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Far rivivere animali estinti: ecco la de-estinzione

beppegrillo.it - Settembre 18, 2019

di Stewart Brand – Allora, l’estinzione è una morte differente. È più grande. Non ce ne siamo accorti fino al 1914, con la morte dell’ultimo piccione migratore, una femmina di nome Martha, nello zoo di Cincinnati.

Il piccione migratore era l’uccello più diffuso al mondo vissuto in Nord America per 6 milioni di anni. C’erano stormi larghi 1 km e mezzo e lunghi 600 metri, che oscuravano il cielo. Ma l’intera specie è passata da 5 miliardi a zero in una ventina d’anni. Cosa è successo? È iniziata la caccia a fini commerciali. Questi uccelli venivano cacciati per la loro carne, che era venduta a tonnellate. Era la fonte di proteine più economica in America. Ma in questa storia c’è un lato positivo. Ha reso la gente consapevole che lo stesso stava per succedere col bisonte americano, quindi questi uccelli hanno salvato i bufali.

Ma tanti altri animali non sono stati salvati.

Il parrocchetto della Carolina era un pappagallo colorato molto comune. Veniva ucciso per le sue piume. C’era un uccello sulla costa Est, che piaceva alla gente, chiamato il tetraone di prateria maggiore. Era amato. Hanno cercato di proteggerlo. È morto comunque. Poi c’era l’uro europeo. Era come il bisonte. Era un animale che fondamentalmente manteneva l’equilibrio tra foresta e terreni erbosi in tutto il continente euroasiatico, dalla Spagna alla Corea. La documentazione su questo animale risale alle pitture rupestri di Lascaux. C’era lo stambecco dei Pirenei. Si è estinto nel 2000. C’era un animale meraviglioso in Tasmania, a sud dell’Australia, chiamato tigre della Tasmania. È stato cacciato, finché ne sono rimasti solo alcuni esemplari che stanno morendo negli zoo.

Ora, però vi chiedo, e se, usando il DNA dei campioni fossili si potessero resuscitare alcune specie, cosa fareste?

E allora la domanda è, si può ricostruire con il DNA un uccello intero? George Church pensa di sì. Nel suo libro “Regenesis”, c’è un capitolo sulla scienza del ripristino di specie estinte, e George ha una macchina, chiamata “macchina di ingegneria automatizzata del genoma multiplex”. È come una specie di macchina dell’evoluzione. Si provano combinazioni di geni, e quelli che vincono, si possono trapiantare poi in un organismo vivo.

Quindi, viste le possibilità, io e mia moglie Ryan, abbiamo deciso di creare un’organizzazione no profit, chiamata Revive and Restore, per cercare di fermare le estinzioni e iniziare una “de-estinzione”.

Stiamo per esempio lavorando sugli uri. L’uro è l’antenato di tutti i bovini domestici e quindi essenzialmente il suo genoma è vivo, solo che è distribuito in modo irregolare tra le tante specie. Quindi stanno lavorando con 7 razze di bovini primitivi per ricostruire gli uri. Ora il piano prevede che in giro per l’Europa vengano introdotti gli uri, affinché possano ricominciare il loro lavoro di sempre.

Un’altra storia incredibile ci è arrivata da Alberto Fernández-Arias. Alberto lavorava con lo stambecco dei Pirenei in Spagna. L’ultimo esemplare era una femmina chiamata Celia che era ancora viva. Così hanno prelevato un po’ di tessuto dal suo orecchio, lo hanno preservato in azoto liquido. Sfortunatamente pochi mesi dopo è stata trovata morta, schiacciata da un albero. Così hanno trapiantato il suo DNA in una capra come ovulo clonato, la gravidanza è arrivata a termine ed è nato un cucciolo di stambecco vivo. È stata la prima de-estinzione della storia.

Però c’è un altro problema con gli animali. Per esempio con il piccione migratore rimane il problema della mancanza di genitori che possano insegnargli ad essere dei piccioni migratori. Allora cosa si può fare? Dunque, il caso vuole che gli uccelli abbiano gran parte di questa informazione impressa nel DNA, ma l’idea, in questo caso è quella di usare il piccione selvatico occidentale come aiuto per insegnare ai giovani piccioni migratori come riunirsi in stormo e come trovare la strada verso i loro vecchi siti di nidificazione e alimentazione.

Potrei fare molti altri esempi di come specie estinte sono in procinto di tornare, ma il fatto cruciale è un altro. Il punto è che gli uomini hanno fatto un buco enorme nella natura negli ultimi 10.000 anni. Adesso abbiamo la capacità, e forse anche l’obbligo morale, di riparare una parte di questo danno. Gran parte di questo lavoro lo faremo proteggendo le aree naturali selvagge, ampliando e proteggendo le popolazioni in pericolo. Ma potremmo prendere in considerazione di ripristinare certe specie, specie che abbiamo spazzato via del tutto, e riportarle nel posto dove dovevano essere.

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