Di seguito l’articolo di Antonio Gozzi pubblicato su Piazza Levante
La corsa al rialzo del prezzo del gas sembra inarrestabile. Mentre scriviamo ha raggiunto i 170 euro a mwh contro i 28 di un anno fa. Un aumento di quasi sei volte che colpisce duramente famiglie e imprese sia nei loro consumi di gas che in quelli elettrici.
Purtroppo nel nostro Paese il prezzo del gas determina anche quello dell’energia elettrica e ciò avviene perché il grosso della produzione elettrica nazionale è realizzata da centrali che consumano gas, e ciò ha determinato una struttura e regole di mercato che andrebbero certamente cambiate ma che oggi sono così.
Il meccanismo per cui è il prezzo del gas a determinare il prezzo del kwh elettrico si chiama marginal price. Il prezzo dell’energia elettrica nazionale (il cosiddetto PUN, prezzo unico nazionale) che è quello che pagano i consumatori, famiglie e imprese, si forma appunto sul costo marginale della meno efficiente centrale elettrica a turbogas chiamata a soddisfare la domanda di elettricità. Tale costo marginale vede ovviamente nel prezzo del gas la sua componente principale.
Il meccanismo del marginal price secondo alcuni andrebbe rivisto, perché con questo modello il prezzo dell’energia elettrica nazionale non tiene conto dei costi, oggi molto più bassi, di altre fonti per la produzione di energia elettrica quali ad esempio le rinnovabili (fotovoltaico, eolico e idroelettrico) che pure hanno sempre maggiore peso nel mix energetico nazionale. Anche il prezzo di vendita dell’elettricità prodotta con queste fonti alternative al gas si allinea al prezzo dell’elettricità prodotta con il gas, generando talvolta extraprofitti ingiustificati per i produttori rinnovabilisti.
Sulla base di quanto sopra, e cioè della dipendenza del prezzo dell’energia elettrica dal prezzo del gas, c’è una formula molto semplice per calcolare, con bassissima probabilità di errore, il prezzo dell’energia elettrica nazionale e cioè il PUN:
PUN=Prezzo del gas x 2 + prezzo dei certificati delle CO2: 5
Con i valori attuali (prezzo del gas a 170 euro/kWh e certificati CO2 a 80 euro/ton) avremo quindi
PUN = 170×2+80:5= 340+16= 356 euro/mwh (megawatt/ora).
Quali sono le ragioni dell’esplosione del prezzo del gas?
Le principali, per non dire esclusive, sono geopolitiche. Non esiste un problema né a livello continentale né a livello mondiale di scarsità di gas.
Nonostante la forte riduzione degli investimenti in ricerca, dovuta alla campagna ecologica contro l’uso degli idrocarburi, a livello mondiale c’è tutto il gas che si vuole. Il Mediterraneo in particolare con la scoperta dei nuovi giacimenti in Mar Egeo (Zor e altri) è ricchissimo di gas perché queste nuove scoperte che riguardano Egitto, Israele, Cipro si aggiungono alle importanti disponibilità già esistenti nei Paesi del Nord Africa, in particolare Algeria e Libia.
Le ragioni geopolitiche dei rincari stanno tutte nei comportamenti della Russia dell’ultimo anno.
Già a partire dal giugno 2021 Gazprom, il gigante russo primo produttore mondiale di gas, aveva iniziato a ridurre le quantità di gas inviate verso l’Europa. Pur rispettando i quantitativi di consegne previsti dai contratti a medio-lungo termine, già l’anno scorso sono incominciati a mancare i quantitativi aggiuntivi che Gazprom abitualmente collocava sulle piattaforme di trading dello spot market e cioè degli acquisti giornalieri.
Ciò ha immediatamente fatto aumentare il prezzo del gas, che in pochi mesi ha visto una crescita continua.
Con ogni probabilità questa manovra era artatamente volta a procurare maggiori risorse finanziarie spillate agli europei per finanziare e sostenere l’invasione dell’Ucraina, a cui i russi, pur negandolo, pensavano da tempo.
