La foto della tribuna VIP alla partita Lazio-Roma di domenica scorsa può sembrare innocente, una cosa da niente, invece è la dimostrazione dell’esistenza di un virus che colpisce i politici. Un morbo che infetta anche i neo eletti e che stabilisce di fatto due classi sociali in Italia: i VIP e tutti gli altri. La tribuna delle Autorità dell’Olimpico, 242 posti gestiti dalla squadra ospite e dal CONI, vedeva seduti per il derby sulle poltrone azzurre extra large i nuovi padroni del Bel Paese, per loro il vero Paese di Bengodi. VIP che hanno vinto il biglietto della Lotteria Italia, macchine blu, pensione dopo due anni e mezzo di legislatura, assenteismo libero al Parlamento italiano e a quello europeo, doppio e triplo incarico, doppio stipendio, immunità dalle leggi, voli de luxe. Tra un buffet e una bibita i VIP applaudivano i giocatori in campo ed esibivano la loro superiorità tribunizia al popolo, al volgo, come ai tempi di Cesare. Tra i molti: Renata Polverini, Paolo Bonaiuti, Clemente Mastella, Maurizio Gasparri, Francesco Rutelli, i direttori della RAI e il consigliere RAI Soderini, Fabrizio Cicchitto, Giulio Napolitano, figlio del Presidente della Repubblica. Quando si incontrano si riconoscono, si fiutano come i cani al parco. Fanno cose, vedono gente. “Ambiente simpatico e informale, i colleghi rilassati“, parola del VIP Gasparri.
I simboli sono importanti, una tribuna ripiena di dipendenti pubblici che si atteggiano a padroni è la prova della nostra minorità. Il padrone è servo e colui che dovrebbe servire è diventato un arrogante parvenu. Milioni senza lavoro, decine di suicidi di disoccupati per disperazione e un Paese allo sfascio economico e morale non turbano i VIP. Sono “rilassati“, non hanno un cartellino da timbrare, obblighi lavorativi, qualcuno che li controlli. Possono, con elegante metafora, fare il cazzo che gli pare e riscuotere uno stipendio favoloso. Amano atteggiarsi a statisti, stabilire nuove alleanze, indicare sconosciuti orizzonti. L’unica cosa che non fanno è lavorare, svolgere il compito per il quale sono stati eletti. Un’attività troppo plebea, loro non si mischiano con la plebe.
Io credo che sia giunta l’ora della resa dei conti, con gentilezza, senza alcuna violenza. Non si può continuare a fare finta di niente. Iniziamo da noi. Se incontriamo per strada un nostro dipendente con la scorta, o fermo al semaforo con la macchina blu e autista o all’ingresso di una partita importante o alla prima della Scala o presso uno studio televisivo o in un qualunque posto diverso dal Parlamento dove dovrebbe lavorare… in quel caso ricordiamogli garbatamente i suoi doveri nei confronti di chi gli paga lo stipendio con le trattenute delle sue tasse. Filmate il colloquio, che spero cordiale, pubblicatelo su YouTube con il tag: “Educa il nostro dipendente” e inviate una segnalazione al blog. In futuro lancerò delle fatwa democratiche attraverso dei video verso alcuni dipendenti esempio della categoria. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.
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