di Elena Tioli – Da una parte pesticidi, capitozzature, arature e estirpazioni. Dall’altra: ripristino della fertilità, buone pratiche agricole, criteri biologici e agroecologia. Se la scienza è prima di tutto metodo, osservazione e conoscenza empirica, sulla strada da seguire gli ulivi avrebbero qualcosa da dire.
“Questo è l’olivo di contrada da Lamacesare-Termetrio che a settembre dell’anno scorso è stato definito infetto dal batterio Xylella fastidiosa da parte dell’Osservatorio Fitosanitario di Bari. Questa è l’ingiunzione. Questa è la cartina. Non ci si può sbagliare! Come si può vedere l’albero non ha alcun ramo secco. Sono passati quasi 9 mesi dalla segnalazione, ma a differenza di quanto sarebbe dovuto accadere secondo la Regione Puglia e il Cnr, qui non c’è alcun segno di malattia”. A parlare è Angelo Cardone, coltivatore ed esponente del Comitato per la salvaguardia dell’ambiente e del territorio della Valle dell’Itria. “Tanti giornali hanno parlato di segnali evidenti di disseccamento. Di Xylella che avanza. Hanno pubblicato foto di alberi secchi e gialli. Ma la realtà è un’altra”. Siamo a Cisternino e, in effetti, l’olivo che abbiamo davanti è verdissimo. Come tutti quelli attorno. Eppure vorrebbero abbatterli. E in fretta. “Per evitare il contagio, dicono. Dopo 9 mesi nei quali nulla è stato fatto, ora hanno fretta. Perché? Forse il motivo è proprio che queste piante nonostante la presenza del batterio siano sanissime e rappresentino una testimonianza scomoda che dimostra, in pieno campo, che la Xylella non è la causa della malattia degli olivi del Salento”.
Effettivamente non ci sono studi scientifici o pubblicazione ufficiali che dimostrino un rapporto di causa-effetto tra il batterio della Xylella e il disseccamento rapido degli olivi (Co.Di.RO..) “Malgrado ciò il Decreto Martina si basa proprio su questo – continua Angelo – Su questo e su un’altra affermazione del tutto svincolata da qualsiasi prova scientifica, ossia che gli alberi affetti dal disseccamento siano destinati a morire sebbene diverse sperimentazioni, tra le quali alcune finanziate dalla stessa Regione Puglia, dimostrino il contrario”.
Evidenze, queste sì scientifiche, che a quanto pare l’ex Ministro dell’Agricoltura non ha considerato. “È da quando è iniziata questa faccenda che si sta cercando di attuare uno scellerato piano ai danni delle attività agricole, dell’economia, dell’ambiente e della salute delle popolazioni che abitano queste terra. Prima il Piano Silletti, poi la Legge Regionale del 29 marzo 2017 e ora il Decreto Martina. Tutte iniziative legislative che propongono pesticidi e eradicazioni ad ampio spettro”. Gli abbattimenti, infatti, non riguardano solo gli olivi infetti ma tutti quelli presenti nel raggio di 100 metri anche se sani, nonché tutte le specie di piante ospiti del batterio (circa 300 specie). “Una strage insomma, che oltre a cancellare l’olivicoltura pugliese, spazzerà via altre migliaia di piante, distruggendo in maniera irreversibile il nostro ecosistema” accusa Cardone. Nel mirino del Decreto Martina ci sono difatti anche querce, mirto, carrubi, oleandri, rosmarino e la maggior parte delle essenze della macchia mediterranea. Per ogni ulivo infetto si devono rimuovere i 3,14 ettari circostanti: “Anche qui sarebbe interessante capire come e da chi è stata stabilita questa misura. Davvero qualcuno pensa che la sputacchina (l’insetto vettore del batterio Xylella, ndr) rispetti i confini tracciati dall’Osservatorio di Bari?”.