Oggi, a guerra in corso, con l’Occidente e l’Europa schierati dalla parte dell’Ucraina aggredita, i comportamenti russi sono diventati ancora più aggressivi e spregiudicati in materia di forniture di gas. In particolare si assiste in questi giorni a una forte riduzione di volumi di fornitura anche sui contratti a medio-lungo termine (underdelivery) motivata da Gazprom con ragioni tecniche e di manutenzione che celano in realtà la volontà del Cremlino di mettere sotto pressione l’Europa e le sue economie.
Il North Stream 1, il gasdotto che porta il gas russo in Germania, vede una riduzione del 60% dei volumi trasportati, e a cascata sono stati ridotti di pari quantità anche i volumi degli altri gasdotti che collegano la Russia con l’Europa.
Ovviamente l’evoluzione degli ultimi giorni del conflitto Russia-Ucraina ha aumentato le preoccupazioni degli operatori economici sulla tenuta del sistema energetico nazionale.
L’Italia a seconda del ciclo economico consuma tra i 70 e i 75 miliardi di mc/anno di gas e ne importa circa il 41% dalla Russia. Il resto del fabbisogno è venuto fino ad oggi dall’Algeria tramite il TransMed, dalla Libia tramite il Green Stream, dall’Azerbaijan tramite il TAP, dagli Usa e dal Qatar tramite navi di LNG. La produzione interna di gas, che vent’anni fa era di circa 15 miliardi di mc/anno e che copriva all’incirca il 15% dei fabbisogni, si è ridotta a 3 miliardi di mc/anno, meno del 5% dei fabbisogni totali.
La possibilità di un blocco, anche totale, di forniture dalla Russia e il fatto che gli stoccaggi nonostante l’opera svolta da Snam non siano stati ancora completamente riempiti, creano apprensione soprattutto per la tenuta del sistema nel periodo di punta dei consumi invernale, ossia il periodo più freddo dell’anno.
In altre parole in Italia nel periodo invernale il gas disponibile potrebbe non essere sufficiente a soddisfare la domanda residenziale e industriale. La carenza di gas naturale avrà ripercussioni anche sulla disponibilità di energia elettrica, con tutto ciò che significa per il destino dei settori industriali energy intensive.
Rischiamo quindi razionamenti, fermate produttive, abbassamento delle temperature dei riscaldamenti domestici.
Il periodo critico è l’anno che ci sta davanti. Le misure di sostituzione del gas importato dalla Russia avviate dal Governo italiano per circa 30 miliardi di metri cubi l’anno non saranno completate prima del 2024-2025. Anche i rigassificatori galleggianti non riusciranno a entrare in servizio prima del marzo/aprile 2023, perciò successivamente al periodo di punta dei consumi invernali del prossimo anno termico.
È importante sottolineare che, durante il periodo di punta invernale il settore Civile (comprendente anche tutto il terziario) risulta essere quello con la domanda di gas più elevata, con consumi stimabili intorno ai 140 milioni di mc/giorno, cioè quasi il 50% del totale (che è mediamente 300 milioni di mc giorno) e oltre il doppio della domanda industriale (circa 61 milioni di mc/giorno).
Questa situazione di incognite gravi sul futuro energetico più prossimo ovviamente non riguarda solo l’Italia, ma pone anche a tutto il resto dell’Europa il problema della sicurezza degli approvvigionamenti gas.
Purtroppo a fronte di una posizione iniziale che sembrava individuare risposte comuni riguardanti sia l’approvvigionamento che gli stoccaggi, oggi la stessa Commissione Europea sembra più orientata a lasciare liberi gli Stati membri di assumere iniziative individuali.
Ancora una volta nei momenti critici e dove ci sono rilevanti interessi economici in gioco l’Europa fa una grande fatica nell’adozione di decisioni comuni, in un’estenuante processo di concertazione e negoziazione che è tanto drammaticamente inefficiente quanto la situazione richiederebbe rapidità nelle scelte.
