di Amane Dannouni – Nel febbraio 2013 mi trasferii a Singapore con mia moglie. Esattamente nello stesso periodo, Uber annunciò che avrebbe iniziato a lavorare nel Paese. Mia moglie ed io siamo d’accordo su molte cose, Ma usare Uber non è proprio tra queste. Mentre ero interessato alla tecnologia e al fatto che forse non avremmo avuto bisogno di un’auto, lei pensava che le auto Uber stessero rubando il lavoro ai tassisti. E Sarah non era la sola.
Così come Uber, gli Airbnb e gli Amazon del mondo, che noi chiamiamo “marketplace online”, hanno iniziato ad espandersi, tutti noi abbiamo sentito molti politici preoccupati per come gestire questi nuovi rischi: perdita di posti di lavoro, riduzioni salariali, meno tasse riscosse. Abbiamo anche sentito molte aziende leader preoccupate della competizione aggressiva delle piattaforme globali che distruggono i business locali. E a livello razionale, lo capisco. Dopotutto, sono le basi economiche di domanda e offerta. Se, in ogni mercato, aumenti notevolmente l’offerta, dovresti aspettarti un calo di prezzi, redditività e crescita per gli operatori esistenti.
Ma nella mia personale esperienza, ho visto anche l’altro lato della storia. Dove i marketplace online, come Gojek in Indonesia o Jumia in Africa, hanno aiutato gli ecosistemi aziendali e le comunità che li circondano. Il lato positivo che ho visto è rappresentato da una donna, una tassista in Egitto, che ora ha l’opportunità di lavorare senza le molestie che ha affrontato nel mondo dei tassisti. E lo dimostra anche un villaggio in Kenya che ha avuto una spinta economica, perché il meraviglioso lago vicino, completamente sconosciuto prima, è ora diventato un punto d’interesse per l’ecoturismo nazionale.
I marketplace online continueranno a crescere e trasformeranno il modo di acquistare, il modo di viaggiare e il modo di fare affari. Quindi dobbiamo davvero capire dov’è la verità tra queste due storie. Dovremmo aspettarci di più del lato positivo o più del lato oscuro e preoccupante? Ed esiste un modo per avere il primo senza ottenere il secondo? Io credo ci sia.
Come consulente strategico, studio le imprese per vivere. E come matematico nell’animo, non potrei vivere con qualcosa e il suo contrario ugualmente veri. Così, sono tornato ai fondamenti, e ho posto questa domanda: cosa fanno davvero i marketplace online? Bene, alla base, fanno qualcosa di molto semplice. Fanno incontrare venditori e acquirenti. Questo è quanto. Per autisti e passeggeri, ci sono Uber, Grab nel sudest asiatico o DiDi in Cina. Per far incontrare venditori e acquirenti. ci sono Amazon, Alibaba o Jumia in Africa. E per le case, c’è Airbnb: per il fundraising, c’è Kickstarter, e la lista continua. Quello che questi esempi hanno in comune è che hanno traslato la loro funzionalità base di far incontrare venditori ed acquirenti dal mondo fisico a quello digitale. E facendo questo, possono trovare abbinamenti migliori, farlo più velocemente e infine, generare più valore per tutti. Infatti, il principale beneficio dei marketplace online è che ci danno di più con lo stesso livello di sforzo.
Per esempio, se sei un tassista a San Francisco e decidi di lavorare 10 ore al giorno, effettivamente avrai un passeggero pagante in macchina per 4 ore su 10. Se prendi la stessa auto e la metti su una piattaforma come Uber, puoi avere passeggeri paganti per un’altra ora e mezza. La stessa auto diventa per il 40% più produttiva. E lo stesso è stato dimostrato per altri marketplace online. Per principio, creano più valore per l’economia.
Dobbiamo capire a chi va questo valore in più. Si può darlo ai conducenti, più passeggeri, più incassi. Si può dare ai consumatori, se si riducono i prezzi. O si può decidere che la piattaforma debba tenere tutto per sé. Di solito succede che tutti e tre se lo dividono in qualche modo. E cosa succede a noi?
Noi stessi possiamo essere influenzati senza essere coinvolti nel business. Se il mio vicino decide di affittare l’appartamento su Airbnb, e noi abbiamo più persone che vanno e vengono dall’edificio, più rumore del solito, allora io avrò un effetto collaterale di questa magia della produttività. Gli economisti lo definiscono “esternalità negativa”. L’esternalità negativa delle auto Uber che diventano più produttive è che i tassisti vedono il valore delle loro licenze scendere di più del 30 percento a New York, per esempio. Questo è il lato oscuro. E questo è ciò che provoca le dimostrazioni in strada e talvolta, anche episodi di violenza.
Io credo profondamente che sia evitabile. E mi è diventato più chiaro trascorrendo del tempo nei mercati emergenti. Infatti, quando ero a Singapore, passavo metà di ogni settimana a viaggiare nella regione, tra Malesia, Tailandia, Indonesia, e sono diventato un utente – in realtà più un fan – dei marketplace online che allora non erano così famosi.
