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Passaparola- I nuovi razzismi – David Bidussa

beppegrillo.it - Gennaio 9, 2012
I nuovi razzismi
(11:00)

“Dove andrà l’Italia? Questa domanda non riguarda la situazione economica, ma la natura stessa dello Stato italiano. I venti che soffiano in Europa hanno sempre più il sapore del razzismo e dell’estrema destra, dall’Ungheria ai movimenti dell’Europa dell’Est e del Nord. Tra le ipotesi che ci riguardano non è da escludere il nascere di un forte nazionalismo di destra che può sfociare in una dittatura e in un definitivo tramonto del Paese. David Bidussa ci mette di fronte a uno specchio in cui vediamo la nostra immagine uguale a quella della Francia degli anni ’30. La Storia forse non si ripete mai nello stesso modo, ma spesso si assomiglia.” Beppe Grillo

Il Passaparola di David Bidussa, storico e scrittore.

Il razzismo, un modo di vivere (espandi | comprimi)
Prima di tutto un saluto al blog degli amici di Beppe Grillo, mi chiamo David Bidussa, mi occupo di Storia delle idee, che è una disciplina un po’ strana, in qualche modo una volta si sarebbe chiamata Storia delle dottrine politiche, ora si chiama Storia sociale delle idee. Si fa presto a dire razzismo, quando in Italia lo scorso mese di dicembre, sono avvenuti degli episodi certamente sanguinari, violenti,sicuramente discriminanti, con dei tratti di razzismo, molti mi hanno parlato di razzismo e altri si sono inalberati per l’uso di questa parola. Altri hanno detto che noi non abbiamo una legislazione per divisione etnica, religiosa, culturale, quindi è improprio parlare di razzismo, perché il razzismo nel secolo scorso è stato un episodio, un momento della storia dell’Europa e anche di questo nostro Paese piuttosto segnato.
Ci sono due modi di avere memoria: mi fisso un evento in testa, lo memorizzo, se accade di nuovo la stessa cosa con le stesse componenti vuole dire che quella cosa è la stessa. Oppure prendo dei pezzi, ci penso, ci rifletto, perché i fenomeni non accadono eguali. Sono più per la seconda corrente, quella che prende alcuni pezzi e cerca di ricomporli. Per ricomporli però bisogna avere un po’ di memoria e non farsi spaventare che, se si usano delle parole, quelle parole immediatamente riguardano delle immagini che si sono fissate nella nostra mente. La parola “razzismo” non necessariamente evoca campi di sterminio, viaggi e trasporti coatti di persone. Non necessariamente implica sradicamento di persone da un luogo. Il razzismo è fatto di molte cose ed è un sentimento e anche un modo di vivere per certi aspetti, prima ancora che una teoria politica. Provo a elencare degli elementi che in un Paese d’Europa, molti anni fa, hanno determinato una condizione culturale di convinzione razzista prima ancora che di ideologia razzista, un Paese in cui c’era un alto tasso di disoccupazione, che aveva la sensazione che la propria crisi economica l’avesse fatto diventare di serie B, che non ci fosse un futuro per le giovani generazioni, che il ceto medio fosse una classe sociale totalmente penalizzata dal punto di vista della sua rilevanza politica, sociale, del suo ruolo e soprattutto di una legislazione che lo penalizzava dal punto di vista delle decisioni economiche e dei deliberati politici. Un Paese in cui gli indipendentismi regionali erano molto forti, con tratti di movimenti molto autoritari, con scarsissima opposizione interna, con un’idea di comunità vissuta come comunità di sangue. Un Paese in cui, in quel momento di crisi economica, molti elementi di estrema sinistra passano all’estrema destra e molti di estrema destra maturano un’ipotesi violenta.
In cui l’opinione era che non ci fosse altro se non riappropriarsi di un Paese che sembrava ormai al servizio di immigrati percepiti come stranieri, invasori, dove i nativi erano diventati cittadini di serie B. Ora proviamo a svelare questo Paese, non era la Germania nazista e non era neanche l’Italia fascista, era un Paese che aveva un Parlamento libero, dei partiti politici che si combattevano politicamente in Parlamento, aveva il diritto di sciopero, la libertà di stampa: questo Paese era la Francia degli anni ’30. Un Paese che aveva un’alta letteratura, teatro, una grande espressione artistica e letteraria e culturale. I razzismi nascono non perché c’è una legislazione, e non perché c’è un’ideologia. I razzismi nascono dal disagio profondo, non curato, dove la politica non interviene e lascia correre, dove in qualche modo si approfitta anche della rabbia sociale e dove soprattutto una volta che si comincia una china discensiva, nessuno si ferma a riflettere, ma tutto sembra molto automatico. Bene, per certi aspetti credo che sia la fotografia di questo nostro Paese, oggi. La domanda è “Com’è finita la Francia degli anni 30?”. È finita con un tracollo militare che prima di tutto era un tracollo culturale, sociale, era l’idea che non c’era un futuro, anche questo è un aspetto che ci riguarda molto oggi. Non è obbligatorio ripercorrere gli stessi percorsi di 70 anni fa, ma è bene sapere che il razzismo non è un prodotto solamente ideologico, non è solamente una convinzione maturata attraverso la lettura di libri o la diffusione di giornali, è la sensazione lenta di essere espulsi dalla Storia e avere invece l’idea di esserci stati una volta nella Storia, di avere contato, di avere pesato, di avere avuto un ruolo in quella Storia!

