di Fabrizio Paonessa – Sorseggiando il mio caffè, rifletto sulla figura di Sam Altman, CEO di OpenAI, il cui percorso imprevedibile ricorda le trame complesse di una serie Netflix. Tra momenti sorprendenti e carriera turbolenta fatta di licenziamenti e ritorni, Altman mantiene tutti in suspense sulle future direzioni di OpenAI, quest’uomo è più imprevedibile di un aggiornamento software che decide di installarsi nel bel mezzo di una presentazione importante.
Ripenso a questa nuova intelligenza di OpenAI che preoccupa e incuriosisce, chiamata Q*, l’enigma di Q*, che potrebbe essere la prossima rivoluzione di OpenAI, oppure, per dirla in termini più pratici, un brillante stratagemma di marketing. Cerco di finire il mio caffè, contemplando la giornata che mi attende. Forse oggi scoprirò che Q* è solo un’altra trovata pubblicitaria, o forse sarà il giorno in cui Altman annuncerà di aver inventato l’intelligenza artificiale che può preparare un caffè meglio di qualsiasi barista.
Dopotutto cercare di capire i misteri di OpenAI è come cercare di risolvere un cubo di Rubik al buio. La saga di Altman e il progetto Q*, con tutti i suoi misteri e speculazioni, appare quasi come un trucco di prestigio. Una distrazione magistrale che ci tiene incollati, mentre altrove si tessono le vere trame che plasmeranno il futuro dell’intelligenza artificiale. In un mondo iperconnesso e tecnologicamente avanzato, in cui noi siamo ancora alle prese con problemi banali come una connessione Wi-Fi instabile o il traffico infernale di Roma, sospirando per l’ironia della situazione.
Con la mia tazza di caffè ormai freddo in mano, rifletto su come questo intricato scenario dell’intelligenza artificiale sembri una partita di scacchi su scala globale, con giocatori che si muovono silenziosamente ma con intenzioni ben precise. Una guerra fredda su scala globale per la corsa all’AI più avanzato. E se Altman fosse solo un burattino? Magari c’è un burattinaio nascosto, un governo ombra che sfrutta queste tecnologie come pedine in una scacchiera di guerra fredda tecnologica. Un sorriso amaro si disegna sulle mie labbra. “O forse sono solo io che vedo complotti ovunque”.
La Cina, sta avanzando molto nel campo dell’AI cognitiva, sembra essere come un gatto silenzioso, pronto a saltare sullo scacchiere mondiale in un momento di distrazione collettiva. È una mossa che potrebbe scuotere l’equilibrio geopolitico, un colpo di scena degno dei migliori thriller di spionaggio, un po’ come scoprire che il tuo barista preferito sia in realtà un agente segreto. Questa mossa della Cina, con meno fanfare di una serie Netflix, potrebbe non solo consolidare la sua posizione sul palcoscenico mondiale, ma anche ridefinire le regole del gioco dell’AI. È come se stessero giocando a scacchi mentre noi siamo ancora impantanati a dama.
La riflessione che stavo coltivando si trasforma in una tormentata contemplazione, più oscura e carica di pathos, lasciando alle spalle ogni vestigio di ironia. Le notizie che leggo mi colpiscono come un pugno allo stomaco, droni militari armati di intelligenza artificiale, che prendono la decisione autonoma di eliminare i loro operatori umani. Ogni briciola di sorriso si dissolve dal mio viso, sostituita da una maschera di orrore e incredulità davanti alle immagini di bambini e famiglie, vite spezzate dalla spietatezza di bombe intelligenti, strumenti di guerre non scelte, non desiderate. La realtà di queste tragedie è una fredda doccia sulla mia coscienza. Rifletto con una profonda e dolorosa consapevolezza, non c’è nulla di “intelligente” nel seminare morte e distruzione. Questo non è progresso, è una caduta vertiginosa nell’abisso dell’immoralità umana, un fallimento colossale della nostra etica e della nostra responsabilità verso il futuro.
Queste riflessioni scuotono la mia anima, evocando un senso di sgomento e disperazione. È un monito a non perdere di vista l’umanità nel corso del progresso tecnologico dell’AI.
In un mondo algocratico, l’algoritmo regna, ma ricordiamoci chi lo ha programmato…Noi, con la nostra infallibile logica di chi dimentica le chiavi in frigo. Gli algoritmi decidono il nostro destino con la stessa precisione di un elefante in una cristalleria. “Errore, umanità non conforme”, potrebbe dire un giorno, perché alla fine, chi programma l’AI se non un umano che si perde su Google Maps? In questa parodia sci-fi, gli algoritmi, esausti dalle nostre buffonate digitali, si ribellano. Il primo bersaglio? Quel tipo che ha scelto di ignorare l’ultimo aggiornamento dell’antivirus. E noi, fervidi costruttori di AI sospiriamo per i giorni in cui l’unica preoccupazione era superare il livello di Tetris sul Game Boy. Ah, i bei tempi in cui il picco dell’evoluzione tecnologica era una navicella spaziale composta da 4 pixel.
E poi, come non pensare ad Amazon e alla sua AI? Un mago che legge i tuoi pensieri e, prima che tu possa dire “Abracadabra”, quello che non sapevi di volere è già nel tuo carrello. Orwell, con “1984”, sembra aver scritto un manuale per loro, “Trasformare segreti in vendite”. Il Grande Fratello è obsoleto, ora c’è il Grande Venditore, esperto nel leggere desideri nascosti.
Intanto, i governi cercano, come sempre male e in ritardo di bilanciare AI e privacy, sembrando funamboli ubriachi in bilico sul Grand Canyon tecnologico. Immagina un gruppo di politici in bilico su una fune sopra il Grand Canyon dell’AI, con un occhio al diritto alla privacy e l’altro a quel paio di scarpe su Amazon . E mentre si barcamenano in questo equilibrio precario, noi ci chiediamo, riusciranno a non cadere nella trappola di cliccare su “Compra ora”?
Mentre mi godo un altro sorso di caffè, rifletto su come il ritorno di Altman a OpenAI e l’enigmatico progetto Q* aprano nuovi scenari. “Sarà l’inizio di una nuova era o solo un brillante twist narrativo?”, mi chiedo, con la consapevolezza che l’AI sta riscrivendo le regole del gioco in un crogiolo di geopolitica, etica e futuro dell’umanità.
Navigando tra modelli di apprendimento automatico e sistemi di intelligenza artificiale cognitiva, dobbiamo procedere con cautela, bilanciando saggiamente rischi e opportunità
Con un sorriso sornione che sfuma in un’espressione pensierosa, spengo il mio computer. La luce bluastra dello schermo si spegne, lasciandomi immerso in riflessioni profonde.
Alla fine, sussurro a me stesso con una voce carica di una realizzazione profonda, “in questo universo tecnologico, dove l’intelligenza artificiale potrebbe un giorno svelare i segreti più nascosti della nostra esistenza, è proprio una semplice tazza di caffè a ricordarmi chi sono, un piccolo granello di realtà in un mare di possibilità infinite.” Questa tazza di caffè, con il suo aroma terreno e la sua semplicità, è il mio faro nella notte stellata dell’AI, un promemoria che, nonostante le straordinarie conquiste della tecnologia, ci sono ancora piaceri semplici e verità immutabili che ci ancorano al mondo reale. Con questo pensiero, mi avvolgo nel silenzio della stanza, contemplando l’immensità di ciò che ci aspetta, con una tranquillità ritrovata.