di Fabio Massimo Parenti – Il destino dell’Europa non è roseo. Lo spazio occidentale del continente eurasiatico sta precipitando in una grave crisi che spazzerà via una grande quantità di capacità industriale nell’UE. Secondo tutte le indicazioni, una recessione nella zona euro è quasi una conclusione scontata.
Le autorità europee hanno inanellato una serie di errori, tali da creare una situazione negativa irreversibile nel breve periodo e difficilmente reversibile nel medio e lungo periodo. Ne menziono due: la scelta di passare da contratti energetici oil-link a lungo termine, che garantivano stabilità dei prezzi, a contratti gas-to-gas spot, cosa che ha contribuito a subire la dinamica inflattiva sui prezzi dell’energia fin dal 2021; la scelta di sostenere militarmente Kiev ed abusare contestualmente delle sanzioni contro la Russia.
Al di là delle sanzioni che colpiscono duramente l’eurozona ed hanno un impatto limitato sulla Federazione Russa, sarebbe stato nell’interesse dell’UE sostenere una posizione di neutralità nel conflitto russo-ucraino ed avanzare piani seri ed articolati per riformare, inevitabilmente, la struttura di sicurezza europea. Al contrario, si è deciso di continuare sulla strada della cobelligeranza e dell’intransigenza. La prima opzione, quella della neutralità, della ricerca del negoziato a partire da una presa in carico delle preoccupazioni di sicurezza delle parti coinvolte e della ricerca del dialogo per evitare l’escalation, è l’unica plausibile, come sostenuto non solo dalla Cina, ma da innumerevoli personalità statunitensi, benché rimangano inascoltate in patria. Pensiamo a Henry Kissinger, John Mearsheimer, Jeffrey Sachs e molte altre voci autorevoli. E’ necessario avere un pensiero sistematico su Russia e Cina per perseguire nuove forme di coesistenza reciprocamente vantaggiose.
Seguendo i “suggerimenti” degli Usa, ed il loro afflato da nuova guerra fredda, l’UE ha deciso di operare contro se stessa ed, in tutta evidenza, a vantaggio dei piani strategici statunitensi di lungo termine. Parlando della riduzione della dipendenza energetica dalla Russia, il 30 settembre scorso Antony Blinken ha dichiarato: “ciò è molto significativo ed offre enormi (tremendous) opportunità strategiche per gli anni a venire”.
Dulcis in fundo, la decisione della BCE di alzare i tassi di interesse di 75 punti basi (anche qui inseguendo la Fed), dopo 23 anni dall’ultima volta, non potrà far altro che impattare sui debiti privati e pubblici, sulla produzione e sui consumi, in uno scenario di recessione economica.
Per placare l’inflazione galoppante ci vorrà del tempo e ci vorranno, ancora una volta, le politiche di austerità fiscale già conosciute negli ultimi lustri. Mi riferisco alle politiche architettate a Maastricht e dispiegatesi a partire dalla crisi dei debiti sovrani. Sono in molti a prevedere un nuovo periodo di austerità fiscale (a cui si aggiungerà quella energetica), che sarà insostenibile per paesi come Italia e Spagna. Per questi motivi credo, insieme a molti altri, che una “crisi-tsunami” si abbatterà sull’Europa. La spirale negativa che andremo a sperimentare a breve sembra lasciare poche speranze sull’efficacia di misure tampone e non strutturali. Soprattutto dopo il sabotaggio dei gasdotti baltici, NS1 e NS2.
Inoltre, le scelte adottate hanno colpito anche la moneta unica europea, che ha dapprima raggiunto la parità col dollaro, per poi scivolare al di sotto del suo valore. Fuoriuscita di capitali, indebolimento competitivo e assenza di visione strategica non potevano che minarne la fiducia internazionale. Il sistema produttivo europeo sarà indebolito anche per questa via, a causa di maggiori costi generalizzati derivanti dal combinato di inflazione, svalutazione e limitazione dei consumi. Germania e Italia sono e saranno le più penalizzate dal punto di vista produttivo. Il calo degli indici PMI è preoccupante, per non parlare di alcuni indicatori finanziari nei mercati dei derivati che assomigliano in tutto e per tutto ai valori del 2008.
Il quadro generale è stato peggiorato dalle scelte che continuano a fomentare la guerra, che oggi è in fase di escalation e potrebbe andare fuori controllo. L’UE non può e non deve entrare in guerra con la Russia, ma sta facendo di tutto per farlo a pieno titolo.
Per altro verso, l’indebolimento del commercio mondiale, almeno stando alle stime di luglio del FMI per il 2022 e 2023, non può non coinvolgere l’Europa. Basti pensare che le esportazioni della Germania sono crollate rapidamente dall’inizio dell’anno e che per la prima volta da 30 anni a questa parte – secondo l’ufficio di statistica tedesco – il paese ha registrato i primi deficit della bilancia commerciale. Anche l’Italia è in disavanzo commerciale dalla fine dello scorso anno, una situazione inedita a fronte di circa dieci anni di attivi. Non va dimenticato infine la centralità della Germania nella costruzione della moneta unica, il collasso della prima non potrà che essere fatale per la seconda.
Come se non bastasse, alle tensioni geopolitiche e alla guerra in Europa si aggiunge un periodo storico di cambiamento del paradigma tecno-sociale, la cosiddetta quarta rivoluzione tecnologica, che coinvolge la “svolta green”, ovvero la neutralità carbonica, la mobilità sostenibile e la digitalizzazione spinta per l’implementazione delle nuove tecnologie produttive (come l’IoT) e delle monete elettroniche. Come affrontare questi cambiamenti nel bel mezzo di tali sommovimenti geopolitico-economici? L’Europa non è preparata, ha preso decisioni controproducenti e si avvia sulla strada della stagflazione (stagnazione + inflazione) e della recessione.
Tutto ciò potrà essere molto più traumatico rispetto agli anni Settanta del secolo scorso, quando gli scontri della guerra fredda, gli shock petroliferi, l’implementazione delle nuove ICT e il cambiamento del sistema monetario internazionale dischiusero il riassetto della geografia economica mondiale all’insegna del neoliberalismo e della prima fase della globalizzazione guidata dall’Occidente. La differenza principale, oggi, sta nelle dinamiche geopolitiche, più veloci, fluide e potenzialmente distruttive, data la tensione generata dal manifestarsi concreto di una multipolarità economica de facto che non viene accettata dai “vecchi padroni del mondo”.
Dall’indebolimento pandemico alla crisi energetica, avviatasi prima del conflitto con la Russia ed acuitasi negli ultimi mesi, le prospettive economiche per l’Occidente, e l’Europa in particolare, sono sfavorevoli e preoccupanti. In questo frangente storico continuare a seguire la strada intrapresa finora si rivelerà esiziale per la stessa sopravvivenza dell’architettura istituzionale europea e della moneta unica. Ogni giorno che passa quest’esito sembra diventare sempre più una certezza.
L’AUTORE
Fabio Massimo Parenti è attualmente Foreign Associate Professor di Economia Politica Internazionale alla China Foreign Affairs University, Beijing. Ha insegnato anche in Italia, Messico, Stati Uniti e Marocco ed è membro di vari think tank italiani e stranieri. Il suo ultimo libro è “La via cinese, sfida per un futuro condiviso” (Meltemi 2021). Su twitter: @fabiomassimos