di Benjamin Wallace – Vi racconterò una storia. Il 5 dicembre 1985, una bottiglia di Lafitte del 1787 è stata venduta per 105.000 sterline. Nove volte il precedente record mondiale. Ad acquistarla è stato Kip Forbes, figlio di uno dei più noti e stravaganti miliardari del XX secolo. La bottiglia era appartenuta inizialmente a uno dei più appassionati cultori di vino del XVIII secolo. Il Château Lafitte è uno dei vini più pregiati al mondo, il principe di ogni cantina.
È stato Hardy Rodenstock a creare il mistero. Nel 1985, Rodenstock annunciò ai suoi amici cultori del vino di aver fatto un’incredibile scoperta. Alcuni operai a Parigi, dietro una parete di mattoni che avevano demolito, avevano trovato nascoste alcune bottiglie di vino, forse appartenute a Thomas Jefferson. Non ha voluto rivelare il numero esatto delle bottiglie, né dove si trovasse esattamente l’edificio, né tanto meno chi ne fosse il proprietario. Il mistero ha resistito per circa 20 anni.
Poi nel 2005, Bill Koch ha speso più di un milione di dollari per scoprire che le bottiglie di Jefferson erano dei falsi.
Ma perché vi ho raccontato questa storia? Per vent’anni, moltissimi autorevoli esponenti del settore enologico si sono occupati di queste bottiglie. Volevano credere che la bottiglia di vino più cara al mondo dovesse essere la migliore. Così ho cominciato ad interessarmi sempre più al perché le persone spendono cifre folli non solo in vino, ma in tante altre cose, e mi sono chiesto: vivono una vita migliore della mia?
Questa domanda mi ha spinto a fare una ricerca. Ho deciso di provare il prodotto più caro o più ricercato in una dozzina di categorie. E alla fine voglio farvi una domanda.
Questo è il primo. É Kobe, carne di manzo originaria del distretto montuoso di Hyogo in Giappone.
Molto del manzo Kobe che si può comprare negli USA non è vero Kobe. Sono pochissimi i locali negli USA dove potete mangiare il vero Kobe. Io ci sono stato e ho ordinato una costata di poco più di due etti per 160 dollari. Era minuscola. Mi sentii preso in giro. “Ma come… 160 dollari per questo? Poi l’ho assaggiata, ed era così saporita che avrei voluto fosse ancora più piccola. È un po’ come il foie-gras, non sembra una bistecca. Ho fatto fatica a finirla, ed ero contento quando ci sono riuscito.
Poi ho mangiato tartufi bianchi.
In rapporto al peso, sono uno degli articoli di lusso più costosi al mondo. Per provarli sono andato in uno dei ristoranti di Mario Batali a Manhattan: il “Del Posto”. Il cameriere è arrivato con una noce di tartufo bianco e il tagliatartufi: lo ha affettato sulla mia pasta. Il fascino del tartufo bianco sta nel suo aroma. Non tanto nel gusto o nella sua struttura al palato, ma nel profumo. Quando questi bianchi, perlacei fiocchi scesero sulla pasta, un inebriante, meraviglioso profumo di noci e funghi si sparse nella sala. Dieci secondi dopo, tutto finito.
Molto buono. Ma, mi dispiace dirlo, come per il Kobe, è stata un’altra delusione. In effetti, molti prodotti si sono dimostrati deludenti.
Questa è una stanza d’albergo del Four Season di New York. Suite di 400 metri quadrati, con vista panoramica a 360 gradi. 4 balconi. È stata disegnata dall’architetto I.M. Pei, e chi la occupa ha a disposizione una Rolls Royce con autista e una cantina da cui attingere liberamente. Quando ci sono stato, la cantina aveva anche qualche bottiglia di Opus One. La stanza costa 30.000 dollari a notte.
Per 3 mesi mi sono lavato ogni giorno con il sapone più costoso al mondo.
Questo sapone è fatto con nanoparticelle d’argento, dalle proprietà antibatteriche. Ha un ottimo profumo, ma devo dire che ad oggi nessuno mi ha fatto i complimenti per la mia faccia pulita.
Né qualcuno mi ha fatto i complimenti per i jeans che ho portato per 3 mesi. Me li ha regalati GQ, e da quando li indosso, in tutti questi mesi, nessuno li ha notati.
In generale, non penso che gli apprezzamenti possano dimostrare il valore di qualcosa, ma credo che per un articolo di moda o un capo d’abbigliamento potrebbero costituire un termine di paragone sensato. In ogni caso in questi pantaloni c’è molto lavoro. Sono di cotone organico dello Zimbabwe raccolto a mano, lavorato al telaio e successivamente immerso a mano in indaco naturale per 24 volte. Ma nessun complimento.
Poi ho assaggiato l’olio di Armando Manni, è un ex produttore cinematografico, e produce questo olio di oliva da un uliveto che cresce su un solo pendio della Toscana.
Per proteggere l’olio d’oliva da aria e luce usa piccole bottiglie con vetro oscurato e isola la superficie dell’olio con un gas inerte. Quando produce una partita di olio, effettua regolarmente analisi molecolari di cui pubblica i risultati online, così si può controllare la propria partita di olio, vedere come i fenoli si stanno sviluppando e determinarne il grado di purezza. L’ho testato alla cieca con 20 persone e altri 5 olii di oliva. Il gusto era ottimo, particolare. Colore molto verde, gusto molto piccante. Ma nel test di degustazione alla cieca è risultato ultimo. L’olio di oliva primo classificato è risultato il “Whole Food 365” lasciato ad ossidare vicino al forno di casa mia per sei mesi.