Il rinvio all’autunno del Consiglio Europeo sull’energia richiesto da Draghi per luglio è la più eloquente manifestazione di queste difficoltà.
A maggior ragione in una situazione nella quale rischia di saltare completamente il mercato europeo dell’energia messo sotto tremenda pressione da una serie di fattori concomitanti.
Non c’è soltanto la forte riduzione dei flussi dalla Russia. Vediamo il resto e spieghiamo perché nel titolo parliamo di tempesta perfetta.
In Francia ci sarà una progressiva riduzione di produzione di energia elettrica a causa delle sempre più vaste e pervasive campagne di manutenzione straordinaria dei reattori nucleari alcuni dei quali molto vecchi; ciò fa sì che il Governo d’oltralpe abbia pianificato da tempo di trasformare almeno momentaneamente la Francia da esportatore netto di energia elettrica a importatore netto ma non si sa dove si andrà a trovare questa energia elettrica.
In Germania nonostante la fortissima esposizione all’import di gas russo il governo ha deciso (su pressione dei verdi) di proseguire con il piano di chiusura delle centrali nucleari con il paradosso di far funzionare a manetta le centrali a carbone che hanno un fortissimo impatto sulle emissioni di CO2. Ma a partire dal mese di agosto sarà impossibile importare il carbone russo e ciò provocherà probabilmente un rincaro del carbone acquistato da altre fonti con conseguente rincaro del prezzo dell’energia elettrica.
L’Algeria, uno dei partner più importanti dell’Italia per la sostituzione del gas russo, tenuto conto dell’evoluzione del mercato chiede una revisione (al rialzo) dei prezzi dei contratti a medio-lungo termine.
La grave crisi idrica che si registra nel nostro Paese complica ulteriormente la situazione perché data la scarsità di acqua vanno in crisi i sistemi di raffreddamento delle centrali elettriche, che in conseguenza di ciò devono ridurre la loro produzione di energia.
I Fondi di investimento internazionali, americani in particolare, sono di nuovo all’attacco sui mercati finanziari dell’energia e scommettendo su un forte rialzo dei prezzi sono all’acquisto speculativamente spingendo ancor più i prezzi verso l’alto, e dimostrando una volta di più il rischio dell’eccessiva finanziarizzazione dei mercati quando si tratta di beni strategici come l’energia. Anche di fronte a ciò l’Europa è incapace di reagire. Si pensi che non si è ancora riusciti a impedire le speculazioni finanziarie su un piccolo mercato come quello dei certificati delle CO2, e che la proposta del Governo spagnolo di limitare l’accesso al mercato di questi certificati solo agli industriali e ai produttori di energia è rimasta lettera morta.
In una situazione del genere ci sono poche speranze che il quadro torni alla normalità rapidamente. Fino a quando non si riuscirà a sostituire la quota di approvvigionamento di gas russo rimarranno forti tensioni sui prezzi specie in Italia per l’importanza che il gas ha, come si è visto, nella generazione elettrica oltreché nei consumi domestici e industriali.
La sfida sarà come far sopravvivere in questa tempesta perfetta quel poco di mercato dell’energia che negli ultimi venti anni si era riusciti a costruire in Italia. Gli operatori sono alle prese con la sfida di finanziare un circolante enormemente gonfiato dall’esplosione dei prezzi e di garantire così la continuità di servizio ai propri clienti.
Le aziende industriali, specie quelle energivore, devono fronteggiare un’esplosione dei costi di approvvigionamento dell’energia mai vista prima e rischiano di doversi fermare o perché obbligate dal razionamento o perché i costi di produzione diventeranno insostenibili condannandole a perdite gigantesche.
Le famiglie avranno una forte riduzione del loro reddito disponibile, perché le bollette e gli altri rincari dell’inflazione falcidieranno stipendi e salari e c’è il rischio che si moltiplichino le tensioni sociali.
Trovare un’uscita da questa crisi non sarà per nulla facile: ci aspettano mesi molto duri.