Per Lula è una questione di indipendenza per l’intero continente. “Se Dio vuole, creeremo una moneta comune per l’America Latina, per non dipendere dal dollaro”. E’ la proposta di Luiz Inacio Lula da Silva, candidato alle prossime elezioni presidenziali brasiliane.
Si dovrebbe chiamare Sur (Sud in spagnolo) e si tratterebbe di una moneta digitale complementare (non stampata) per i flussi commerciali e finanziari dell’intero continente “emessa da una banca centrale sudamericana, con una capitalizzazione iniziale fatta dai paesi membri, proporzionale alle rispettive quote nel commercio del continente”. I Paesi del Sud America, anziché usare il dollaro, userebbero la valuta digitale (sarebbero liberi di adottarla a livello nazionale o mantenere le loro valute) assegnandogli parte delle proprie riserve di valuta estera, e il tasso di cambio con le varie valute dell’America Latina sarebbe variabile. Attualmente tutti prezzi delle materie prime sono valutati in dollari. Uno stato del Sud America che volesse acquistare tali risorse deve inevitabilmente pagare in dollari. Con il Sur si rafforzerebbe la sovranità economica del continente e allo stesso tempo si indebolirebbe la sua dipendenza dagli Stati Uniti.
L’idea di una moneta unica latinoamericana è stata ideata dall’economista Gabriel Galípolo, ex presidente del Banco Fator, che ha collaborato al programma di governo di Lula. In un recente articolo pubblicato sul quotidiano Folha de S.Paulo, a firma dell’economista e dell’ex sindaco di San Paolo Fernando Haddad, entrambi ne promuovono l’attuazione, in un modello simile all’euro europeo, come mezzo per aumentare l’integrazione regionale e il rafforzamento della sovranità monetaria del continente.
Nel frattempo, Lula ha anche espresso l’intenzione di rafforzare i legami con l’Africa; “Daremo priorità al nostro rapporto con il continente africano, perché il Brasile ha un debito da pagare con l’Africa, questo debito brasiliano non si misura in denaro, si misura in solidarietà, nel trasferimento di tecnologia. Il Brasile ha un obbligo in fin dei conti, sono stati 350 anni di sfruttamento dei neri. Siamo quello che siamo perché siamo sangue africano”.