Di fronte al riscaldamento globale, non saremo tutti uguali. Alcuni saranno più colpiti di altri.
Una nuova ricerca, guidata dal Monterey Bay Aquarium (Stati Uniti), e pubblicata su Science Advances, illustra la disparità tra le origini e gli impatti delle emissioni di gas serra responsabili della distruzione del sistema climatico globale.
Lo studio rivela che non saranno necessariamente coloro che emettono più gas serra a soffrire maggiormente degli effetti del cambiamento climatico.
“Uno degli “sporchi trucchi” del cambiamento climatico è che l’inquinamento emesso localmente ha conseguenze di vasta portata. Quando bruciamo combustibili fossili – carbone , petrolio o gas – si mischiano nell’atmosfera del nostro pianeta. Risultato: impatti del riscaldamento spesso esportati in luoghi lontani.” E’ questo il commento di Kyle Van Houtan che ha guidato il team di ricerca.
Gli scienziati hanno lavorato sulle emissioni dei quattro principali gas serra (GHG) che hanno rappresentato il 92% delle emissioni tra il 1970 e il 2018: anidride carbonica (CO2), metano (CH4 ), ossido nitroso (N2O) e nero di carbone. Hanno confrontato le fonti di queste emissioni con le proiezioni di temperatura in tutto il pianeta. Con la prima osservazione generale: se il 90% delle emissioni viene generato sull’8% della superficie del pianeta, più della metà del territorio subirà un riscaldamento estremo entro la fine di questo secolo.
Lo studio mostra anche che i paesi industrializzati, ad esempio l’Europa occidentale e il Nord America nord-orientale, che emettono la maggior parte dei gas serra subiranno un impatto climatico relativamente minore. Altri, come l’Africa o l’Asia centrale, che emettono meno CO2 soffriranno invece di più gli effetti del riscaldamento.
“I nostri risultati forniscono anche una resa sorprendente di ciò che l’oceano fa per noi”, afferma Kyle Van Houtan. Mentre copre poco più del 70% della superficie terrestre, assorbe oltre il 90% del calore in eccesso che risulta dalle nostre emissioni di gas serra. Emissioni che comunque arrivano a oltre il 95% della terraferma. Un motivo in più per tutelare la salute dell’oceano” , conclude il ricercatore.