“Ciao Barbara,
ti scrivo mentre il medico legale sta sezionando il tuo cadavere. Un’autopsia che non serve a niente, che è solo prassi. Ci diranno se il piombo ha disintegrato il tuo polmone destro, se ha preso il fegato, se sei morta in 10 o in 20 secondi. Dettagli inutili, che non possono lenire il dolore. Ho appreso della tua morte mentre ero a casa di amici, a Milano. Al Tg della notte il giornalista ha dato la notizia in modo fugace, senza servizio: “Due donne sono state uccise a San Lorenzo del Vallo, in provincia di Cosenza. Si tratta di un delitto di ‘ndrangheta”. Sono schizzato dalla sedia, stupendo gli amici presenti che della nostra Calabria non sanno niente. E’ stata una fitta in petto. Ho sferrato un pugno contro il monitor quando hanno cambiato argomento. Poi ho preso le mie cose e sono tornato a casa, a piedi, sotto a un temporale. Non mi andava di sentire le solite storie su chi muore in Calabria. In Tv non hanno detto della tua innocenza. Cosa c’entravi tu con la ‘ndrangheta? Niente. Niente, come tua madre Rosellina, 45 anni (19 più di te), caduta al tuo fianco in una maledetta sera di febbraio. I killer sono entrati in casa, tuo padre già dormiva. Chissà di cosa stavi parlando con tua madre. Forse del tuo futuro, di farti una famiglia, avere dei figli. Magari crescerli lontani da qui, lontani da quel posto, dal solito bar. Chissà se il giorno che tuo zio Aldo, dopo l’ennesimo litigio, uccise il figlio del boss del tuo paese, hai pensato che la vendetta potesse riguardarti.
Vi hanno colto di sorpresa, senza fare rumore. Poi hanno scaricato i caricatori sui vostri corpi, senza pietà alcuna. Perché nella nostra Calabria, Barbara, al sangue si risponde col sangue. E non importa essere innocenti. Un po’ colpevoli, dalle nostre parti, lo siamo tutti. Colpevoli di essere nati al Sud, in una delle regioni con più morti ammazzati d’Europa. Chi muore in Calabria per mano mafiosa non sarà mai un innocente a tutti gli effetti. Fra due o tre giorni, quando i giornali non parleranno più di te, né di tua madre, sarete ricordate come due vittime dei clan. E le vittime dei clan non sono mai vittime normali. La loro morte vale meno di altre morti. Quando la mano armata è quella della ‘ndrangheta il sangue si sbiadisce, un omicidio diventa quasi prassi, appartiene alla routine di alcuni posti. Forse domani ti seppelliranno. Ti porteranno in Chiesa, per l’ultimo viaggio. Poi al cimitero del tuo paese, dove riposerai per sempre accanto a tua madre. Non ci sarò al tuo funerale, Barbara. Non sono abbastanza forte, in certe occasioni. Ti ho scritto, anche se non ci conosciamo. Scrivere è l’unica cosa che riesce a chetarmi. E quasi mi fa pensare che sei ancora viva.
Sono in treno, binari distanti dai nostri posti. Sul giornale continuo ad osservare la tua foto. Il tuo sorriso innocente, i tuoi capelli neri. Uguale e diversa a mille altre ragazze della mia terra. Con quella magliettina grigia e gialla sai di freschezza.
Cos’hai pensato quando i killer sono entranti in cucina? L’immagine di te in balcone, con la testa riversa e i capelli che coprono il volto è un flash che mi perseguita. L’ha pubblicata il giornale per il quale ho lavorato fino a un anno fa, prima di mollare tutto e partire. E tu, Barbara? Anche tu volevi andartene?
Fai buon viaggio, Bà. Ti scriverò ancora.”
Biagio Simonetta