di Marco Bella e Torquato Cardilli – La Russia non solo è il primo esportatore mondiale di gas, il secondo di petrolio e il terzo di carbone. Pochi sono consapevoli che ha anche una posizione di assoluta preminenza (che non è nemmeno stata oggetto di sanzioni) anche nel settore dell’industria nucleare. Si tratta di un ruolo di rilievo che crea dipendenza ed è particolarmente pericoloso proprio perché non percepito.
La Russia, tramite la società Rosatom (completamente statale e controllata dal Cremlino) e la sua sussidiaria TVEL domina il mercato del combustibile nucleare: controlla il 38% dei processi di conversione e ben il 46% di quelli di arricchimento nel mondo. I suoi principali concorrenti, cioè Stati Uniti, Francia, Cina, Giappone e Corea gestiscono tutti insieme solo un altro 40%. Questa è una preminenza paragonabile sul mercato a quella che l’OPEC ha sul petrolio.
Le riserve di uranio (U) nel mondo sono presenti anche in paesi del blocco occidentale come Canada (9%) e Australia (28%); tuttavia, i minerali di uranio non sono un combustibile nucleare utilizzabile. L’uranio naturale è una miscela di due isotopi, U 235 (0.7%) e U 238 (99.3%). Solo il primo può produrre energia nei reattori nucleari a fissione. La stragrande maggioranza di quelli operativi nel mondo (più del 90%) ha bisogno di uranio arricchito, cioè uranio in cui la percentuale dell’isotopo 235 è innalzata al 3-4% tramite un processo tecnologicamente molto complesso. Continuando il processo di arricchimento fino a ottenere più del 90% di U 235 si arriva all’uranio che può essere utilizzato negli ordigni atomici. Tutto l’uranio scartato dal processo (99.8% U 238) è invece il cosiddetto “uranio impoverito”, che è solo debolmente radioattivo e ha anch’esso un impiego bellico, nella fabbricazione di proiettili in armi convenzionali.
Oltre al combustibile nucleare, Rosatom si occupa anche di riprocessamento delle scorie (che hanno ancora una quantità significativa di U 235) e produce anche reattori. Insomma, fornisce “pacchetti completi chiavi in mano” (costruzione reattore, conduzione, fornitura del combustibile e gestione delle scorie). Diversi paesi per avviare un programma nucleare si sono rivolti alla Russia.
Ad esempio, Rosatom sta costruendo una centrale nucleare in Turchia a Akkuyu secondo il modello BOO: Build, Own, Operate (costruisco-possiedo-opero). Questo significa che la centrale si costruisce con capitali russi, il controllo della centrale resterà in mano alla Russia che fornirà anche il combustibile e in cambio rifornirà di energia il paese ospitante a prezzo calmierato. In altri termini, la centrale sarà in un’enclave russa, e la Russia sarà detentrice di un’infrastruttura energetica chiave in uno stato NATO.
Tutti i paesi del blocco ex sovietico sono comunque legati alla Russia per il combustibile nucleare così come lo era anche l’Ucraina che prima dell’invasione produceva il 55% della sua energia elettrica tramite nucleare.
L’Ucraina per il suoi reattori ora utilizza combustibile proveniente dagli Stati Uniti, secondo procedure e adattamenti che hanno richiesto un decennio, a riprova di quanto sia complesso cambiare fornitore di combustibile.
Tra i paesi europei la Francia ha un rapporto privilegiato con la Russia, da cui continua ad acquistare combustibile nucleare arricchito (15% del suo fabbisogno).
Questa dipendenza potrebbe spiegare l’attivismo della Francia che negli ultimi mesi sta propugnando il rinascimento nucleare in Europa anche se il nucleare non sarà mai una fonte rinnovabile, dato che ha bisogno in ogni caso di un combustibile e dei processi di trasformazione disponibili solo in pochi stati.
Il nostro ed altri paesi fino al 2021 hanno puntato pesantemente sul gas russo e anche sul petrolio. L’improvvisa impennata del costo del gas, provocato artatamente dagli speculatori ben prima della guerra in Ucraina, e le successive sanzioni anti Russia ci hanno fatto toccare con mano come sia stato un capitale errore quello di consegnarci a piedi giunti in braccio a un solo paese che ci forniva fino alla primavera del 2022 quasi il 48% del nostro fabbisogno.
Obbedienti al diktat dell’alleanza occidentale siamo andati in pellegrinaggio a riverire alcuni stati ove la democrazia non aveva esattamente gli standard di quella occidentale. Ma le visite in Algeria, Libia, Egitto (che guarda caso sta costruendo i suoi reattori nucleari proprio grazie a Rosatom), Emirati, Qatar non potevano soddisfare con immediatezza le nostre richieste di rifornimento e allora ci siamo rivolti a chi ci ha mandato via nave il gas liquido da rigassificare a un prezzo ben più alto di quello che pagavamo ai russi.
Qui abbiamo già spiegato perché il ritorno del nucleare in Italia, propagandato anche con argomentazioni antiscientifiche su tempistiche irrealizzabili nel nostro Paese, sarebbe di fatto impossibile per una questione di tempi realistici necessari, costi e a causa del macigno del referendum.
Non vorremmo cadere dalla padella nella brace legandoci in modo irreversibile ad altre dipendenze. Dopo esserci già cascati con il gas russo, replicare ascoltando le sirene del nucleare del Cremlino sarebbe davvero una pessima idea.
La strada per affrancarci da una dipendenza estera, che sia di idrocarburi o di combustibile nucleare, è quella del ricorso massiccio a risorse gratuite, pulite e perenni regalateci dalla natura, ad esempio con un piano strategico per installare più fotovoltaico possibile su tutti i tetti degli edifici pubblici (scuole, università, ospedali, ministeri, caserme, uffici pubblici locali) e continuando sullo sfruttamento di idroelettrico eolico e biomasse.
Le dipendenze (energetiche, tecnologiche, da sostanze stupefacenti o affettive) sono un male per i singoli individui e per le nazioni. Stiamone alla larga.
GLI AUTORI
Marco Bella – Già deputato, ricercatore in Chimica Organica. Dal 2005 svolge le due ricerche presso Sapienza Università di Roma, dal 2015 come Professore Associato.
Torquato Cardilli – Laureato in Lingue e civiltà orientali e in Scienze politiche per l’Oriente. E’ stato Ambasciatore d’Italia in Albania, Tanzania, Arabia Saudita ed Angola. Ha redatto oltre 300 articoli di carattere politico ed economico pubblicati in Italia e all’estero da varie testate ed agenzie di stampa.