Lo stesso Decreto Martina paradossalmente ne mette in dubbio l’efficacia: “Il solo metodo di diffusione naturale di Xylella è attraverso insetti vettori che generalmente volano a brevi distanze, fino a 100 m, ma è possibile che siano trasportati dal vento ben oltre tale distanza – si legge al punto 3.4 – La diffusione del materiale vegetale infetto e vettori da parte di persone comuni mediante automobili o navi, o attraverso il trasporto di terreno agricolo, devono essere prese in considerazione. La movimentazione di materiale vegetale infetto è considerata la forma più efficace di dispersione a lungo raggio di X. fastidiosa. La diffusione è considerata come molto probabile, con una media incertezza. È difficile delineare i limiti dell’area contaminata. Ciò non influenza però la bassa incertezza generale riguardo alla probabilità di diffusione. È difficile caratterizzare fino a che punto l’epidemiologia e la diffusione nell’area infetta possa essere trasposta in una diffusione potenziale in altre aree”.
Ma non basta, tra le autorevoli raccomandazioni del Decreto troviamo anche: “Assicurarsi di non avere sugli abiti e sulle scarpe insetti vettori prima di risalire sul mezzo di trasporto e chiudere, prudentemente, i finestrini degli automezzi durante la sosta in zone infette”.
Sarebbe interessante capire come questa misura sarà spiegata alle migliaia di turisti che nei prossimi mesi si riverseranno in Salento, zona infetta per eccellenza.
A poche decine di metri si scorgono 2 cubi verdi: “Sono ulivi millenari capitozzati nella peggiore delle maniere, a cui hanno messo una rete di nailon attorno… senza però coprire la parte alta. Pensano davvero che un metodo del genere sia efficace per il contenimento della sputacchina, un insetto minuscolo che oltretutto vola? In questo modo si maltratta esclusivamente la pianta!”. In effetti quell’impalcatura lascia non poco perplessi.
“Se il Decreto Martina non fosse una spada di Damocle sulla nostra testa a leggerlo verrebbe da ridere – commenta Angelo – ci rediamo conto che stiamo parlando di misure che non hanno alcuna base scientifica?”. L’unica cosa certa è che queste misure, se realizzate, devasterebbero un intero ecosistema mettendo per giunta seriamente a rischio la sicurezza di chi vive in quelle zone. È bene ricordare, infatti, che su molti dei siti dichiarati infetti non solo vige il vincolo ambientale ma addirittura quello idrogeologico: “Questi abbattimenti saranno causa di smottamenti, alluvioni, erosione della biodiversità. Stiamo parlando di danni gravissimi al territorio e al paesaggio con una conseguente perdita di reddito e di valore fondiario”.
Per non parlare dei danni che l’uso generalizzato di insetticidi provocherà alla – già fortemente provata – salute dei cittadini. “I fitofarmaci che il Decreto Martina impone di utilizzare per 4 trattamenti nel giro di pochi mesi sono estremamente pericolosi per la salute dell’uomo e degli altri esseri viventi. Tra questi vi sono addirittura due neonicotinoidi, prodotti neurotossici che l’Unione europea ha recentemente messo al bando. Dov’è la scienza in tutto questo?”.
Lo chiediamo a Margherita D’Amico, laureata in Scienze Biologiche, con titolo di Dottore di Ricerca in “Patologia vegetale” presso il Dipartimento di Patologia vegetale dell’Università di Bari (un’importante attività di ricerca documentata da oltre 30 lavori scientifici pubblicati su riviste nazionali e internazionali). Attualmente responsabile scientifica del progetto “Sistemi di lotta ecocompatibili contro il CoDiRO”, finanziato dalla regione Puglia nell’ambito delle “Linee guida per il parco della ricerca e sperimentazione finalizzata alla prevenzione e al contenimento del complesso del disseccamento rapido dell’olivo”, e sviluppato in collaborazione con il CNR di Perugia.
