di Danilo Della Valle – Brucia il Cile, con proteste e repressioni che per alcuni non si vedevano dai tempi di Pinochet; scoppiano le proteste in Ecuador per il tradimento del mandato elettorale da parte del Presidente Moreno che ha varato manovre economiche lacrime e sangue ed ha “accolto” a braccia aperte il FMI; in Brasile il Presidente Bolsonaro è sempre sulle prime pagine grazie a dichiarazioni politicamente scorrette… e intanto Washington torna a mettere più insistentemente gli occhi su tutto il Sud America, cercando di ridisegnare la propria politica estera. E proprio in questo periodo, è tempo di voto; dopo la Bolivia, che ha visto vincere ancora una volta il popolare Evo Morales, ora tocca ad Uruguay ed Argentina, dove il liberista Mauricio Macrì rischia di perdere clamorosamente lasciando campo libero ai peronisti del “Frente de Todos”, vittoria che segnerebbe una riscossa nel Continente e in un Paese importante come l’Argentina, delle esperienze progressiste e nazional popolari che ruotano intorno alla larga idea del “socialismo del siglo XXI”.
Proprio in vista delle elezioni argentine, a quasi vent’anni dalla “bancarotta statale” del 2001, in un Paese devastato dalla povertà crescente, dalle disuguaglianze sociali, dall’incertezza economica e dalla crescente criminalità, abbiamo avuto l’occasione di intervistare Maria Constanza Costa, politologa della Facoltà di Scienze Sociali di Buenos Aires, responsabile della agenzia latinoamericana Portal del Sud ed attualmente responsabile dell’area di Cooperazione Internazionale della “Secretaría de Cultura de la Nación”, la quale ci ha spiegato il suo punto di vista riguardo i possibili scenari nello spazio latinoamericano.
Le elezioni in Argentina di domenica prossima rappresentano un importante avvenimento per il Paese e per tutto il Continente latinoamericano. Alla luce dei risultati delle primarie come pensi possa cambiare l’Argentina e quali sono gli scenari possibili?
Credo che con ogni probabilità le elezioni le vincerà, come è venuto fuori dal risultato delle primarie, il candidato peronista Alberto Fernández. Il contesto regionale in cui Alberto Fernández dovrà governare, se i risultati delle primarie saranno confermati, sarà molto diverso dallo scenario di Nestor Kirchner. Nel 2003, ad esempio, in Brasile c’era Lula mentre in Venezuela Hugo Chavez era riuscito a sconfiggere un colpo di stato promosso dagli Stati Uniti. Il Brasile e il Venezuela hanno rappresentato due alleati strategici nella costruzione di uno spazio regionale che cercava di generare un’alternativa politica all’integrazione puramente commerciale prevalente negli anni ’90 in tutto il Continente.
Oggi la situazione è molto diversa. Tanto per cominciare, il Brasile, che è il principale partner commerciale dell’Argentina, è governato da una destra ultraconservatrice che a mio avviso deteriora la democrazia quotidianamente e che ha una agenda politica di riforme regressive, una sorta di “restaurazione”. Il contesto al momento è sfavorevole per le forze progressiste a livello regionale. Inoltre, a differenza dei primi anni del Kirchnerismo, non ci accompagna il boom economico delle materie prime che fu fondamentale per la ripresa argentina dopo la crisi del 2001. A livello interno, Alberto Fernández ha già espresso la sua volontà di costruire un “gran patto sociale” con l’intento di rafforzare lo Stato e soddisfare le esigenze di diversi settori che sono stati dimenticati o lasciati indietro dal Presidente in carica. I primi tempi saranno difficili in materia socioeconomica, questo è chiaro. Ciò che ha permesso un trionfo del “Frente de Todos” alle primarie è la disastrosa gestione economica del Presidente Macrì e la volontà politica delle forze realmente Peroniste di formare finalmente un fronte unitario. Ma questa coalizione di governo dovrà anche conquistare un nuovo consenso, di fronte al momento difficile che attende il Paese. È necessario recuperare gli investimenti pubblici per lo sviluppo delle economie regionali, superando le asimmetrie che si verificano nel Paese. In questo quadro sono necessari il dialogo e la consultazione con coloro che la pensano diversamente.
Dopo la crisi del 2001 ed il boom economico dell’era kirchnerista sembrano di colpo essere tornate di moda, con la presidenza Macrì, politiche di stampo neoliberista. Come è cambiato il Paese?
