Alla Mostra di Venezia è stato presentato “No Other Choice”, il nuovo film di Park Chan-wook (regista di Oldboy e Decision to Leave). Una satira nera che affronta la crisi del lavoro, l’impatto dell’automazione e la distanza crescente tra chi perde tutto e chi continua a vivere protetto dal privilegio.
Il protagonista è Yoo Man-su, interpretato da Lee Byung-hun, un lavoratore che dopo 25 anni viene licenziato dall’industria cartaria. La sua vita si sgretola e per sopravvivere è costretto a scelte sempre più estreme. Nel film, arrivato a un punto di non ritorno, elimina i suoi stessi concorrenti nei colloqui di lavoro, gesto disperato che dà senso al titolo No Other Choice, non c’è altra scelta. Park Chan-wook ha lavorato vent’anni a questo progetto e lo porta oggi al Lido, dove ha ricevuto una standing ovation di quasi nove minuti. Il film rappresenterà la Corea del Sud agli Oscar e uscirà in Italia a gennaio.
Il film descrive un mondo in cui l’automazione e il capitalismo spietato minacciano i posti di lavoro e accentuano il divario con le élite. Da un lato un uomo comune che perde il sostegno del lavoro dopo una vita di fedeltà all’azienda, dall’altro un ambiente sociale che celebra ricchezza e status, distante e inaccessibile. È un contrasto che amplifica la disuguaglianza e che Park traduce in immagini tra umorismo nero e critica sociale.
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro oltre 2 miliardi di persone nel mondo lavorano senza tutele o contratti regolari, pari a circa il 58–61% della forza lavoro globale. La disoccupazione media mondiale nel 2024 era attorno al 5%, ma tra i giovani ha toccato il 12,6%, con punte oltre il 30% in diversi Paesi. Nei Paesi OCSE, a maggio 2025 la disoccupazione si attestava al 4,9%, con un tasso di occupazione del 72,1% e una partecipazione alla forza lavoro del 76,6%.
Il Future of Jobs Report 2025 del World Economic Forum stima che entro il 2030 nasceranno 170 milioni di nuovi posti di lavoro, mentre 92 milioni andranno perduti, con un saldo netto di +78 milioni. Il 40% dei datori di lavoro prevede riduzioni di organico a causa dell’automazione. Secondo McKinsey, entro il 2030 fino al 30% delle ore lavorate negli Stati Uniti potrebbe essere automatizzato, e a livello globale metà delle attività potrebbe raggiungere la soglia di automazione entro il 2045. Il divario tra chi guadagna di più e chi perde stabilità continua ad allargarsi. Oxfam ha stimato che nel 2024 l’1% più ricco della popolazione mondiale deteneva circa il 45% della ricchezza totale. Negli ultimi dieci anni, i miliardari hanno visto crescere il loro patrimonio a un ritmo più che doppio rispetto al resto del mondo. Allo stesso tempo metà della popolazione globale vive con meno di 6,85 dollari al giorno.
No Other Choice mette in scena questa forbice, chi resta intrappolato tra precarietà e disoccupazione e chi si muove in un mondo di lusso e potere. La scelta estrema del protagonista è un monito. Pur di ottenere un lavoro, arriva a uccidere i suoi contendenti ai colloqui, trasformando la competizione professionale in una lotta mortale.
Quando le disuguaglianze si allargano e il lavoro diventa instabile, le persone rischiano di trovarsi senza alternative. Da molti anni lo ripetiamo, la strada è quella di un reddito universale di base. Garantire un minimo economico a tutti significherebbe ridurre la precarietà, permettere a chi perde il lavoro di affrontare la transizione senza disperazione e dare una base di dignità in un’epoca di trasformazioni profonde, in cui ormai l’intelligenza artificiale sta spazzando via gran parte dei lavori (anche quelli creativi) che davamo per certi.
No Other Choice ci ricorda che senza una rete di sicurezza sociale, le scelte diventano impossibili.
Non abbiamo davvero più altra scelta.