“Il nostro è un approccio agroecologico basato su una visione sistemica più che sintomatica – spiega Mrgeherita – Per questo siamo partiti da un’analisi del suolo che ci ha decritto una situazione inquietante: in Salento la sostanza organica presente nel terreno è al di sotto dell’1%. Pensate… i suoli desertici hanno una sostanza organica che varia da 0 a l’1%. Questo significa che la terra qui è in condizioni tali da rendere inospitale la vita. Come nel deserto. Tant’è che persino una pianta millenaria come l’olivo che ha resistito per secoli e millenni a diverse condizioni ambientali anche estreme, ora non ce la fa più. Non ha più la capacità di difendersi, non ha più, per esempio, le defensin proteins, non riesce più a produrle”. Le defensin proteins sono peptidi situati nelle cellule anche dei vegetali, oltre che in quelle degli animali, che da un lato consentono l’efflusso di ioni essenziali e sostanze nutritive e dall’altro svolgono un ruolo centrale nella difesa contro gli agenti patogeni. “Capite bene che con questi presupposti qualsiasi essere sarebbe esposto a ogni genere di agente patogeno. Anche a quei patogeni fino ad oggi innocui”.
Insomma, se queste sono le basi il lavoro non deve essere stato facile. “Per niente, ma i risultati al contrario delle più nefaste aspettative non si sono fatti attendere! Quando abbiamo iniziato a lavorare, circa 15 mesi fa, le piante, localizzate in piena zona focolaio vicino a Gallipoli, erano completamente disseccate. Oggi quelle stesse piante sono in fiore!”.
Un miracolo?! “Assolutamente no, al contrario: una combinazione di scienza e saggezza culturale – afferma D’Amico – Recentemente anche la Fao ha dichiarato esaurito il modello agricolo basato sulla chimica di sintesi dando ampio spazio a sistemi più innovativi e efficaci”. L’agorecologia appunto, ossia l’applicazione dei principi ecologici alle diverse produzione nonché alla gestione di agrosistemi. Ma come funziona?
“Qui siamo partiti da una buona potatura, utilizzando tecniche che per generazioni sono state tramandate e che purtroppo negli ultimi decenni si sono perse. Ovviamente una volta potato non abbiamo lasciato scoperte le ferite, le abbiamo coperte e disinfettate. Come ogni buon potatore sa, infatti, lasciare le ferite da taglio aperte significa esporre la pianta all’attacco di funghi, batteri, insetti e calamità”. Cosa che in Salento negli ultimi anni è stata fatta da molti, con i risultati che purtroppo oggi sono sotto gli occhi di tutti.
“Subito dopo la potatura abbiamo disinfettato anche il tronco e le branche principali con solfato di ferro, dove colonie di insetti parassiti avevano da tempo preso dimora. E poi ci siamo dedicati al terreno iniziando con una leggera erpicatura per smuovere un po’ la terra che si presentava dura e compatta come un pavimento! – continua D’Amico – i trattamenti che sono seguiti miravano a migliorare le condizioni fitosanitarie dell’olivo e dell’ambiente in cui gli olivi vivono. Nei mesi successivi è stata effettuata la semina delle piante da sovescio, per lo più mugnuli (varietà di broccolo locale) che contengono i glucosinolati cioè molecole ricche di zolfo e biologicamente attive nei confronti di funghi, batteri e insetti, e il favino che essendo una leguminosa è in grado di captare l’azoto atmosferico e trasformarlo in molecole nutritive utili alla pianta. In aggiunta abbiamo utilizzato un biofertilizzante, prodotto seguendo il protocollo pubblicato da Jairo Restrepo Rivera, un agronomo e ricercatore colombiano, a base di letame bovino arricchito con lieviti, i quali sono in grado di trasformare le molecole organiche, contenute nel letame, in molecole più semplici e facilmente assimilabili dalla pianta. E poi ancora boro e zinco”.
