Lo screening sistematico del tumore alla prostata non verrà esteso alla grande maggioranza degli uomini nel Regno Unito, come riportato sul The Guardian. A indicarlo è il Comitato Nazionale per lo Screening (UKNSC), organo consultivo del governo. Una posizione che ha suscitato una profonda delusione tra associazioni e attivisti che si occupano di tumori maschili. Gli esperti propongono invece un programma mirato per gli uomini portatori confermati di varianti difettose dei geni BRCA1 o BRCA2, che aumentano il rischio di sviluppare tumori più aggressivi e in età più precoce. Per loro si ipotizza uno screening ogni due anni, tra i 45 e i 61 anni.
Secondo il comitato, estendere lo screening a tutti gli uomini o a chi ha una storia familiare rilevante di tumore comporterebbe più danni che benefici. I modelli mostrano una possibile lieve riduzione dei decessi per tumore alla prostata, ma a fronte di livelli molto elevati di sovradiagnosi, cioè di tumori individuati e trattati pur non essendo destinati a causare problemi nel corso della vita. Per quanto riguarda gli uomini neri, che presentano un rischio più alto di ammalarsi, l’UKNSC ha giudicato le evidenze disponibili ancora insufficienti e troppo incerte per raccomandare un programma specifico.
Il ministro della Salute, Wes Streeting, ha dichiarato che analizzerà con attenzione dati e argomentazioni alla base di questa proposta. La bozza sarà sottoposta a una consultazione pubblica di dodici settimane, al termine della quale, a marzo, verrà formulata la raccomandazione definitiva al governo.
Il tumore alla prostata è il tumore maschile più diffuso nel Regno Unito (così come in Italia). Colpisce circa un uomo su otto, con circa 55.300 nuove diagnosi e 12.200 decessi l’anno. Nonostante in Uk sia il secondo tumore più comune in assoluto dopo il cancro al seno, non esiste un programma di screening nazionale (lo stesso vale per il nostro paese). Uno dei motivi principali è l’affidabilità limitata del test del PSA, l’antigene prostatico specifico.
Per gli uomini neri il rischio è ancora più alto, con una probabilità stimata di diagnosi pari a un uomo su quattro nel corso della vita. Inoltre, hanno maggiori probabilità di ricevere una diagnosi tardiva rispetto agli uomini bianchi. Nonostante questo, il comitato non raccomanda per loro uno screening dedicato, proprio per la scarsità e l’incertezza dei dati disponibili. Nei modelli esaminati, un ipotetico programma annuale per gli uomini neri tra i 55 e i 60 anni porterebbe a sovradiagnosticare circa il 44% dei tumori alla prostata rilevati. Si tratta in molti casi di forme a crescita lenta e poco aggressive, che non richiederebbero necessariamente trattamenti invasivi.
L’UKNSC stima che tra il 40 e il 50% dei tumori diagnosticati tramite test PSA rientrerebbe in questa categoria a crescita lenta. Sottoporli a ulteriori accertamenti e terapie aumenterebbe i casi di sovradiagnosi e sovratrattamento, con un impatto importante sulla qualità di vita. Il comitato richiama il rischio di ansia inutile e di effetti collaterali permanenti come incontinenza, disfunzione erettile e disturbi urinari per tumori che non avrebbero mai causato danni concreti.
La conclusione è che uno screening esteso a tutti gli uomini, indipendentemente dal rischio individuale, ridurrebbe solo in misura modesta la mortalità per tumore alla prostata, a prezzo di un numero molto elevato di diagnosi e trattamenti non necessari. Per motivi analoghi, il comitato non raccomanda lo screening sistematico neppure per gli uomini con una storia familiare di tumore alla prostata, al seno o alle ovaie. Le varianti difettose dei geni BRCA1 e BRCA2 aumentano il rischio di diversi tipi di tumore, tra cui quelli al seno, al pancreas, alle ovaie e alla prostata. Secondo Cancer Research UK, tra una persona su 300 e una su 400 presenta una mutazione di BRCA1 o BRCA2 e molte non lo sanno. Alcune comunità, come quella ebraica, sono più esposte. Tra gli ebrei ashkenaziti il rischio stimato è di una persona su 40, tra gli ebrei sefarditi una su 140.
