di Patty L’Abbate – Stiamo vivendo un periodo storico molto critico e dobbiamo affrontare una sfida globale. La pandemia in corso è un problema globale, il cambiamento climatico, il depauperamento del capitale naturale, la disuguaglianza, la povertà. Dunque, un’unica comunità deve sostenere la sua “casa comune”, se vorrà avere un futuro per i propri figli. Per questo un Green New Deal, semplicemente un patto verde fra tutte le nazioni, una strategia che ha l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica nel 2050, adottando azioni condivise fra tutti gli stakeholder di ogni Paese.
Siamo nell’era della resilienza, dell’antropocene, e dobbiamo necessariamente effettuare un salto quantico, passare da un regime di equilibrio (che realmente non lo è più) a un altro e l’unità, il patto verde, è l’unica strada. La transizione ecologica è proprio questo, un processo necessario di trasformazione a livello tecnologico, economico, ecologico, socio-culturale e istituzionale, scale che si influenzano e si rafforzano vicendevolmente, è un processo sistemico che tiene conto della complessità della natura, e che deve concentrarsi sulle interazioni e le interconnessioni tra il sistema economia ecologico e sociale.
Barry Commoner, nel 1971 nel suo libro The Closing Circle, ci ricorda che in ecologia “non esistono pasti gratis”, in natura nulla è gratuito, anche Milton Friedman con il costo-opportunità, affermava che nulla è gratuito e se un individuo ottiene gratis qualcosa, sicuramente sarà la società a rinunciare all’opportunità di destinare le medesime risorse a usi alternativi. Dunque, in ecologia come in economia, il prezzo deve essere pagato, forse è possibile rimandare nel tempo, ma tutto ciò che è preso dal sistema ambiente, anche in modalità gratuita ha un costo, e tutto ciò che è immesso nella natura come rifiuto o emissione in atmosfera, prima o poi cambierà la resilienza del sistema, e non sarà possibile ritornare allo stato iniziale.
É necessaria una transizione radicale, una revisione o smantellamento dell’attuale modo di produrre e consumare, anche di viaggiare, di alimentarsi, di relazionarsi con l’altro. La transizione ecologica è un’opportunità, esiste un gran potenziale nei mercati globali, ci sono tecnologie a basse emissioni, prodotti e servizi sostenibili e per dirigere il mercato verso la sostenibilità si deve agire su variabili chiave, sono necessarie nuove norme, leggi e regolamenti per supportare l’innovazione, la decarbonizzazione e la mobilità sostenibile, la transizione da un modello economico lineare a un modello ecologico e inclusivo.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Recovery Plan) deve fare questo, essere la base per un nuovo modello economico ecologico, in linea con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e con gli obbiettivi dell’accordo di Parigi e del Green Deal.
Dobbiamo misurare in modo coretto la massima scala sostenibile, dal punto di vista ecologico potremmo definirla la capacità di trasporto per “l’homo sapiens”. Il Prodotto interno lordo (PIL), ottimo indicatore ma non è sufficiente per una vera transizione ecologica, è necessario anche quantificare e stimare il valore economico dei “servizi ecologici”, il valore della biodiversità per poterla tutelare, del suolo, della risorsa acqua, il valore dell’aria per combattere le emissioni come il particolato, gli NOx.
Se vogliamo combattere la disuguaglianza, dobbiamo effettuare un’allocazione eco-efficiente delle risorse naturali e dei servizi forniti dagli ecosistemi come ad esempio il lavoro delle api con l’impollinazione, la regolazione del clima.
Le politiche devono concentrarsi sulla correzione delle imperfezioni del mercato, dare il giusto valore alle risorse naturali, riportando una profonda comprensione dei componenti, delle strutture e delle funzioni degli ecosistemi, delle interazioni fra i sistemi. Queste valutazioni possono essere elaborate da strutture in grado di procedere con un approccio sistemico, multidisciplinare; per questo sono convinta che il Ministero della transizione ecologica sia un ottimo passo, ma è solo il primo passo, sono necessarie oltre alla messa in comune delle competenze del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell’Ambiente del Territorio del Mare anche un’allineamento delle competenze economiche, proprio per il PNRR dove appunto la governance è del Ministero di Economia e delle Finanze. Sono necessari modelli macroeconomici di valutazione integrata, per valutare le variabili fisiche come la concentrazione di CO2 in atmosfera insieme alle variabili economiche, e metodi standardizzati di valutazione degli impatti ambientali e sociali.
Un’attività finanziaria, un investimento pubblico, un progetto possono essere considerati sostenibili se contribuiscono alla mitigazione o adattamento dei cambiamenti climatici, protezione delle acque e delle risorse marine; transizione verso un’economia circolare focalizzata sul riutilizzo e riciclo delle risorse; prevenzione e controllo dell’inquinamento; tutela e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi, progettazione di città sostenibili.
I progetti dei piani nazionali di ripresa e resilienza, e in generale tutti gli investimenti, devono essere accompagnati da un’analisi dell’impatto ambientale come richiesto dalle ultime linee guida emanate dalla commissione europea.
L’AUTORE
Patty L’Abbate, Senatrice delle Repubblica (Ambiente, Vig. RAI), Ecological Economist, PhD. Docente management risorse naturali. www.pattylabbate.com