E i risultati non si sono fatti attendere. “Quando abbiamo effettuato i primi rilievi analizzando la gravità della malattia, il potenziale idrico e lo stato idrico delle foglie, non credevamo ai nostri occhi: le piante erano rinate!” dichiara Margherita con la gioia negli occhi. “Dopo un anno abbiamo una fioritura spettacolare. È passato solo un anno e abbiamo già piccole drupe. Certo non si parla di produzione a pieno regime, ma comunque noi quest’anno produrremo l’olio e lo faremo raccogliendo i frutti di piante che erano gravemente disseccate e date per spacciate!”.
Peccato che non si possa saperne di più. “I risultati preliminari di questa ricerca sarebbero dovuti essere presentati a un convegno monotematico in primavera 2018 ma purtroppo sono tuttora chiusi in un cassetto del Dipartimento delle politiche Agricole della Regione Puglia”. Il motivo non è chiaro, così come non si comprende l’intenzione di interrompere questa e altre sperimentazioni che, in un lasso di tempo così limitato, stanno dando risultati più che soddisfacenti. La Regione Puglia, infatti, potrebbe interrompere il finanziamento già a settembre, dopo soli 18 mesi dall’inizio del progetto, anche se uno studio scientifico condotto in pieno campo per essere accreditato come tale deve esser svolto nell’arco di almeno 3 anni. “Bloccare tutto dopo soli 18 mesi non ha senso, a maggior ragione nel caso in cui i risultati siano evidenti – conclude Margherita – ma se questo dovesse succedere noi comunque non ci fermeremo. Il nostro lavoro ha raccolto il consenso di molte realtà italiane e europee che ci stanno sostenendo anche economicamente. Noi quindi andremo avanti, con o senza la Regione”.
Ad andare avanti senza finanziamenti è anche Roberto Polo, apicoltore, olivicoltore e presidente dell’associazione Salento Sostenibile, che insieme al prof. Giusto Giovannetti, microbiologo, fondatore e direttore del Centro Colture Sperimentali di Aosta, sta portando avanti una sperimentazione denominata Bicc, Bio contrasto al CoDiRo. “Come ha affermato la D’Amico occorre procedere con una visione sistemica del problema. Il sintomo non è che il segnale che qualcosa non va. Non si combattono i sintomi, si indaga sull’origine e all’origine c’è una situazione di debolezza della pianta che permette a qualsiasi patogeno di trovare terreno fertile – spiega Polo – Ripartire dal terreno significa quindi ristabilire un equilibrio che è stato distrutto e rimettere così l’ulivo nelle condizioni di difendersi da solo. Come ha sempre fatto”.
La sperimentazione Bicc sui campi salentini ha inizio nel marzo 2016 con 6 aziende pari a circa 12 ettari comprensivi ma grazie ai risultati positivi, attualmente la sperimentazione copre circa 64 ettari di oliveto, coinvolgendo 41 aziende agricole distribuite su tutta la provincia di Lecce e con notevoli differenze l’una dalle altre relativamente alle dimensioni, alla composizione del suolo, alla fertilità, alla risorsa idrica, alla localizzazione, all’esposizione e alla pressione del patogeno Xylella.
Il metodo è lo stesso per tutte si inocula nel terreno un biota microbico in grado di indurre una resistenza e di contrastare l’occupazione dell’apparato vascolare da parte del patogeno. “Un procedimento scientificamente provato che ha già funzionato su altre piante da frutto e su altre tipologie di patogeni – spiega Polo – basti pensare alla flavescenza dorata della vite in Piemonte o il colpo di fuoco del pero in Emilia Romagna. Quest’ultima è una batteriosi da quarantena proprio come la Xylella e, grazie a questa metodologia, le Università di Parma e Reggio sono riuscite a recuperare fino al 97% delle piante compromesse dalla batteriosi. Ma non basta! Le analisi di genomica svolte prima e dopo la sperimentazione hanno dimostrato come a seguito del ripristino della fertilità del suolo anche il Dna delle piante sia cambiato per adeguarsi alle nuove necessità e ripristinare la loro vitalità. Del resto proprio la scienza ci insegna che il bagaglio genetico può mutare al mutare delle esigenze degli organismi”.
