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Alessandro Di Battista dal Guatemala racconta la storia della comunita’ indigena La Primavera.
“Sono 400 le famiglie indigene poqomchies che vivono nella Primavera. La terra e’ ricca, in Alta Verapaz piove spesso, non fa troppo caldo e il caffè e i fagioli crescono senza problemi. E’ terra ambita, da decenni ettari di bosco richiamano l’interesse di imprese di legname. I contadini non hanno titoli di proprietà, molti neppure sanno cosa sono. Per loro la terra e’ come l’aria o l’acqua, e’ di Dio ed e’ Dio che decide di prestarla a chi ci e’ nato e a chi sa lavorarla senza esaurirne la ricchezza. Da alcuni mesi i titolari di un’impresa privata, la Madera Filitz Diaz Sociedad Anonima, accompagnati da uomini della sicurezza armati fino ai denti, ne rivendicano la proprietà. Hanno minacciato di morte i contadini, gli hanno detto di andarsene alla svelta, hanno distrutto parte delle loro piantagioni di caffè. Ma nonostante le intimidazioni i contadini sono ancora lì perché il legame che le popolazioni indigene guatemalteche hanno con la terra e’ più forte della paura.
Secondo la cosmo-visione maya l’uomo discende dal mais, nasce dalla terra ed e’ su quella stessa terra che deve morire per poterla rigenerare. Il 26 gennaio scorso Sebastian Xona e Petrona Moran Suc sono stati ammazzati. Erano i due vecchietti della comunità, lui un cieco di 82 anni, lei una signora con i palmi duri a forza di cucinare tortillas sul fuoco. Gli hanno legato mani e piedi, li hanno imbavagliati, li hanno torturati, a lei hanno spaccato la testa con la pietra con cui si macina il mais, lui l’hanno sgozzato e gli hanno infilato una pannocchia nel collo. La loro casa era poverissima, c’era un’amaca, qualche attrezzo, un barattolo di caffè solubile e della legna per il fuoco. Erano la memoria storica della comunità, i più anziani della Primavera. La comunità indigena e’ convinta che siano stati gli uomini dell’impresa o comunque gente riconducibile ad essa, ma non si hanno prove. I sicari sono entrati di notte, nessuno ha visto né sentito. In Guatemala, povertà dilagante, latifondo, abbandono del campo e diffusione di armi hanno creato il terreno fertile per la nascita della piaga degli ultimi anni: il sicariato.
Sale il costo del riso, dello zucchero, della farina, l’unica cosa che scende e’ il prezzo della morte. Due anni fa per far uccidere qualcuno occorrevano 100 quetzales (10 euro), oggi ne bastano 50. Si uccide per entrare in una banda, per colpire un gruppo di cittadini che non vuole una miniera d’oro a cielo aperto davanti casa, per risolvere conflitti sentimentali. Si ammazza per cacciare un contadino da una terra che non gli appartiene legalmente ma che lavora da decenni, 213 anni nel caso della Primavera. Ma cosa conta di più, il diritto alla proprietà o quello alla vita? L’impunita totale (il 98% dei casi di omicidio resta irrisolto nel Paese) toglie gli ultimi scrupoli a chi vuole guadagnare denaro facile, denaro sicuro, più sicuro di quello ottenuto zappando la terra. E’ più pericoloso fare il contadino che essere un sicario in Guatemala.
Il caso della Primavera non e’ isolato, decine di imprese o gruppi di potere utilizzano gli assassini a basso costo per mutilare la lotta in difesa del territorio. Sfrattare comunità indigene dalle loro terre e ammazzare quel contadino che non abbassa la testa e’ una prassi da 500 anni in Centro-America. Cambiano soltanto modalità e attori. I primi a farlo furono i Conquistadores, poi i militari, ora le imprese, multinazionali e non, che utilizzano gli uomini della sicurezza privata, macabra forma di legalizzazione del sicariato, per intimidire, uccidere, torturare e indebolire la lotta popolare. L’unica differenza oggi e’ la Rete. Oggi quei contadini mai intervistati prima d’ora possono parlare ed essere ascoltati in Italia, in Guatemala, nel mondo intero. Circondati da ingiustizie questa e’ pur sempre una grande speranza.”
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