di Claudio Cominardi – Ieri, appena ho letto l’appello promosso dal blog di Beppe Grillo ho aggiunto la mia firma a quella dei 500 accademici e personaggi pubblici che con una lettera pubblicata su “Indipendent” chiedono ai governi un Reddito Universale.
Del resto sono anni che in ogni sede istituzionale porto avanti questo tema. Ho depositato atti in Parlamento e ne ho promosso questa visione in tutta Italia girandola in lungo e in largo illustrando i risultati della ricerca previsionale sul futuro del lavoro – “Lavoro2025” – proprio qualche anno fa.
Non dimentico che da sottosegretario per il Lavoro, meno di un anno fa prendendo la parola all’OIL di Ginevra, ho sollecitato i Paesi più industrializzati ad avere coraggio e le Nazioni Unite e fare da guida.
Utopia? Forse fino a ieri quando non si voleva guardare in faccia la realtà di un sistema iperliberista che pur essendo in grado di produrre ricchezza a volontà non è mai stato in grado di redistribuirla generando disastri sociali e ambientali.
Oggi un virus terribile nella sua pervasività ha però rimesso in ordine quella che dovrebbe essere la nostra scala dei valori.
La salute, la libertà, la felicità sono le principali componenti che determinano il benessere sociale che abbiamo dovuto barattare con un lavoro da 48 ore la settimana e stipendio da 1.000 o 2.000 euro al mese, bene che vada. Per non parlare dei lavoretti precari che uccidono ogni prospettiva di futuro.
Sacrifici della moltitudine a beneficio dei soliti facoltosi. Un paradosso illustrato annualmente dal rapporto Oxfam che riassumo in un solo dato: a metà dello scorso anno l’1% più ricco, sotto il profilo patrimoniale, deteneva più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone.
Quasi 7 anni fa alla Camera dei Deputati lessi “il discorso tipico dello schiavo” del regista e scrittore Silvano Agosti. Nulla di più attuale per chi è in grado di coglierne il senso, sebbene all’epoca mi presero per folle.
Oggi parlare di Reddito Universale non è solamente una questione di giustizia sociale, ma di tenuta del tessuto sociale stesso ed è un affare globale necessario. Perché è ormai inevitabile ripensare a un nuovo paradigma socio economico.
Dunque, per programmare il futuro occorre prevederlo. Per prevederlo abbiamo bisogno di intellettuali all’altezza. Lungimiranti e coraggiosi.
Leggendo l’ottima risposta all'”appello dei 500″ sento che siamo sulla buona strada, che immagino sarà piuttosto complicata e irta di ostacoli.
Per chi volesse schierarsi dalla parte della storia suggerisco vivamente di sottoscrivere questa lettera:
https://docs.google.com/document/d/1_hCGectgHT-aY4xQnhte5ZpesMqZ6-l2Eo5c33iee94/mobilebasic