Insomma, un approccio non solo scientifico ma anche coerente con le misure stabilite dal Programma Sviluppo Rurale Puglia 2014-2020, che mirano al ripristino della fertilità dei suoli, e in linea con l’ultima frontiera della ricerca internazionale. Basti pensare che nei soli Stati Uniti tra il 2012 e il 2014, sono stati spesi ben 920 milioni di dollari in ricerche sul microbioma, terrestre e umano. E allora perché non prenderlo in considerazione? “In molti piuttosto che cambiare preferiscono procedere con gli stessi mezzi che ci hanno condotto a questo sfacelo – commenta Roberto – Sempre più evidenze scientifiche dimostrano come proprio i pesticidi siano la principale causa di deterioramento della terra, contaminazione dell’acqua e perdita di biodiversità e quindi dell’incapacità di reagire delle piante! Ma c’è chi ancora vorrebbe irrorare le nostre terre già sfinite di altri veleni”. Veleni che oltretutto non risolvono il problema. Un recente studio dell’Ispra rivela che nell’impiego di insetticidi soltanto lo 0,1% dei principi attivi usati nei campi raggiungono l’obiettivo per cui sono stati usati, il resto è destinato a raggiungere le acque superficiali e le falde. In soldoni? Non saranno i fitofarmaci stabiliti dal Decreto a debellare la sputacchina. Al contrario, comprometteranno ulteriormente la situazione. “Purtroppo farlo capire è dura – afferma Roberto – Anche se a volte basterebbe provare”.
“Delle 40 aziende che stanno portando avanti la sperimentazione non tutte hanno avuto gli stessi risultati. Abbiamo quindi indagato sulle differenze e abbiamo appurato che le reazioni migliori le piante le hanno avute in assenza di sostanze chimiche, diserbo e arature – spiega Roberto – Vedere con i propri occhi il miglioramento ha spinto molti produttori a scegliere di convertirsi in biologico. Una decisione che ha notevolmente migliorato i risultati già buoni della sperimentazione”. I terreni coltivati con il metodo biologico infatti, rispetto a quelli trattati con i metodi tradizionali, hanno fino al 70% di humus in più e sono in grado di trattenere mediamente il 55% in più di acqua. “Insomma, la pianta ritorna a vivere! Guardate!”
Una strada sterrata taglia in due un immenso terreno: da una parte alberi capitozzati trattati con metodi convenzionali, la terra arata e spoglia, dall’altra un uliveto verde, un verde intenso che non lascia spazio a dubbi: né la Xylella né il Co.Di.RO.. saranno la fine degli ulivi autoctoni salentini. A cancellare quella storia millenaria al massimo sarà l’uomo, con la sua incapacità di comprensione, collaborazione e reazione.
Venerdì 25 Maggio a Bari ci sarà una manifestazione contro gli espianti e gli avvelenamenti. Tutte le info qui
Photos © www.vivicomemangi.it
L’AUTORE
Elena Tioli, classe 1982, nata a Mirandola (Mo), romana di adozione. Dopo molti anni passati in redazioni televisive, ora si occupa di ufficio stampa e comunicazione trattando soprattutto temi legati alla politica, alla decrescita e all’ambiente. Freelance per scelta, collabora con diverse realtà ecologiche e solidali. Per passione si interessa di alimentazione consapevole e stili di vita sostenibili. È autrice del blog www.vivicomemangi.it e www.viveresenzasupermercato.it. A febbraio 2017 ha pubblicato il libro Vivere senza supermercato (ed. Terra Nuova) in cui racconta la sua avventura fuori dalla grande distribuzione organizzata.