di Stanislao Di Piazza – Ridurre alle “società benefit” e a quelle che lo diventino l’imposta sul reddito d’impresa dall’attuale 24% (ora uguale per tutte le imprese) al 20% per grandi “società benefit, es. con più di 5 milioni di fatturato) ed al 15% per “PMI società benefit”. Se grandi società come ENEL, ENI, Barilla, etc diventassero Benefit, sarebbe una rivoluzione. Es. Danone è una “società benefit”. Con queste parole, pubblicate nel post “In alto i profili” Beppe Grillo indica chiaramente uno dei temi sui quali il Movimento potrà misurare la propria efficacia partecipando attivamente ed in maniera propositiva al Governo Draghi.
Il tema delle benefit companies è infatti tutto interno al concetto di Terza Economia, un nuovo modello economico che coniughi profitto e sviluppo sostenibile in linea con gli obiettivi fissati dall’Agenda 2030. L’obiettivo è definire nuovi paradigmi di sviluppo che pongano al centro le persone e guardino alle nuove generazioni. La Terza Economia, in questa visione intende l’impresa come parte integrante della società, una società in cui i bisogni dei cittadini e delle comunità pesano quanto le richieste degli azionisti e nella quale l’imprenditore indirizza la mission (priva da pensieri di mera filantropia) non soltanto verso il raggiungimento degli obiettivi di profitto, ma al welfare di comunità.
Una naturale prosecuzione di un pensiero che ebbe in Olivetti il miglior esponente. Un uomo che appare oggi di assoluta modernità ed è richiamato ogni volta che il dibattito mette al centro il welfare aziendale e la responsabilità sociale d’impresa: guidando un’azienda con oltre 25mila dipendenti, dei quali quasi la metà all’estero, seppe dimostrare con i fatti che un reale sviluppo economico si basa sulla capacità di armonizzare la redditività dell’impresa, l’innovazione, il benessere e la valorizzazione delle risorse umane
L’obiettivo concreto è quello di definire nuovi paradigmi di sviluppo che pongano al centro le persone. Questo percorso che mira alla “umanizzazione” dell’economia e che non trascura il rap¬porto tra etica e responsabilità sociale dell’imprenditore si inserisce del resto nel solco della dottrina sociale cattolica e trova conforto sia nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium” del 2013 che nell’enciclica “Laudato sì sulla cura della casa comune” del 2015.
Seguendo questo ragionamento, si prefigura un’anima nuova per l’Economia ed un nuovo ruolo per lo Stato non più esclusivamente concessionario di beni e servizi implementati in base a modelli che poco margine lasciavano ai bisogni di persone, territori e comunità. Non più risorse per produrre beni e servizi per poi indurne il consumo. In armonia con gli obiettivi dell’Agenda 2030 e con il grido di allarme della società civile, un’economia Terzo pilastro tra Stato e Mercato. Un processo di sviluppo che ha un obiettivo ambizioso, che parte dal Welfare State per arrivare alla Welfare Society. Il lavoro, non più ostaggio dell’economia di mercato, ma declinato attorno alla centralità della persona. Un cambiamento di paradigmi e nuove visioni in cui si dovranno ridisegnare le politiche passive e le politiche attive del lavoro.
Vi sono già, nel nostro Paese, Aziende che da diversi anni portano avanti un nuovo modello di sviluppo sostenibile, modello tra l’altro richiesto a gran voce anche in Europa, e che spero possa tradursi in un nuovo approccio verso la ricostruzione del Sistema Italia. Ritengo che questo mondo di aziende vada oltre i confini dell’economia sociale così come l’abbiamo intesa fino ad ora. Non solo la cooperazione e la impresa sociale abita l’economia in forme non predatorie, ma anche tutti gli enti economici che mettono al centro della loro azione economica la responsabilità sociale e la sostenibilità, il loro impatto sui territori e gli stakeholders verso cui operano.
Queste aziende, così lungimiranti da aver avuto un ruolo pionieristico chiedono da tempo al governo una maggiore attenzione: credo sia giunto il momento di riconoscere loro il giusto merito per quanto svolto- come ha detto con forza Beppe Grillo rispetto alle società benefit – andando a costruire una proposta legislativa e regolamentare in grado di realizzare quel sistema di incentivazione premiale e di fiscalità di vantaggio che consentirebbe questo modello che è insieme sociale ed economico di crescere e di affermarsi.
Inoltre in questo paradigma trova piena attuazione anche il principio di sussidiarietà. Tale principio si realizza sia nella sua dimensione orizzontale (attraverso l’azione di soggetti privati che provvedono alla cura di bisogni collettivi e di attività di interesse generale tanto singolarmente quanto in maniera associata con un ruolo sussidiario svolto dai pubblici poteri che intervengono in funzione, di quanto programmato dai soggetti private) sia in quella verticale dove la sussidiarietà si articola nella distribuzione di competenze tra i diversi livelli di governo territoriali con la valorizzazione del ruolo degli enti territoriali in un’ottica sempre più strategica di programmazione, coordinamento e, in alcuni casi, anche di gestione delle politiche di welfare. Infatti il futuro dei modelli di welfare dovrà tendere alla ricerca di percorsi e strumenti in grado di fronteggiare le nuove problematiche legate al superamento del dualismo Stato/Mercato poiché in una prospettiva di welfare mix o welfare society “occorre andare verso forme di coprogettazione e covalutazione degli interventi sociali sul territorio in cui i diversi soggetti (pubblici e di terzo settore) riescano a costruire reti di protezione sociale e di promozione del benessere altrimenti impensabili” (Ascoli, Pasquinelli, 1993).
Su queste basi e per rispondere alle mutate esigenze del mercato del lavoro, anche per effetto della crisi economica che impone un cambiamento di paradigma nella visione del ruolo del soggetto pubblico e un necessario ripensamento dei modelli di sviluppo, si sono diffusi sempre più, soprattutto tra le aziende di piccole e medie dimensioni, le reti di impresa insieme alle cooperative e i consorzi (senza dimenticare il ruolo degli enti bilaterali, che però assumono un ruolo maggiore nella garanzia di forme di assistenza di natura sanitaria e previdenziale).
In questo solco i soggetti imprenditoriali ispirati al paradigma della Terza Economia possono rappresentare una parte integrante nella nuova vision delle politiche di welfare per consolidarsi e creare valore aggiunto, oltre che maggiore competitività, e puntare così a creare dei patti di collaborazione con il territorio di riferimento, ed in particolare con le istituzioni pubbliche locali, realizzando in concreto un sistema di secondo welfare rispondente alle esigenze economiche e sociali di ogni realtà.
Siamo sulla soglia di un tempo economico e sociale nuovo: dobbiamo avere il coraggio di proporre forme inedite di politiche economiche che sappiano premiare le virtù, così come ci hanno insegnato i teorici della economia civile, come Giacinto Dragonetti, e stimolare una crescita duratura e sostenibile. Non basta additare gli effetti nefasti del liberismo, in termini di disuguaglianze e crisi climatica e ambientale, ma indicare vie nuove e credibili per una crescita che sia progresso umano, sociale e, anche, economico.