Gli uomini che hanno in famiglia casi di tumore alla prostata, al seno o alle ovaie vengono invitati a parlarne con il proprio medico di base, che può proporre un esame del sangue o della saliva per verificare la presenza di una mutazione BRCA. Il comitato non ha fornito una stima precisa del numero di uomini che rientrerebbero nel programma di screening proposto, ma si prevede che si tratti solo di alcune migliaia di persone, data la relativa rarità di queste varianti genetiche. La decisione di puntare su uno screening mirato agli uomini con mutazioni BRCA è stata accolta in modo diverso dalle organizzazioni impegnate sul tumore alla prostata. Alcune hanno esposto apprezzamento per questo passo avanti, mentre altre, insieme a figure pubbliche, hanno manifestato forte delusione per l’esclusione di altri gruppi ad alto rischio.
Cancer Research UK ha dichiarato di condividere la conclusione del comitato secondo cui, per gli altri gruppi di uomini, non esistono al momento prove sufficienti e di qualità adeguata che dimostrino come uno screening generalizzato possa portare complessivamente più benefici che danni. Il dottor Ian Walker, direttore esecutivo per le politiche dell’organizzazione, ha ricordato che il test del PSA è in grado sia di non individuare alcuni tumori pericolosi sia di segnalare tumori che non richiederebbero cure. Ha aggiunto che resta ancora molto lavoro da fare per capire in che modo concreto potrà essere realizzato il programma di screening proposto e che Cancer Research UK attende ulteriori dettagli dall’UKNSC.
Anche la professoressa Kamila Hawthorne, presidente del Royal College of General Practitioners, ha sostenuto l’approccio basato sulle evidenze adottato dal comitato. Ha sottolineato che la decisione di non raccomandare lo screening a tutta la popolazione maschile riflette la mancanza di prove sulla capacità del test PSA di individuare in modo affidabile i tumori che hanno davvero bisogno di essere trattati. Posizioni molto diverse arrivano invece da Prostate Cancer UK e Prostate Cancer Research, che insieme a personalità pubbliche come Stephen Fry, Rishi Sunak e l’ex primo ministro David Cameron hanno espresso profonda delusione. A loro avviso, il rischio è che molti uomini continuino a ricevere diagnosi tardive o a morire per una malattia potenzialmente curabile.
Laura Kerby, amministratrice delegata di Prostate Cancer UK, ha definito la scelta del comitato un danno per decine di migliaia di uomini e per le loro famiglie, che in questi anni hanno chiesto con forza un programma di screening. Ha riconosciuto che includere gli uomini con mutazioni BRCA può salvare alcune vite, ma ha ricordato che questa riguarda solo una frazione del problema complessivo. Ha però sottolineato che, per la prima volta, viene raccomandato uno screening di qualsiasi tipo per il tumore alla prostata e che questo dimostra come la ricerca possa modificare le prospettive di salute della popolazione maschile.
Prostate Cancer Research ha definito un grave errore l’esclusione degli uomini neri e degli uomini con una forte storia familiare della malattia, sostenendo che questa scelta ignora le evidenze più recenti e rischia di allargare le disuguaglianze sanitarie per un’altra generazione. Fry e Sunak, ambasciatori delle campagne sulla ricerca per il tumore alla prostata, hanno entrambi ribadito la loro delusione. Sunak ha parlato di occasione mancata per ottenere un cambiamento di portata generazionale nella salute degli uomini, mentre Fry ha affermato che gli uomini nel Regno Unito meriterebbero molto di più.
David Cameron, che all’inizio della settimana ha rivelato di essere stato curato per un tumore alla prostata, ha detto di sentirsi a sua volta deluso dalla decisione. Secondo lui, si continuerà a deludere troppi uomini se non si lavorerà a un programma di screening più ampio, che includa tutti i gruppi considerati ad alto rischio, e non soltanto chi ha una mutazione genetica nota. Streeting ha ribadito che il suo obiettivo è introdurre lo screening per il tumore più frequente tra gli uomini, purché questo sia sostenuto da prove solide. Ha spiegato di volere un Servizio Sanitario Nazionale in grado di diagnosticare prima e curare più rapidamente, ricordando allo stesso tempo che bisogna tenere conto dei possibili danni di uno screening eccessivamente esteso. Ha assicurato che valuterà con attenzione le evidenze e le diverse posizioni espresse prima della decisione finale prevista per marzo.
Nel frattempo, il governo intende continuare a lavorare sulla riduzione dei tempi di attesa per la diagnosi oncologica e a investire nella ricerca sul tumore alla prostata. Negli ultimi dodici mesi, secondo i dati forniti dal ministro, 193.000 pazienti in più hanno ricevuto in tempi adeguati una diagnosi di sospetto tumore.