Ma alcuni di loro hanno fatto interessanti compromessi strategici che hanno ridotto drasticamente i loro effetti collaterali, le loro esternalità. Prendete Gojek, per esempio. In sostanza è un Uber a due ruote. È uno dei marketplace online più amati in Indonesia, e questo ha molto a che fare con il ruolo che ha scelto di avere. Invece di combattere con ogni altra opzione di trasporto là fuori, ha scelto di integrarle gradualmente nella propria piattaforma, così senza uscire dall’App di Gojek, si può verificare gli orari dei trasporti pubblici e prendere un autobus per un lungo tragitto. E poi, forse, una moto o un taxi tradizionale che si può prenotare e pagare nella stessa App. Se guardate Gojek oggi, nove ex tassisti su 10 credono che la loro qualità di vita è migliorata dopo aver aderito alla piattaforma. E nove consumatori su 10 – nove su 10 – credono che Gojek ha un impatto positivo sulla società in generale.
Questo livello di fiducia è ciò che ha permesso a Gojek di diventare quello che oggi è un super marketplace online per tutto: dal cibo alla drogheria fino ai massaggi e al servizio lavanderia. Tutto è partito da un compromesso consapevole: essere un orchestratore di un ecosistema più grande dove gli altri hanno un ruolo da giocare invece di un singolo vincitore, un eroe, che prende tutto per sé ciò che sarebbe alla fine, una torta più piccola.
Un altro esempio interessante è Jumia. Jumia è l’equivalente di Amazon in Africa. Ma non genera lo stesso livello di paura in una comunità di piccole imprese. E uno dei motivi è che ha deciso di investire attivamente negli imprenditori africani, per farli entrare nell’era digitale. Tenete a mente, Jumia opera in paesi con i più bassi livelli di alfabetizzazione digitale e di connettività digitale al mondo. Avrebbe potuto affrontarlo nel modo tradizionale, facendo pressione per le riforme — e probabilmente lo ha fatto — ma ha anche costruito l’Università Jumia una piattaforma di e-learning che forniscono ai venditori competenze base di IT e business.
Abbiamo studiato i marketplace online in Africa nell’ultimo anno. E durante questi studi, abbiamo incontrato un venditore di Jumia. Si chiama Jomo. È stato licenziato nel 2014, e nello stesso istante, ha deciso di voler diventare capo di se stesso. Voleva diventare indipendente. Non voleva mai più essere licenziato. All’epoca Jomo non aveva idea di cosa fosse un’azienda. Così dovette seguire una serie di corsi di formazione per imparare come selezionare prodotti, come definire i prezzi e come promuoverli online. Oggi, Jomo ha un business online con 10 impiegati. E qualche mese fa, ha aperto il suo primo negozio fisico nella periferia di Nairobi. Con quest’università, Jumia ha la possibilità di aiutare un ampio numero di Jomos. E si è stimato che con gli altri marketplace del continente, entro il 2025 si possono generare altri tre milioni di posti di lavoro. E lo farebbero sia direttamente, che attraverso l’impatto sulla più ampia comunità.
E talvolta, è prendendo in considerazione l’impatto più ampio o dimenticandolo che si può creare o distruggere una piattaforma. Per illustrarlo, torniamo a Singapore. Quando ho deciso con mia moglie di lasciare il Paese lo scorso anno, Uber ha deciso di fare la stessa cosa. Nello stesso momento, di nuovo, torniamo a vedere quello schema, ma forse è una coincidenza. In realtà, Uber ha perso la sua battaglia delle chiamate di taxi contro una start-up malese chiamata Grab.
È interessante, mia moglie non aveva la stessa preoccupazione per Grab, perché quando Grab ha iniziato aveva un nome diverso. Si chiamava MyTeksi, e come suggeriva il nome, ha iniziato come piattaforma per taxi. Così quando Grab ha iniziato ad estendersi ai guidatori oltre che ai tassisti, è sembrato graduale e ragionevole. È stato anche molto attento nel farlo. Hanno pensato a una rete di sicurezza sociale da dare agli autisti. Così hanno messo in atto pacchetti assicurativi speciali e persino programmi di istruzione finanziaria.
Ora, comparatelo con quello che è accaduto a Londra, a New York, a Parigi, dove i tassisti non percepivano che le piattaforme capissero che dovevano pagare 200.000 euro per le loro licenze – soprattutto tramite prestiti. Quando non si tiene in conto quel tipo di informazione sociale si ottengono reazioni forti.
Non sto cercando di dire che i compromessi fatti da Grab o Jumia o Gojek sono privi di rischi. Hanno rallentato la crescita, temporaneamente? Forse. Ma guardateli oggi. Gojek vale 10 miliardi di dollari. Jumia è uno dei tre unicorni di tutta l’Africa. E Grab, bene, ha cacciato fuori Uber da tutta la regione del sudest asiatico. E penso che questi compromessi non sono legati ai mercati emergenti. Amazon o Uber o altri possono imparare da loro e adattarsi alle loro specifiche realtà.
Nel lungo termine, questo non deve essere un gioco a somma zero. Nel lungo termine – e questo è forse sta parlando il mio lato asiatico – paga essere paziente. Paga riconsiderare obiettivi e priorità alla luce di un’equazione molto più grande che include te e i tuoi utenti, certo, ma anche legislatori, politici, la comunità. E direi, soprattutto, include le stesse attività che vuoi innovare.
Tedx Translated by Sara Leonetti
Reviewed by Anna Cristiana Minoli