Milioni di euro di stipendi senza risultati. Fai fallire un’azienda, o quasi. Come l’Alitalia, le Ferrovie dello Stato, la Telecom Italia e, in cambio, ottieni bonus a volontà, stock options, compensi da mille e una notte. Chi pensate abbia pagato gli stipendi faraonici di Cimoli, Buora, Catania, Tronchetti, Romiti, Ruggiero? E’ facile rispondere. I piccoli azionisti, i 12.000 licenziati dell’Alitalia, i 9.000 esuberi (per ora) della Telecom, i contribuenti, i cassintegrati. Questi manager sono le nuove zecche dell’economia, si nutrono del sangue delle società. E non falliscono mai insieme all’azienda. Vengono riciclati dal sistema in altre aziende. E’ la Cupola dell’Economia. Se esegui gli ordini, non denunci, allora sarai premiato. Un circolo chiuso che non parla, non sente, non vede. E non fa mai nomi.
Il padre di famiglia disoccupato torna a casa, guarda i suoi figli senza un futuro e dopo ascolta in televisione chi ha fatto fallire la sua azienda. Adulato, vezzeggiato, che sprizza milioni di euro dagli occhi. Gli zoccoli dei bisonti sono pesanti. Meglio non trovarsi sulla loro strada in primavera.
Testo intervista agli autori de: “La paga dei padroni”.
“La crisi economica durerà almeno due anni dicono gli istituti più autorevoli, eppure tra i grandi manager italiani, uno solo, Alessandro Profumo, il più pagato del 2007, ha detto, quasi fosse una concessione, che nel 2008 non avrà il bonus. Forse una rinuncia dice. Un bonus che è stato di sei milioni di euro nel 2007, ma oltre a questo, la sua paga base è di oltre tre milioni di euro, perciò anche senza bonus, Alessandro Profumo, lo vedremo quando sarà pubblicato il bilancio, avrebbe comunque uno stipendio molto ricco, pari quasi alla media dei primi cento manager italiani che nel 2007 hanno guadagnato quattro milioni lordi a testa ciascuno. E’ l’unico ad aver detto di non averne diritto per i pessimi risultati della banca nel 2007. Tutti gli altri sono rimasti in silenzio: da Corrado Passera ad di Intesa SanPaolo, che è un po’ il grande concorrente di Profumo dell’Unicredit, ai vertici delle altre grandi banche e delle grandi società industriali, ad esempio la Pirelli, precipitata in borsa, il cui ad Negri è il più pagato con circa sei milioni all’anno. Quindi i picoli azionisti, il pubblico e i clienti di queste grandi società quotate in borsa che amministrano anche il risparmio privato, ma è il risparmio del parco buoi, ossia di coloro che non hanno voce, resta in attesa che anche i grandi capi si adeguino a quelli che sono risultati molto modesti.
Le loro retribuzioni, come abbiamo cercato di spiegare nel nostro libro “La paga dei padroni” edito da Chiarelettere, erano stellari ma non erano agganciate ai risultati, o meglio, non era indicato nei bilanci a quali risultati fossero correlate queste retribuzioni. Quello che noi abbiamo notato osservando la situazione degli ultimi anni è quella che lo stipendio del capo aumentava sempre, indipendentemente dai risultati, e infatti due studiosi americani, pochi anni fa, nel cuore del capitalismo mondial e, hanno scritto un libro che si chiama “Stipendio senza risultati”. Quest’esempio vale anche da noi. La politica interviene certamente nelle società pubbliche controllate dallo Stato. Abbiamo visto il caso dell’Alitalia che pur essendo fallita, sta passando ad una cordata di imprenditori privati lasciando il buco del debito sulle spalle dei contribuenti e sugli azionisti che per metà sono privati. Eppure nel 2004, quando il governo era Berlusconi e ministro dell’economia era Tremonti chiamò come se fosse il miglior amministratore del mondo, disse Berlusconi, Giancarlo Cimoli delle Ferrovie dello Stato, gli fu garantito uno stipendio che è stato il più alto fra le compagnie aeree europee, 2,8 milioni lordi nel 2005, più del doppio della Lufthansa, più del triplo dell’Air France, ma l’Alitalia era ed è ancora la compagnia con le perdite più alte del mondo, non soltanto dell’Europa. Il resto delle società e del capitalismo italiano è amministrato da imprenditori privati con pochi capitali, ma che pretendono di avere i propri figli, o di essere sé stessi a guidarle con lauto stipendio, in questo caso la politica direi che è assente. Non c’entra sono decisioni di un sistema chiuso di relazioni, in cui con pochi capitali imprenditori, capitalisti e banchieri si danno un lauto stipendio anche quando gli utili che dovrebbero essere il sistema classico e più corretto di remunerazione del capitale, scarseggiano o sono troppo sottili.