Io non gioco a golf, quindi non potrei in realtà testare questi ferri, ma ho intervistato uno che li possiede. Costano 57.000 dollari. Incredibile.
Chi vende questi ferri dirà che hanno un’asta a quattro assi per ridurre al minimo la perdita di velocità del ferro spingendo il pallino più lontano, ma i soli ferri non garantiscono una prestazione da 57.000 dollari. È il luccicchio che si paga, perché sono tempestati di oro e platino. Il proprietario che ho intervistato mi ha detto che è molto contento di questi ferri…
Passiamo al caffè. Questo è un caffè prodotto in un modo davvero insolito.
Il luwak è uno zibetto dell’Asia, una specie di gatto che vive sugli alberi, di notte scende e si aggira per le piantagioni di caffè. Mangia soltanto le bacche di caffè più mature. Un enzima del suo stomaco penetra nei semi e quando le espelle con le feci hanno un sapore fantastico.
Ora passiamo alla toilette.
Questa è una Neorest. Non riuscivo a trovare un proprietario, e per provarla sono andato nel negozio di Manhattan del produttore, Toto. Ne hanno una utilizzabile, fuori dallo showroom, e ne ho approfittato. È tutta automatizzata: mentre entri, il sedile si apre. Ed è preriscaldata. Ha un getto d’acqua che ti lava. Un getto d’aria che ti asciuga. Ti alzi, e lo sciacquone si attiva da solo. Il coperchio si chiude e la toilette si pulisce da sola. Non si tratta solo di progresso tecnologico, ma di un vero, importante balzo culturale in avanti. Voglio dire… una toilette che si usa senza mani e senza carta.
Questa è la Bugatti, è la macchina omologata più veloce del mondo, e la più cara.
Sono riuscito a provarla con un accompagnatore, un pilota professionista. Siamo andati in giro per la periferia di Los Angeles e in autostrada, sulla costa del Pacifico. Quando ci siamo fermati ad un semaforo, la gente nelle auto accanto faceva segni di ammirazione, ed era meraviglioso. È stata così piacevole da guidare. La maggior parte delle automobili che guido, quando raggiungono i 130 km all’ora, cominciano a vibrare. Ma quando ho cambiato corsia in autostrada, il mio accompagnatore mi ha detto: “Abbiamo appena superato i 175 km all’ora.” Non pensavo di poter essere una di quelle persone insopportabili che ogni tanto vedi fare zig zag nel traffico. Questo per dire quanto era piacevole da guidare. Se fossi miliardario, ne comprerei una.
Poi ho provato il Cheval Blanc del 1947. Lo Cheval Blanc del 1947 è certamente il vino più celebrato del XX secolo. Fra i bordolesi è un vino che si distingue per una percentuale significativa di uva Cabernet Franc. Il 1947 è stata un’annata leggendaria, specialmente in una certa regione del bordolese. Quella annata e quel Chateau insieme si sono guadagnati quella notorietà che ha contribuito a farne un vino di culto. Oggi ha 60 anni, e non ne rimane molto. Quel che è rimasto non si sa se sia autentico, perché è considerato il vino più imitato del mondo. Visto che non sono molti quelli disposti a stappare la loro unica bottiglia per un giornalista.
Ho pensato fosse meglio rinunciare a dargli la caccia, ma poi ho ricevuto una email da un certo Bipin Desai. Bipin Desai è un fisico teorico della Università Riverside in California ma anche un famoso organizzatore di degustazioni di vini rari. Mi ha scritto: “A breve terremo una degustazione in cui proporremo lo Cheval Blanc del ’47” E perdipiù si sarebbero degustate 30 altre annate di Cheval Blanc e 30 di Yquem. Un invito a cui non si può dire di no, e infatti ci sono andato.
Quattro pasti in tre giorni, e il sabato a pranzo abbiamo stappato il ’47. Un vino delicatamente profumato, con un aroma che ricorda l’olio di lino. In bocca si avverte quel bouquet ricco e oleoso che è la cifra distintiva di questo vino,simile al porto. Qualcuno seduto al mio tavolo lo riteneva eccezionale. Altri erano un po’ meno impressionati, e io ero fra questi. Non sono un intenditore, quindi il fatto che non fossi impressionato non significa necessariamente qualcosa.
Ma perché vi ho raccontato tutto questo?
Voglio dirvelo citando uno studio molto interessante pubblicato dai ricercatori di Stanford e Caltech. Non è una cosa nuova, forse molti lo conoscono o lo hanno sentito nominare. Ma è la riflessione che voglio fare con tutti voi che mi interessa.
Lo studio è semplice. Hanno proposto ad alcune persone lo stesso vino, ma con differenti etichette del prezzo. Molti hanno dichiarato di preferire i “più cari”. Si trattava dello stesso vino, ma loro credevano che fosse un altro, più costoso. La cosa stupefacente è che i ricercatori hanno effettuato una risonanza magnetica del loro cervello, mentre degustavano il vino, ed è emerso che non solo preferivano il vino che credevano più caro, ma il loro cervello elaborava un piacere più intenso quando lo stesso vino aveva un’etichetta con un prezzo maggiore.
La domanda quindi che vi pongo e che mi pongo è: quanto costa la felicità?
Traduzione di Roberto Biella-Battista
Revisione di Daniele Berti