In psicologia, la resilienza è un concetto che indica la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità. Lo stesso concetto viene spesso traslato alle città. Ne è un esempio, di città resiliente, Medellín, in Colombia. Sotto Pablo Escobar, il famigerato trafficante di droga, la città fu uno dei luoghi più violenti al mondo negli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90; divenne poi una delle più innovative città al mondo, una vera e propria” città modello”.
Le ragioni di questa trasformazione sono complicate, ma un fattore chiave è stata l’attenzione del governo sul cambiamento socioculturale, che ha dato origine al concetto di cultura ciudadana o cultura dei cittadini, specialmente tra comunità che prima erano escluse fisicamente e socialmente.
Un approccio su più fronti ha visto un notevole investimento di cultura: biblioteche, edifici e parchi, arte e cultura nelle comunas sulle colline sopra la città, ampliamento del trasporto pubblico, sempre tra le comunas e il centro cittadino.
La cultura, che include “arte e letteratura, stili di vita, sistemi di valori, tradizioni e credenze” è un elemento fortemente trascurato nella ricostruzione di città devastate da disastri, guerre e altre forme di problemi urbani, secondo un nuovo rapporto dell’UNESCO .
Investire in cultura può aiutare a costruire ponti tra le comunità e fa sì che la rinascita sia più rapida, sostenibile e più efficace. Importanti investimenti culturali all’inizio del processo di ricostruzione renderanno le città più attraenti per gli investimenti e per il turismo, alimentando la crescita economica.
Il rapporto contiene anche una tabella di marcia per integrare la cultura nelle politiche incentrate sulle persone e sui luoghi, in una chiave“che tiene conto dei bisogni, dei valori e delle priorità delle persone”. Questo approccio si è dimostrato efficace durante la ricostruzione di città come Seoul (dopo la guerra di Corea), Mostar (dopo la guerra bosniaca) e Kathmandu, in Nepal, che è stata pesantemente devastata da un terremoto del 2015.
Le città avranno bisogno di padroneggiare questo processo, per alcuni motivi incombenti. Uno, il mondo continua a urbanizzare a un ritmo incredibile: entro il 2050, il 70% del pianeta vivrà nelle città. In secondo luogo, le minacce poste dai disastri legati ai cambiamenti climatici e dai relativi conflitti di risorse sono gravi, diffusi e in aumento.
Secondo la Banca Mondiale, le città che si trovano all’inizio di un processo di ricostruzione devono prima riconoscere la cultura, sia essa tangibile (monumenti, spazi religiosi e siti protetti) o intangibile (come l’arte, le pratiche artigianali tradizionali o altro tipi di culture locali); è cruciale per il loro tessuto sociale e l’immagine di sé. Le città dovrebbero iniziare la ricostruzione dai luoghi più significativi per i propri cittadini.
Dopo la guerra bosniaca, ad esempio, la ricostruzione del ponte di Mostar è stata una ricostruzione simbolica per porre fine alle divisioni tra musulmani e croati, secondo l’Aga Khan Trust for Culture.
La chiave è bilanciare i bisogni di base – casa, cibo e assistenza sanitaria – con lo sforzo di promuovere l’espressione artistica che possa aiutare le comunità urbane a elaborare i traumi e a comunicare e documentare le loro esperienze. A Medellín, ad esempio, fu incoraggiata l’arte: la musica punk , la breakdance e l’arte murale emersero parallelamente ai miglioramenti nelle comunità che erano ormai al margine della città. E in seguito si trasformarono in progetti per i turisti.
Per dare la priorità ai progetti e scegliere gli interventi giusti, il rapporto dell’Unesco sottolinea la necessità di essere in costante contatto con le comunità che vivono il disagio, perchè solo attraverso una partecipazione significativa dei cittadini le città possono davvero rinascere.