di J. Lo Zippe – Le persone tendono a credere che ciò che pensano sia giusto, specialmente riguardo ai temi che riguardano la loro identità, come persone, nazione, gruppo familiare o di altro tipo.
Joe Biden è il nuovo presidente degli Stati Uniti, anche se metà dei repubblicani ritiene che abbia rubato le elezioni. Sono moltissime le persone che credono alle teorie del complotto dall’altra parte dell’Atlantico. Ma non accade solo negli USA.
Le teorie del complotto sono contagiose. Tutti in fondo credono almeno a una teoria del complotto. Più teorie del complotto sollevi, più persone risponderanno di sì a una di esse.
Questo fatto ha portato molti ricercatori, come il ricercatore americano Joseph Uscinski dell’Università di Miami o Asbjørn Dyrendal, professore del Dipartimento di Filosofia e Studi Religiosi della NTNU, a sostenere che in fondo tutte le persone credono “un pò” a qualche teoria del complotto.
Spieghiamo meglio. Forse non tutti pensano che la Terra sia piatta o che gli sbarchi sulla Luna siano stati falsificati e tenuti nascosti da tutti i 400.000 individui coinvolti. Forse non tutti credono che i vaccini causino l’autismo e che le autorità lo stiano facendo apposta, o che il 5G frigga il cervello, ma sotto sotto senti che qualcosa non va.
Perché? Spesso perché sono temi e settori che coinvolgono un numero davvero alto di variabili e le persone tendono a vedere schemi dove non ce ne sono, tendono a vedere “accordi” dove ci sono solo coincidenze.
Succede lo stesso nel calcio. I nostri pensieri si trasformano in convinzioni e queste si tramutano in palesi complotti. Tutto inizia quando uno dei giocatori della tua squadra subisce un fallo in area e non viene chiamato nessun rigore. E magari è già il terzo fallo che non viene fischiato. Così pensiamo che forse non solo uno, ma molti arbitri siano contro la nostra squadra, soprattutto se crediamo di vedere uno schema. Questo pensiero di solito non equivale a una teoria del complotto in sé e per sé. Ma le persone possono anche avere vari gradi di pensiero complottista. C’è differenza tra urlare all’arbitro e credere che la Terra sia piatta.
Ma molte caratteristiche comuni si ripresentano.
I teorici della cospirazione in genere:
- tendono a non avere una grande istruzione;
più spesso vivono in società che hanno democrazie meno riuscite, il che influenza la fiducia negli altri e nelle autorità; - appartengono a gruppi che ritengono di dover avere più potere e influenza di quella che hanno;
- più spesso usano l’intuizione quando prendono decisioni;
- vedono le connessioni più spesso della maggior parte delle persone, anche dove tali connessioni non esistono, ed è più probabile che vedano l’intenzione come la causa degli eventi;
- più spesso si informano dai social media.
Quest’ultimo punto è però molto importante. Perché ha molto a che fare con il modo in cui funzionano i social media.
I social media possono creare camere di eco o filter bubble/bolla di filtraggio (La bolla di filtraggio designa l’effetto generato dal sistema di personalizzazione dei risultati di ricerca).
In pratica sono strutturati per tenerti all’interno di gruppi e di amici e fonti che ti piacciono, e quindi, con cui sei già d’accordo. I “Mi piace” e i post su cui fai clic influenzano ciò che vedi in seguito. E questo rende facile confermare i sospetti e le percezioni che hai già. E troverai sempre una comunità di altre persone che si sentono e pensano un po’ come te.
Tuttavia, incolpare Twitter e Facebook per questo fenomeno è una grossolana ed eccessiva semplificazione. Ma cosa porta più di altro a credere alle teorie più assurde? “Forse le persone che vedono se stesse e il loro gruppo come superiori agli altri, potrebbero essere più portate a credere alle teorie del complotto. Perché spesso riguardano “qualcuno” che di nascosto sta tenendo segreto al mondo una certa cosa. Ma più di tutti a subirne gli effetti indesiderati, è il proprio gruppo di appartenenza”, dice Dyrendal.
Questo tipo di preferenza per una chiara classificazione sociale si esprime in pregiudizi generali nei confronti di gruppi che sono visti come inferiori nella gerarchia sociale o che sono percepiti come una minaccia per la gerarchia sociale.
Forse è il caso di guardare alle informazioni in modo più ampio, prendendosi un po’ di tempo per pensare bene. Per esempio anche Dyrendal ammette di non aver ancora perdonato l’arbitro nella partita tra Leeds e Bayern Monaco nel 1975 per un gol annullato.
Alla fine i Leeds hanno perso, il Bayern Monaco ha vinto la finale di Coppa dei Campioni 2-0, anche se l’arbitro ha annullato il gol di Peter Lorimer e ha fischiato (sbagliandosi) il fuorigioco di Billy Bremner.
Ma questo non cambia nulla. Tutti sanno che in fondo gli arbitri francesi odiano le squadre britanniche. Giusto?