Il problema per quanto interessa a noi, non è tanto misurare gli importi di queste retribuzioni, il nostro problema è, per esempio: Cesare Romiti ha avuto una liquidazione di 100 milioni di euro quando ha lasciato la Fiat dopo 25 anni di servizio. Cioè una liquidazione di quattro milioni di euro per ogni anno di lavoro. La domanda è: perché la Fiat ha dato tutti questi soldi di liquidazi one a Cesare Romiti? Ed ecco che andando a cercare la risposta a questa domanda, si trovano i difetti e le malattie del capitalismo italiano, ciò che oggi i lavoratori e i piccoli azionisti pagano con gli effetti pesantissimi della crisi economica. Quello che noi ci chiediamo, e che dovremmo vedere nel 2009, non è solo se riduranno i loro stipendi adeguandoli alla crisi, ma è vedere se manager e imprenditori, che al loro fianco conducono le aziende italiane, modificheranno il loro comportamento e il loro stile di gestione. Ossia se si occuperanno veramente di contrastare gli effetti della crisi e di fare andare meglio le aziende, oppure se contnueranno a comportarsi nell’analisi del nostro libro emerge in modo lampante, cioè questo modo tipico di occuparsi principalmente degli interessi personali in termini di retribuzioni, ma anche di altre utilità, anziché occuparsi di far andare bene le aziende. Gli importi di cui parliamo sono enormi per il singolo manager che li incassa, ma se spalmati su tutti i dipendenti di un’azienda sono cifre irrilevanti, quindi il problema non è che se i manager guadagnassero meno, le aziende andrebbero meglio, ma è esattamente l’opposto. Se le aziende fossero gestite meglio i manager guadagnerebbero meno. Lo stipendio dei manager non è la causa del cattivo andamento delle aziende, ma è uno degli effetti. E’ il sintomo di una cattiva gestione delle aziende. All’estero sta succedendo una cosa più lineare, i manager che hanno gestito male le aziende e le banche vanno a casa. Lo leggiamo tutti i giorni sui giornali. In Italia non sta andando a casa nessuno, anzi sui giornali leggiamo le dichiarazioni di grandi manager e grandi banchieri che dicono che la crisi non accade a causa loro ma la crisi piove dal cielo.
Vediamo all’estero che in questi mesi, da quando si è abbattuta la crisi finanziaria mondiale, non solo molti capitani d’industri a perdono il posto e vanno a casa, ma alcuni hanno dovuto accettare un taglio di stipendio, dei cosiddetti bonus e dei famigerati premi di risultato, ma in alcuni Paesi, come ad esempio il governo della Germania, ha stabilito che i manager se ricevono aiuti pubblici per evitare che l’azienda fallisca, ma anche per evitare di perdere il posto, non potranno guadagnare più di 500 mila euro lordi l’anno. Questo potrebbe anche essere un errore, noi non pensiamo siano giusti i tetti imposti per legge, ma certamente una maggiore moderazione e un maggiore legame ai risultati è opportuno. Negli Usa dove le tre grandi case automobilistiche di Detroit rischiano di non sopravvivere se non riceveranno miliardi di dollari di aiuti, i top manager hanno ormai ridotto la paga base a un dollaro, almeno così annunciano, e il resto del premio sarà pagato se ci saranno i risultati. L’Italia in questo non è pervenuta, nel senso che nessuno ha ancora fatto annunci di questo tipo, tranne Profumo, che come abbiamo detto, è stato costretto dalle difficoltà della banca e dal rischio di andare a casa.” Gianni Dragoni e Giorgio Meletti