di Beppe Grillo – Nessuno sa quali accuse abbiano mosso le autorità israeliane contro Khaled El Qaisi, studente italo-palestinese arrestato il 31 agosto al valico di frontiera di Allenby tra la Giordania e la Cisgiordania occupata, dopo una breve vacanza in Palestina con la sua famiglia. A Khaled non è consentito conoscere gli atti che hanno determinato la sua custodia e la sua durata; non sa chi lo accusa, per quale ragione lo faccia, cosa affermi in proposito.
Secondo Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati, “Le detenzioni senza accusa o processo sono una pratica comune per i palestinesi che vivono sotto l’occupazione israeliana da 56 anni. Attualmente, più di 1.000 palestinesi si trovano in questa situazione, con circa 600-700 nuovi casi l’anno. Tra di loro ci sono molti bambini e giovani. Le ragioni per cui Israele arresta e detiene i palestinesi sotto occupazione sono spesso prive di legalità secondo il diritto internazionale”.
Sono vicino alla famiglia di Khaled e condivido fortemente l’appello di sua moglie, Francesca Antinucci, (presente durante la conferenza stampa organizzata dalla nostra Stefania Ascari, ieri mattina) con la speranza che lo Stato italiano e tutte le istituzioni non si voltino dall’altra parte, e si mobilitino con fermezza per la sua liberazione e il suo ritorno a casa.
Ringrazio per questa preziosa occasione di condivisione di quanto sta accadendo a Khaled El Qaisi, mio marito e compagno di vita, padre premuroso di nostro figlio, studente di Lingue e Civiltà Orientali, traduttore, stimato da molti per la sua profonda conoscenza, per il suo lavoro di divulgazione e conservazione di tutto ciò che abbia come campo di indagine il suo paese di origine, la Palestina, e il mondo arabo. Figlio di padre palestinese e madre italiana, quindi con doppia cittadinanza, è cresciuto in Palestina e in Italia ha iniziato il suo percorso di studi universitari. Tutto ciò per spiegare chi è Khaled.
Quest’estate avevamo organizzato il nostro viaggio, dopo averlo tanto desiderato. Khaled aveva anticipato me e nostro figlio di un paio di settimane per poter verificare le procedure di registrazione, del matrimonio e della nascita del nostro bambino, presso l’anagrafe palestinese, e per occuparsi dei comfort minimi per rendere accogliente la casa che ci avrebbe ospitati durante la nostra permanenza a Betlemme. E’ stata occasione di visita ai familiari e abbiamo trascorso giornate serene. E’ così che di buon mattino, dopo circa due settimane, tutti e tre ci siamo diretti al valico di Allenby per il rientro in Italia mio e di nostro figlio. Khaled ci accompagnava e sarebbe rientrato in Palestina dopo la nostra partenza per poter finalizzare le pratiche familiari avviate e per far valutare dei lavori di ristrutturazione dell’appartamento. Intorno alle 11, nell’area di pertinenza israeliana, al controllo dei bagagli e dei documenti, dopo una lunga attesa, è stato ammanettato da una guardia di frontiera sotto lo sguardo incredulo mio, di nostro figlio nonché di tutti i presenti che erano in attesa di poter tranquillamente riprendere il proprio percorso.
Alle mie richieste di delucidazioni non è seguita risposta alcuna, piuttosto mi sono state sottoposte domande per poi essere allontanata col bambino verso il territorio giordano, senza telefono, senza contatti, né contanti, che Khaled aveva con sé poiché, come all’andata, si sarebbe occupato per noi tutti dei farraginosi passaggi della frontiera, comprese le tasse di transito di ciascuna parte del valico. Solo nel tardo pomeriggio io e il piccolo siamo riusciti a raggiungere l’Ambasciata Italiana ad Amman, e questo solo grazie alla umana generosità di alcune signore palestinesi che accòrtesi del nostro smarrimento, ci hanno aiutato donandoci i dinari necessari per poter prendere un taxi fino alla capitale giordana.
