiddetto modello cinese, si parla non a caso di capitalismo con caratteristiche cinesi, di socialismo con caratteristiche cinesi, di capitalismo autoritario, di socialismo di mercato non capitalista… In realtà la Cina non è nessuno di essi, ma contiene elementi delle varie formulazioni proposte da diversi studiosi. Per riferimenti e approfondimenti rimando a questi miei due testi: Il socialismo prospero. Saggi sulla via cinese, Novaeuropa, 2017; Geofinanza e geopolitica, Egea 2016.
Ma come funzione e cosa caratterizza il sistema politico cinese? E’ davvero un sistema centralizzato resistente al cambiamento? E’ realmente un sistema politico antidemocratico? Come è cambiato e come sta cambiando?
Di seguito andiamo a sintetizzare alcuni punti per cominciare ad avere un’idea della politica cinese più corrispondente alla realtà. Secondo la tradizione confuciana, la più longeva nella storia del paese, benché a fortune alterne, la politica si identifica nel governo-apparato statale. La separazione tra governanti e governati è considerata una virtù e la reattività politica delle élite ai bisogni popolari una responsabilità ed obbligo morale sempre vivo. Questa responsabilità, che giustificherebbe il privilegio del governare, include una clausola di “licenziamento”: il ribellismo dei cinesi è storicamente famoso… anche in questi anni di grande sviluppo le proteste sui processi corruttivi, sugli abusi di potere, sulla speculazione fondiaria sono stati ampiamente contestati, con migliaia di manifestazioni.
Peraltro, non si deve dimenticare che il funzionamento dell’apparato statale, incardinato nel confucianesimo, ovvero la via etica, è stato un riferimento fondamentale nelle esperienze politiche di Giappone, Vietnam e Korea, ed è stato studiato nei secoli da inglesi e francesi e infine dagli americani, proprio per i numerosi spunti che offriva. Solo un esempio, le competizioni pubbliche aperte per il reclutamento degli ufficiali di stato sono state riprese dalla Cina e, in particolare, dal suo sistema di selezione degli impiegati pubblici e consiglieri di stato.
Le principali istituzioni cinesi sono il governo, con unica leadership, e la famiglia, tanto da far parlare gli storici di uno stato vissuto dalla popolazione come un padre, un membro della famiglia. Nella politica cinese gli interessi collettivi prevalgono sui gruppi di interesse, tradizionalmente. Le selezioni sono dure ed altamente meritocratiche, per dipendenti dello stato, politici e membri di partito. Alti standard etici, forte credo nella famiglia e nell’educazione, gerarchia, autorità e autodisciplina sono i fattori valoriali che producono una sorta, benché peculiare, di complementarietà stato-società.
Fin qui una introduzione generale. Nel prossimo articolo offrirò una breve sintesi dei processi di democratizzazione, che potremmo definire con caratteristiche cinesi. Tali processi ruotano intorno ai concetti di democrazia a posteriori, ovvero esecutiva; democrazia consultiva e meritocrazia politica verticale.
L’AUTORE
Fabio Massimo Parenti è professore associato (ASN), insegna all’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, è membro del think tank CCERRI, Zhengzhou, e membro di EURISPES, Laboratorio BRICS, Roma. Il suo ultimo libro è Geofinance and Geopolitics, Egea. Su twitter @fabiomassimos