di Saverio Pipitone – Per mutamento climatico, dal 2000 al 2019, sulla Terra sono avvenuti circa 6.600 cataclismi, quasi il doppio rispetto al precedente ventennio: inondazioni, tempeste, caldo estremo, siccità e incendi. Hanno colpito maggiormente Asia, America Latina e Africa, con un totale di 3,9 miliardi di persone coinvolte: oltre 500.000 morti e una ventina di milioni all’anno di sfollati in spostamento, sia interno che transfrontaliero (fonte EM-DAT).
Entro il 2050 – stando alle stime della Banca Mondiale e delle Nazioni Unite – potrebbero esserci, nel peggiore degli scenari, dai 140 ai 250 milioni (o più) di migranti climatici. Nel 2100, secondo uno studio quantitativo della Columbia University, le richieste annue di asilo all’Unione Europea, per motivi ambientali, aumenteranno fino al 188%, ovvero una media di 1 milione.
Costoro paradossalmente sono quelli che contribuiscono meno alle emissioni di gas climalteranti. Come descritto nel recente dossier Problemi ambientali soluzioni sociali dell’associazione pisana Centro Nuovo Modello di Sviluppo, il Nord globale ha un grande “debito ecologico” verso il Sud del mondo: «Infatti se consideriamo le emissioni cumulative nel periodo compreso fra il 1850 e il 2011, scopriamo che il 27% è stato emesso dagli USA, il 24% dall’UE, il 13% dalla Cina, il 7% dalla Russia, il 4% dal Giappone, e il 3% dall’India. Mentre gli altri 162 paesi del mondo messi insieme sono responsabili per solo il 22% di emissioni […]. In altre parole, le fabbriche sono nei paesi del Sud ma i beni prodotti vengono consumati dai cittadini del Nord. […] ogni cittadino europeo consuma in media una tonnellata di CO₂ all’anno senza esserne considerato responsabile dalle statistiche ufficiali poiché tale quantitativo è “nascosto” dentro i beni di consumo che vengono importati […]. Va aggiunto che i danni ambientali addebitati al Sud, ma di fatto goduti dal Nord, non si limitano alle emissioni di CO₂. Un caso di scuola è rappresentato dalle foreste: ben il 40% della deforestazione avviene a favore di consumatori di altre nazioni, principalmente per scopi alimentari. Il che ridimensiona certi meriti che il Nord si attribuisce. Fra il 1990 e il 2014 in Europa le aree coperte a foresta sono aumentate di 12 milioni di ettari, ma nello stesso periodo le sue importazioni agricole hanno provocato una deforestazione in giro per il mondo pressoché della stessa estensione (11,3 milioni di ettari), principalmente in Brasile, Argentina, ed Indonesia. […] più che di “stile di vita occidentale” bisognerebbe parlare di “stile di vita imperiale”, addirittura “coloniale”».
Nel dossier viene spiegata la sperequazione delle emissioni tra gli stessi cittadini europei: «l’impronta media pro capite dell’1% più ricco equivale a 55 tonnellate di CO₂ all’anno, quella del 10% più ricco equivale a 23 tonnellate, quella del 40% inferiore corrisponde a 10 tonnellate e quella del 50% più povero vale 5 tonnellate. Ma ancora più preoccupante è che fra il 1990 e il 2015 nella UE le disuguaglianze in termini di CO₂ sono aumentate: l’impronta di carbonio pro capite media del 50% più povero è diminuita del 32% e quella della classe di mezzo del 22%. L’impronta del 10% più ricco, invece, è diminuita solo del 10%, mentre quella dell’1% più ricca è addirittura aumentata del 7%».
Il riscaldamento globale è inoltre uno dei fattori che causano le guerre: una meta-analisi pluridisciplinare di dati post 1950 – pubblicata nel magazine Science – dimostra che ai cambiamenti estremi di temperature o precipitazioni corrisponde un incremento della frequenza dei conflitti su larga scala del 14% e della violenza interpersonale del 4%.
Sono una trentina le guerre nel mondo, specialmente in Africa, con una sessantina di milioni di profughi (calcoli fatti a fine 2020). Molti tentano il viaggio della speranza, ma talvolta non ce la fanno. Dal 1993 al 2019 i morti accertati di migranti verso l’Europa sono 36.570, in prevalenza annegati e altri per disgrazie nei campi di detenzione o nei centri di accoglienza; in www.list-e.info tutti i loro nomi.
Eserciti, gruppi e fazioni combattono per il potere politico ed economico-sociale e per il controllo delle risorse naturali. Le armi arrivano principalmente da Stati Uniti, Europa occidentale, Russia e Cina con un’industria bellica che, così come quella fossile, è finanziata dalle grandi banche d’affari e generaliste – fra cui JP Morgan Chase, Bank America, Barclays, Morgan Stanley, Goldman Sachs, Bank China, Credit Suisse, Deutsche Bank, Bnp Paribas, Credit Agricole e Unicredit – che negli ultimi cinque anni hanno investito in dollari 3.800 miliardi nei combustibili fossili e almeno 1.000 miliardi nel bellico (fonti Banking Climate Chaos – Sipri – Banca Armada).
Termino consigliando due libri: Homo consumens di Zygmunt Bauman (Erickson) e La fine del sogno occidentale di Serge Latouche (Elèuthera) rispettivamente del 2007 e del 2002, ma da poco ripubblicati e attualissimi per comprendere il fenomeno della globalizzazione che ha sottomesso l’umanità al predominio del mercato e dei consumi.
«La causa del malessere – scrive Bauman – non è quel che fanno i poveri, ma lo stile di vita dei ricchi e il modo in cui influenza la rete dei rapporti sociali ed economici».
«La ricerca sfrenata del profitto – prosegue Latouche – , l’accanita concorrenza degli attori, il culto generalizzato della performance e dell’efficienza scalzano le basi stesse della volontà di vivere insieme e dell’elementare solidarietà di qualsiasi collettività […]. Si tratta per l’appunto di uscire dal paradigma dell’homo oeconomicus unidimensionale – principale fonte dell’uniformazione planetaria e del suicidio delle culture – per ritrovare la diversità e il pluralismo».
L’AUTORE
Saverio Pipitone – Giornalista pubblicista e redattore economico-finanziario. Autore di articoli di varie tematiche, dalla critica economico sociale alla storia, dall’ecologia al consumismo. Oltre a Pesticidi a tavola, ha scritto i libri Shock Shopping La malattia che ci consuma (Arianna Editrice) e Forno a Microonde? No Grazie (Macro Edizioni). Blog: saveriopipitone.blogspot.com