E’ quindi dalla mattina di quel 31 agosto che Khaled è trattenuto dalle autorità israeliane ed è tuttora prigioniero, senza accuse a lui imputate, in virtù di una misura cautelare.Sono tante le manifestazioni di solidarietà che sto personalmente ricevendo, da chi ha avuto modo di conoscere Khaled, dal mondo accademico e non solo, ricevo attestazioni di stima per Khaled per la sua passione nell’impegno nella raccolta e divulgazione e traduzione di materiale storico palestinese, attraverso il lavoro del Centro Documentazione, per il suo lavoro di traduttore, per la sua mitezza e coerenza rispetto alle ingiustizie, tutte.
Veniamo alla situazione attuale: oggi siamo al 28° giorno di detenzione, si sono succedute 4 udienze, il 1°, il 7, il 14 e l’ultima il 21 settembre. Durante l’ultima udienza questa detenzione senza formali capi di accusa si è estesa per ulteriori 11 giorni. Sappiamo che non ha potuto incontrare il proprio avvocato fino alla sera del 13 settembre. L’avvocato, impossibilitato per legge ad incontrarlo fino a quel giorno, lo ha poi potuto visitare in sole due occasioni.
Ci sono dunque forti limitazioni a incontrare il proprio avvocato, venendo sottoposto a continui interrogatori condotti con metodi non allineati ai principi dettati dalle norme internazionali. Il consolato anche ha avuto modo di visitarlo in due occasioni, una delle quali ha visto il console di Tel Aviv, in contatto con la famiglia dai primi momenti, impegnato anche nella consegna di alcuni generi di conforto, come abiti e un medicinale che sappiamo però non essere stati consegnati a Khaled dalle autorità carcerarie. Senza entrare troppo nel merito di una comparazione tra il nostro sistema giudiziario e quello israeliano, del quale potranno parlare con maggior competenza le persone qui presenti, posso quindi parlare del carcere dove si trova Khaled in questo momento. A parte una breve permanenza nel carcere di Ashkelon, nel quale è stato tradotto sempre a fini investigativi, fino alla notte del 14 settembre Khaled è stato in isolamento a Petah Tikwa. Dal 14 non è più in isolamento ma in una cella condivisa con un altro prigioniero, palestinese, sembrerebbe di Jenin. Il carcere di Petah Tikwa, tristemente noto per i pesanti metodi di interrogatorio e degli abusi commessi ai danni dei detenuti, come ampiamente illustrato in diversi rapporti di organizzazioni internazionali, israeliane e palestinesi, è destinato alle fasi investigative. Il carcere è stato costruito senza finestre nelle stanze o nelle celle.
Cito, dal rapporto su questo specifico carcere a cura di Btselem, organizzazione israeliana, “le testimonianze indicano che nella struttura di Petah Tikva ci sono diversi tipi di celle, che differiscono principalmente per dimensione. Le celle più piccole possono contenere una sola persona, con un materasso sottile che copre quasi tutto il pavimento, a parte una toilette turca. I detenuti hanno stimato le dimensioni di queste celle in circa 1,5 x 2 metri. Le celle più grandi ospitano gruppi di detenuti che hanno terminato l’interrogatorio, e sono anche abbastanza grandi da contenere il materasso dato a ciascun detenuto. In alcune celle il soffitto è talmente basso che i detenuti hanno riferito di poterlo toccare stando in piedi. Numerosissimi detenuti sono stati tenuti in isolamento per una parte della loro permanenza nella struttura. La persona detenuta in isolamento non ha contatti con gli altri detenuti, e nemmeno con i carcerieri che gli portano i pasti, poiché questi vengono fatti passare attraverso una fessura nella porta della cella.”