Un Paese in cerca di tutela (espandi | comprimi)
Quando leggiamo sui giornali che improvvisamente delle persone escono di casa e hanno la sensazione che il futuro o il presente non parli a loro, la sensazione di doversi riprendere in mano qualcosa che hanno perduto, dobbiamo pensare che non siamo un Paese che ha già perso tutti i connotati, ma un Paese a rischio, fortemente a rischio, che si riprenderà e può riprendersi se riesce a avere anche uno scatto culturale di orgoglio e non solamente economico, non solamente in ripresa materiale. La Francia degli anni ‘30 viveva con gli occhi tirati indietro, aveva la sensazione che il passato fosse glorioso, il presente incerto, il futuro terribile e soprattutto aveva la convinzione che non c’era un domani! Oggi abbiamo una possibilità se siamo in grado di riflettere su come noi siamo e non semplicemente se riduciamo quell’espressione a un elemento di devianza, di pazzia, di cattiveria, di non controllo o di emozioni non controllate. Ciascuno di noi fa degli atti inconsulti spesso di generosità, non perché ha calcolato che ne avrà un ritorno, ma perché fanno parte della sua natura umana. Si può essere naturalmente insofferenti della presenza di qualcuno, oppure anche naturalmente molto generosi con la presenza di qualcuno, non è detto… dipende da molti fattori e dal fatto se si riesce a fare un’analisi di sé senza darsi costantemente ragione, ma interrogandosi sul perché la nostra condizione attuale è quella in cui ci troviamo, del perché siamo decaduti economicamente, del perché non abbiamo una produzione culturale scientifica, tecnica all’altezza di un Paese, come 50 anni, del perché non abbiamo un sistema scolastico che funzioni, del perché non abbiamo più un sistema sanitario che funzioni, del perché la nostra qualità sociale sia diminuita. Non è solamente un problema di risorse, spesso è un problema di esserci, di sapere che quella cosa di cui fai parte riguarda anche te e la costruisci tu. Noi a lungo da questo ci siamo allontanati, abbiamo avuto la sensazione che non ci appartenesse, che fosse un aspetto della nostra quotidianità su cui non pesavamo, che ci era stato dato una volta e che naturalmente non era più in discussione. E’ tornato a essere in discussione ed è un modo di interrogarci sul perché e sulla finalità di stare ancora insieme!
Proviamo a fare una lista di questioni che distinguono un Paese in crisi da uno in crescita. Il paese in crisi è a forte disoccupazione, in cui le giovani generazioni non vedono un futuro, che ha memoria del suo successo precedente e vede davanti invece una difficoltà di crescita. Un Paese che non percepisce una classe politica che stia facendo un mestiere a suo favore, ma solamente a vantaggio personale di chi sta in politica, non a servizio di un cittadino, è un Paese in cui non sente più la necessità di vivere collettivamente dentro un unico territorio, ma la necessità di andarsene via perché non si sente tutelato, perché si sente tutelato maggiormente da un suo vicino e non da un’idea di nazione. Un Paese che ha una crisi di ideale e in cui la differenza, le distinzioni tra destra e sinistra, sono molto lontane e ha un’idea di tecnici come se fossero degli alieni che lavorano per un fine che non si comprende, comunque che non sono al mio servizio. Un Paese che, quando vive tutte queste condizioni insieme, è spaventato, sfiduciato, in cerca di qualcuno che lo conforti, non è adulto, è un Paese bambino, un Paese in cerca di tutela.
Di solito è una dimensione che non porta a uno sviluppo e a un accrescimento del tasso di democrazia politica, porta invece alla ricerca di un sistema autoritario di controllo, perché gli fornisce dei canoni in cui sentirsi certo, sicuro, che non deve preoccuparsi di cosa accadrà! Tutti questi punti forse ci riguardano. Nella storia dell’Europa hanno riguardato un Paese che è vicino a noi, non aveva leggi razziali all’inizio, le la avute dopo, non aveva e non applicava discriminazioni, era fortemente abitato da stranieri e immigrati, mal sopportati, era la Francia, Paese che noi abbiamo sempre assimilato come paladino della libertà, che non è mai stato un paese razzista, sanguinario. Nella nostra mente i paesi razzisti in Europa sono altri! Bisognerebbe pensarci! Per cui passa parola!

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