In un mondo sempre più frammentato e individualista, dove il successo personale sembra prevalere sulla coesione sociale, esistono ancora luoghi in cui la collettività e il rispetto reciproco sono pilastri fondamentali. Il Giappone è uno di questi. Che si tratti di atleti come Ohtani Shohei, una star del baseball che raccoglie i rifiuti dopo le partite, o di comuni cittadini che aspettano pazientemente il verde al semaforo anche quando la strada è vuota, il Giappone incarna un modello di ordine e responsabilità collettiva che lascia il resto del mondo a riflettere.
Da dove nasce questo senso civico così radicato? La risposta potrebbe sorprendere: le scuole. È tra i banchi delle elementari che i bambini giapponesi imparano a pulire, collaborare e rispettare gli altri. Un approccio educativo che ha radici profonde nella cultura e nella storia del Sol Levante, ma che offre spunti interessanti anche per l’Italia e l’Europa, dove la questione educativa è sempre più cruciale.
Nella scuola elementare Minami Ikebukuro di Tokyo, la fine delle lezioni non segna solo il momento di uscire dalla classe, ma anche un’opportunità di responsabilità. Mentre molti alunni corrono verso l’uscita, un gruppo di bambine resta indietro per pulire l’aula. Scope a misura di bambino vengono estratte da un armadio, e le piccole mani si mettono al lavoro. “Pulendo, i bambini imparano a non sporcare”, spiega Kohashiguchi Megumi, un’insegnante. “Ma soprattutto imparano a sentirsi parte di una comunità, senza delegare ad altri le loro responsabilità” (The Economist).
Questa pratica, nota come hito-zukuri – “l’arte di formare persone” – riflette una filosofia educativa che va oltre le materie accademiche. “Il nostro compito è prepararli per la vita sociale”, sottolinea Satou Hiroshi, preside della scuola. “Insegnando collaborazione, spirito d’iniziativa e rispetto reciproco” (The Economist).
Questo approccio educativo affonda le sue radici nella storia giapponese. Durante il periodo Edo (1603-1868), la classe dei samurai istituì scuole per promuovere autodisciplina ed etica. Nei templi, anche i contadini venivano educati al rispetto della comunità. Questi principi si sono evoluti nei secoli, adattandosi alla modernità senza perdere il loro significato centrale: formare cittadini consapevoli.
Se in Giappone i bambini di sei anni camminano da soli per andare a scuola, attraversando strade trafficate o prendendo mezzi pubblici, in Italia la realtà è ben diversa. Secondo una ricerca ISTAT del 2022, solo il 15% dei bambini italiani si reca a scuola in autonomia, mentre la maggior parte viene accompagnata in auto dai genitori. Questa tendenza riflette un senso diffuso di insicurezza: il 70% delle famiglie teme per l’incolumità dei propri figli, preoccupandosi per il traffico, le aggressioni o altri rischi.
In Europa, simili paure portano a un approccio iperprotettivo, che limita l’autonomia dei bambini. Negli Stati Uniti, un caso emblematico ha fatto scalpore: una madre della Georgia è stata arrestata perché suo figlio di dieci anni era stato visto camminare da solo verso il centro città, a meno di un miglio da casa sua (The Economist).
In Italia, l’idea di far pulire le aule agli studenti, come avviene in Giappone, viene spesso percepita come inappropriata o persino una forma di sfruttamento. Tuttavia, alcune scuole primarie stanno sperimentando programmi pilota per responsabilizzare gli studenti, come la gestione della raccolta differenziata o la cura degli spazi comuni. I risultati sono incoraggianti, ma ancora lontani dal modello giapponese.
L’approccio educativo giapponese è stato ammirato e adottato in varie forme da altri paesi. Singapore, ad esempio, ha reso obbligatoria la pulizia delle aule scolastiche dal 2014, mentre in Egitto sono state costruite decine di scuole ispirate al modello giapponese per promuovere disciplina e collaborazione. Tuttavia, anche il sistema giapponese ha i suoi limiti. “La rigidità e il conformismo possono soffocare la creatività e penalizzare chi non si adatta alle norme”, osserva un rapporto UNICEF, che colloca i bambini giapponesi tra i più sani fisicamente nei paesi sviluppati, ma ai livelli più bassi per benessere mentale. Inoltre, alcune “regole nere” – come l’obbligo di indossare biancheria intima bianca o di seguire rigidi standard estetici – sono oggetto di accese critiche.
Nonostante i suoi difetti, il modello giapponese offre spunti preziosi per ripensare l’educazione in Italia e in Europa. Non si tratta di copiare pedissequamente, ma di integrare principi come l’autonomia, il senso civico e la responsabilità collettiva nelle nostre scuole. Un cambiamento che non solo migliorerebbe la vita scolastica, ma contribuirebbe a formare cittadini più consapevoli. La scuola è il cantiere della società futura. Se vogliamo una società migliore, dobbiamo iniziare dai banchi di scuola. Guardando al Giappone, possiamo immaginare un’educazione che formi non solo studenti eccellenti, ma anche individui capaci di vivere in armonia con gli altri.