Questo è ciò che riporta un’organizzazione israeliana, non una delle organizzazioni palestinesi analoghe, tra l’altro messe al bando dall’ottobre del 2021. Sappiamo che Khaled è stato interrogato ripetutamente, in condizioni di privazione del sonno e contenzione in posizioni di stress, offese verbali e minacce. Sempre dal rapporto già citato leggiamo. “molti detenuti riferiscono che gli inquirenti hanno sfruttato i loro rapporti con le loro famiglie per esercitare pressioni su di loro” . Temiamo enormemente per la condizione di Khaled. Così come temiamo per l’incolumità dei familiari, la madre e il fratello di Khaled, attualmente a Betlemme, così come per i membri della famiglia paterna. C’è la sensazione più che palpabile che metodi intimidatori, coercitivi e di violenza piscologica si stiano attuando soprattutto nei confornti di Khaled e che questi si estendano a tutti i membri della famiglia.
Abbiamo saputo ieri sera che le autorità israeliane hanno convocato anche la madre e il fratello di Khaled, a Lod, in territorio israeliano, per interrogarli. Hanno ricevuto una chiamata informale, via telefono, a presentarsi in territorio israeliano da una non meglio precisata figura di polizia. A questa a dir poco singolare convocazione, da quanto so, non avrebbero voluto presentarsi anche in virtù del fatto che, avendo anche cittadinanza palestinese, incapperebbero nell’illegalità in quanto a loro non concesso recarcisi senza speciale lasciapassare. Tuttavia, dietro pressioni e rassicurazioni in merito a una convocazione scritta che potesse permettergli di passare i checkpoint e raggiungere il territorio israeliano, mi hanno riferito che in mattinata si muoveranno verso Lod.
Temiamo che questo episodio rientri a piè pari in un quadro di intimidazione già verificatosi in un caso precedente, quando la notte tra il 13 e il 14 settembre una telefonata ha attirato il fratello Khader presso la casa al centro di Betlemme. In quell’occasione, durante una perquisizione dell’abitazione in cui abbiamo trascorso la nostra vacanza, era presente anche Khaled, giunto lì con le camionette dell’esercito israeliano, condotto a Wadi Maali (quartiere del centro nei pressi della Basilica dell Natività, n.d.r) con le manette ai polsi e alle caviglie. Successivamente il fratello Khader è stato fermato, trattenuto nella base militare israeliana di Beit Jala e rilasciato dopo un paio d’ore dopo su condizioni di tipo ricattatorio. In quella stessa base militare i due fratelli sono stati messi l’uno di fronte all’altro e ci sono state minacce di ritorsioni su l’uno e sull’altro. Mi preme far presente anche che la stessa notte due cugini, componenti della famiglia paterna, sono stati prelevati ciascuno dalla propria casa e da allora non si hanno loro notizie. Comprensibilmente l’arrivo di questa strana telefonata mantiene altissimo il già costante allarme e ci riporta a pensare a Khaled con preoccupazione estrema. Ovviamente l’avvocato di Khaled è al corrente di questa convocazione, anche il consolato è stato allertato, e al momento probabilmente proprio avvocato e consolato rappresentano per loro l’unica tutela. La situazione era e resta dunque gravissima.
A giorni vedremo quale sarà l’esito della lunga detenzione di Khaled e cosa accadrà nelle prossime ore, nei prossimi giorni. Detto questo ancora attendiamo reali prese di posizione rispetto alla condizione di Khaled, ribadisco – italiano e palestinese. Lo dico anche in riferimento ad una risposta del Ministro (degli Esteri) ad un giornalista, in merito al felice esito della situazione della connazionale Piperno.
Per concludere, ai giornalisti chiederei di approfondire l’imposizione di censura in Israele, denominata dal termine anglofono “gag order”, che si applica per la segretezza in ambito processuale ma di divieto di pubblicazione che si estende anche alla stampa.
Ringrazio tutti per l’attenzione.
Francesca Antinucci (moglie di Khaled El Qaisi)
Di seguito il link al video della Conferenza Stampa organizzata da Stefania Ascari, del M5S, con l’intento di mantenere alta l’attenzione su questa deplorevole vicenda e sollecitare il Governo a far sentire con fermezza la propria voce: https://webtv.camera.it/evento/23357