Purtroppo il governo Macri si è caratterizzato per indebitamento, speculazione e fuga di capitali. Una combinazione esplosiva che ha dato vita ad un deterioramento economico e sociale. Oggi il debito estero rappresenta il 90% del PIL. Il problema principale che l’Argentina dovrà affrontare nei prossimi anni è il pagamento di tale debito, ed una rinegoziazione con il Fondo Monetario Internazionale non sarà facile. Inoltre, esiste una domanda sociale molto ampia; c’è un arretramento nel potere d’acquisto dei salari, una crescita esponenziale della fame e della povertà che colpisce i settori più vulnerabili della società, aumenti di prezzi, tasse e disoccupazione. Il paese deve riorganizzarsi, è necessaria una nuova politica del lavoro, lavoro di qualità.
Secondo diversi analisti la presidenza Trump negli Usa, con una virata verso una politica protezionista, ha cambiato anche la propria politica estera trascurando un po’ le questioni medio orientali ed europee e mirando alla “riconquista” del Sud America, storicamente considerato il “giardino di casa”. Crede che cambi qualcosa nel Continente?
Dopo la fallimentare politica in Medio Oriente, gli Stati Uniti puntano ancora una volta a riprendere la loro sfera di influenza sul Sud America. Nell’ambito della sua guerra commerciale con la Cina, gli Usa stanno cercando di diminuire l’influenza economica del gigante asiatico ed al contempo l’influenza ideologica della Russia sull’America Latina. Le parole di John Bolton quando ha sottolineato che “La dottrina di Monroe è viva e in buone condizioni”, forniscono un resoconto della volontà politica degli Stati Uniti di intervenire negli affari della regione e riguadagnare la sua storica influenza. L’America Latina, per il momento e da un punto di vista pragmatico, può beneficiare della relazione con entrambe le potenze , la Cina e gli Stati Uniti.
Certamente però il posizionamento attorno al Venezuela, la creazione del gruppo di Lima e lo sfortunato ruolo che l’OEA sono solo alcuni esempi di come un allineamento totale verso gli Usa si sia riflesso in alcune organizzazioni. L’abbandono dell’UNASUR, ad esempio, come ente regionale in cui convivevano governi di diversi colori politici della regione è stato un sintomo di questo allineamento dei governi di destra e conservatori con gli Stati Uniti.
Negli ultimi anni sembrava che nel Continente dopo le esperienze “populiste” e progressiste di diversi Paesi si stessero affermando di nuovo idee liberiste. Le vittorie di Macrì, di Bolsonaro etc etcetera ne sono l’esempio. In questi ultimi mesi però le popolazioni scendono in piazza in Ecuador, Chile, Brasile per esprimere il proprio dissenso verso manovre economiche liberiste e le misure di austerità. Che succede? Il “socialismo del XXI secolo” non è ancora morto come si può pensare?
È importante far capire che la regione ha bisogno di solide democrazie che rispondano ai propri cittadini per evitare l’ascesa di discorsi di odio che cercano capri espiatori e soluzioni magiche. Le promesse fatte nella scorsa campagna elettorale da parte di “Cambiemos”, la forza guidata dall’attuale Presidente Mauricio Macri, andavano in questo senso e i cittadini votarono slogan che in pratica erano irrealizzabili. Anche nella regione si sta cominciando questo fenomeno, figure che vogliono presentarsi alla società come “politicamente scorrette” o “anti-sistema” ma che nascondono discorsi di odio, o addirittura neofascisti, che cercano di tagliare diritti e libertà agli ultimi, come nel caso del Presidente Bolsonaro in Brasile.
Tutto ciò può essere fermato solo se i governi sinceramente progressisti, nazional-popolari e democratici, generano progetti di inclusione sociale, espansione dei diritti e sviluppo sostenibile che migliorano realmente la qualità della vita di tutti i cittadini, a cominciare dagli ultimi. È un contesto internazionale complesso, ma non credo assolutamente che il ciclo progressista sia esaurito.
L’AUTORE
Danilo Della Valle, laureato in scienze politiche e relazioni internazionali (con tesi sull’entrata della Russia, nel Wto); Master in Comunicazione e Consulenza politica e Scuola di formazione “Escuela del buen vivir” del Ministero degli Esteri Ecuadoriano. Si occupadi analisi politica, principalmente di Eurasia. Scrive per l’antidiplomatico, “Il mondo alla rovescia”.