“Da molto tempo pensavo di scrivere un libro che brevemente e chiaramente riassumesse il mio pensiero sull’ecologia sociale. Mi sembrava (e sembrava a diversi miei amici) che potesse essere utile condensare in un paio di centinaia di pagine – pagine non troppo ostiche per il lettore medio – quelle idee che avevo svilup-pato in diversi libri ponderosi. Questo è, per l’appunto, quel libro.
Esso non è, beninteso, un surrogato dei miei libri precedenti, in particolare de “L’ecologia della libertà”, ma è una sorta di rassegna dei principali temi che ho affrontato e un’introduzione generale alle mie idee di fon-do. Inoltre ho approfittato dell’occasione per aggiungere qualche idea nuova. Le idee fondamentali che ho sviluppato in quasi tutti i miei scritti sono riconducibili al concetto che la maggior parte dei nostri problemi ecologici ha le sue radici in problemi sociali e che l’attuale disarmonia tra umanità e natura può essere ricondotta essenzialmente ai conflitti sociali. Non credo che si possa giun-gere a un equilibrio tra umanità e natura se non si trova un nuovo equilibrio – basato sulla libertà dal dominio e dalla gerarchia – in seno alla società. Per l’appunto, ho chiamato ecologica questa nuova società ipotizzata e ho definito il mio pensiero come ecologia sociale.
L’ecologia sociale non è né ecologia umana né ecologia profonda, termini e concezioni che tendono a deviare la nostra attenzione dagli aspetti sociali dell’attuale crisi ecologica. È necessario affrontare onestamente il fatto che, se non trasformiamo la società in senso libertario, gli atteggiamenti e le istituzioni che ci spingono follemente verso il disastro ecologico continueranno a operare, nonostante tutti gli sforzi messi in campo per riforma-re il sistema sociale dominante.
L’obiettivo cruciale che mi pongo è mostrare come l’ecologia sociale sia un corpus teorico coerente, che cerca non solo di spie-gare il perché dell’attuale sfascio ecologico ma anche di trovare un terreno comune, una base unificante, per le riflessioni am-bientaliste, femministe, classiste, neourbane e neorurali. È stato il nascente dominio tra esseri umani – cominciato moltissimo tempo fa, prima ancora che emergessero le classi economiche e lo Stato – che ha partorito questa idea del dominio sulla natura (anche se in realtà non possiamo dominare la natura proprio come non possiamo sollevarci tirandoci su per le stringhe). Al contrario, nell’ambito sociale si è andato affermando un dominio reale: il dominio dei vecchi sui giovani nelle gerontocrazie, degli uomini sulle donne nel patriarcato, di un gruppo etnico su un altro gruppo etnico nelle gerarchie razziali, della città sulla campagna nelle civiltà urbane… Tutte queste forme di dominio hanno un’origine e una natura comuni: sono sistemi di comando/obbedienza basati su istituzioni gerarchiche. Le implicazioni ecologiche di questi sistemi sono ancora più rilevanti delle loro determinazioni economiche, in quanto com-portano la distruzione di valori ecologici quali la complementa-rità, il mutuo appoggio, il senso del limite, un profondo senti-mento comunitario e una concezione organica fondata sull’unità nella diversità. Questi valori e le istituzioni in cui si sono incarnati sono stati rimpiazzati dalla competizione, dall’egoismo, dalla crescita illimitata, dall’anomia e da una razionalità puramente strumentale, vale a dire dalla convinzione che la ragione non è altro che uno «strumento», una «abilità» in grado di adeguare i mezzi ai fini, e non un carattere inerente a una realtà ordinata e comprensibile.
Questo vasto insieme di categorie «moderne», che gioca un ruolo alienante sia nelle nostre interrelazioni umane sia nel no-stro rapporto collettivo con la natura, trova la sua espressione più nefasta nel capitalismo (sia il capitalismo privato dell’Ovest sia il capitalismo burocratico dell’Est), cioè in un sistema basato sul «crescere o morire», sull’accumulazione senza fine del capitale come funzione di sopravvivenza in un mercato concorrenziale, che minaccia di distruggere tutta la biosfera a meno che non venga sostituito da un assetto sociale radicalmente diverso. Una tale trasformazione sociale non implica semplicemente l’istituzione di nuove relazioni economiche in materia di possesso o controllo della proprietà, bensì comporta l’acquisizione di una nuova sensibilità antiautoritaria, lo sviluppo di nuove tecnologie che armonizzino il nostro rapporto con la natura, di nuove comunità urbane che vivano in equilibrio con la campagna, di nuovi rapporti sociali basati sull’aiuto e la responsabilità reciproca, di nuove forme di sviluppo qualitativo sostitutive di una crescita quantitativa fine a se stessa. Come queste idee siano tra loro interconnesse e stiano alla base di recenti movimenti sociali come quello ecologico, quello femminista o quello comunitario, e come esse consentano anche un nuovo approccio a movimenti tradizionali legati a problemi come la miseria, lo sfruttamento economico, il dominio di classe, il razzismo e l’imperialismo… è appunto la tematica che attraversa tutto il libro, sviluppata in una prospettiva ecologica.
Se il movimento ecologico, alla cui nascita negli Stati Uniti ho contribuito una trentina di anni fa, si ritraesse dall’arena sociale, alla ricerca di una vita privata «sana», o se ingenuamente aderisse a una pura pratica elettorale, alla ricerca di influenza e potere, la perdita per tutti noi sarebbe irreparabile. Ho visto i cosiddetti Verdi europei fare continui compromessi con il sistema sociale dominante allo scopo di acquisire «potere»… con l’unico risultato di essere stati progressivamente assorbiti da quello stesso potere che cercavano di trasformare.
Sono convinto che oggi il pensiero ecologico possa fornire la più rilevante sintesi di idee che si sia vista dopo l’Illuminismo, che possa aprire prospettive per una pratica in grado di cambiare veramente l’intero paesaggio sociale dei nostri tempi. Lo stile «militante» che i lettori troveranno nel libro nasce proprio da questo senso di urgenza. È urgente, e di vitale importanza, non lasciare che il pensiero ecologico e il movimento che ne può derivare finiscano con il degenerare da un lato in nuove forme di politica statuale e in tornei partitici, e dall’altro in variopinte mode misticheggianti e spiritualistiche portatrici di quietismo e passività sociale. C’è una via, che non è né quella della politica convenzionale, cioè la politica statuale, né quella del quietismo mistico: è la politica basata sull’azione diretta, la politica «dal basso» fondata sulla mobilitazione comunitaria e sul federalismo municipale, un federalismo che può mettere in crisi la centralizzazione statalista e la concentrazione capitalista che segnano in modo nefasto la nostra epoca.
E di questo mi occupo nella parte finale del libro.
La verità non è mai stata semplice, unidimensionale. Spesso è un sottile filo rosso che attraversa un labirinto di errori in cui facilmente cadiamo se ci manca una visione chiara e coerente della realtà. È questo sottile filo rosso che ho cercato di seguire. Ed è questo filo che il lettore o la lettrice deve cercare e seguire fino alla fine, con la sua propria capacità di guardare oltre il presente stato delle cose. Per il resto il libro parla da sè.”
Prefazione del libro “Per una società ecologica” di Murray Bookchin (1989)