di Sonaar Luthra – Dobbiamo creare un servizio meteorologico per l’acqua. Ma finché non chiediamo collettivamente un’assunzione di responsabilità, non ci saranno gli incentivi per finanziarlo.
Affrontare i rischi idrici nel futuro richiederà dati migliori e una maggiore tecnologia, oggi usiamo a malapena i pochi dati sull’acqua che abbiamo. I nostri maggiori problemi idrici persistono a causa di ciò che non facciamo e dei problemi che non riconosciamo. Ci sono pochi dubbi su quello che i dati idrici odierni ci dicono di fare: dobbiamo risparmiare di più e inquinare meno. Ma i dati attuali non ci aiuteranno a prevedere i rischi emergenti. Stanno diventato velocemente inutili per questo scopo. Prima avevano un maggiore valore, ma non sono mai serviti per capire con reale precisione, quanta acqua abbiamo o cosa contenga.
Consideriamo le statistiche sull’uso dell’acqua nell’ultimo decennio di ogni nazione del G20. I numeri non ci dicono esattamente quanta acqua utilizzino gli stati. Si tratta di stime, basate su modelli obsoleti che non considerano la crisi climatica, o il suo impatto sull’acqua.
Nel 2015, Chennai, la sesta città più grande dell’India, è stata colpita dalla peggiore inondazione del secolo. Oggi, le sue riserve idriche sono quasi a zero. Ci sono voluti tre anni per arrivarci, tre anni di piogge al di sotto della media. Nonostante ci fossero state delle previsioni che avevano anticipato le gravi carenze idriche di Chennai, nessuna poteva aiutarci a determinare esattamente quando o dove sarebbe accaduto. Si tratta di un nuovo problema idrico, perché la velocità con cui ogni aspetto del nostro ciclo idrologico cambia sta aumentando. Come ha rivelato un recente avviso dell’ONU: affrontiamo ogni settimana una nuova emergenza climatica.
Ci aspettano maggiori incertezze sulla qualità dell’acqua in futuro. Nella maggior parte delle nazioni è raro che i corpi idrici siano testati per più di qualche contaminante all’anno. Al posto dei test, usiamo ciò che chiamiamo “modello di diluizione” per controllare l’inquinamento. Immaginate che prenda una piscina olimpionica, la riempia di acqua fresca e aggiunga una goccia di mercurio. Così si diluirebbe il mercurio di una parte per miliardo, ben al di sotto di quello che considera sicuro l’Organizzazione mondiale della sanità. Ma se ci fosse un calo imprevisto nella quantità d’acqua disponibile, meno acqua sotterranea, minore portata, meno acqua nella piscina, ci sarebbe meno diluizione, e la situazione diverrebbe più tossica. È così che la maggior parte delle nazioni si occupa dell’inquinamento. Usano questo modello per sapere quanto inquinamento è sicuro. Ha delle carenze evidenti, ma ha funzionato a sufficienza quando c’era acqua in abbondanza e un andamento meteorologico costante. Ora che tutto ciò non esiste più, dovremo sviluppare e investire in nuove strategie di raccolta dati.
Una recente analisi rivela che l’acqua non è una priorità. Nel 2014, il governo federale americano ha speso 11 dollari per cittadino nelle infrastrutture idriche, contro i 251 dollari per le infrastrutture di tecnologia informatica. Quindi, quando non usiamo i dati che abbiamo, non incoraggiamo l’investimento in nuove tecnologie, né ulteriori raccolte dati, e non incoraggiamo l’investimento per assicurare un futuro all’acqua.
Quindi siamo condannati? Parte di ciò che sto ancora imparando è come conciliare catastrofe e urgenza con ciò che possiamo fare.
È difficile immaginare una vita senza servizio meteorologico, ma prima delle previsioni meteorologiche moderne, non avevamo un trasporto commerciale aereo, era normale per le navi perdersi in mare, e una sola tempesta poteva causare una carenza di cibo. Con l’arrivo delle reti, radiofonica e telefonica, tutto ciò che serviva per risolvere i problemi era monitorare i movimenti delle tempeste. Questo ha posto le basi per una raccolta dati mondiale, dalla quale dipendono oggi tutte le case e le aziende. È stato il risultato di una raccolta dati coordinata e continua , e della creazione di una cultura che trovava un maggior valore nel valutare e condividere apertamente tutto ciò che poteva scoprire sui rischi che corriamo.
Un servizio meteorologico mondiale per l’acqua ci aiuterebbe a prevederne le carenze. Ci aiuterebbe a realizzare il razionamento molto prima che le riserve si esauriscano. Ci aiuterebbe a rilevare la contaminazione prima chi si diffonda, a proteggere le nostre filiere, ad assicurare le risorse alimentari, e forse, più di tutto, renderebbe possibile la stima precisa del rischio necessaria per prevenirlo.
Possiamo farlo perché lo abbiamo già fatto con il meteo. Ma ci sarà bisogno di risorse. Dobbiamo incoraggiare un maggiore investimento nell’acqua. Niente è più prezioso.
Una nuova opzione negli USA, che la mia società sta adottanto, si chiama “zone di opportunità”. Offrono un trattamento fiscale agevolato per investire la plusvalenza in determinate aree in difficoltà e a basso reddito. Queste sono aree che stanno affrontando anche enormi rischi idrici, così si creano incentivi per lavorare direttamente con le comunità che necessitano di maggiore aiuto.
Allo stesso modo, l’agricoltura nella maggioranza dei Paesi dipende dai sussidi finanziati dai contribuenti versati ai contadini per garantire e stabilizzare le scorte alimentari. Questi incentivi, per noi, sono un punto di leva cruciale, poiché l’agricoltura è responsabile del consumo del 70% dell’acqua che utilizziamo annualmente. Il ruscellamento di fertilizzanti e i pesticidi sono le due maggiori fonti di inquinamento dell’acqua. Riorganizziamo questi sussidi per chiedere migliore efficienza idrica e un inquinamento minore.
Per concludere: non possiamo aspettarci il progresso se non siamo disposti ad affrontare i conflitti di interesse che soffocano la scienza, minano l’innovazione e scoraggiano la trasparenza. È nell’interesse pubblico misurare e condividere tutto ciò che possiamo imparare e scoprire cosa si nasconde dietro i rischi idrici. La realtà non esiste finché non è misurata. Per misurarla, la tecnologia da sola non basta. Serve la nostra volontà collettiva.