di Fabio Pompei – Sul web non ci sono benefattori e nulla è gratis. Dietro una sembianza filantropica, social network, app, siti di e-commerce e motori di ricerca ci aiutano a vivere l’ambiente digitale fornendoci servizi e prestandoci tutto il supporto necessario per vivere al meglio la nostra quotidianità, ormai aggrovigliata sempre più nella tecnologia.
Ma tutto ciò ha un prezzo, il più delle volte nascosto.
Il costo è dare libero accesso alle nostre abitudini, preferenze e gusti personali, sottoforma di “dati”. Queste informazioni vengono poi utilizzate dai giganti del web per disegnare i nostri profili, in modo da indirizzarci proposte commerciali che, giocoforza, incontreranno il nostro desiderio.
Non siamo circondati, siamo immersi.
La compartecipazione di macchine e sensori alla vita degli individui è resa possibile grazie all’estrazione, analisi ed elaborazioni di continue informazioni private riguardanti gli utilizzatori dei servizi innovativi.
Questo ha condotto ben presto all’inaugurazione di un nuovo modello economico, basato sul riconoscimento del valore contenuto nelle informazioni personali di ciascuno, fattore alla base dell’economia digitale e che rende questi elementi la proiezione digitale della nostra stessa vita. Il prezzo da corrispondere per utilizzare i servizi digitali siamo, in definitiva, noi stessi.
Quando accediamo ad un social network, chiediamo qualcosa ad un motore di ricerca o acquistiamo un prodotto sul web, sottoscriviamo un contratto che ci impegna a cedere notizie riservate sulla nostra persona.I nconsapevolmente, quando navighiamo nel web, la rete cattura ogni nostro movimento e, senza accorgercene, fa incetta di informazioni che, nel mondo reale, nessun commerciante oserebbe chiederci.
Tutto ciò rappresenta la fine della nostra privacy? Si. No. Forse.
A ben vedere non sembra essere più, ormai, solo un problema di riservatezza delle informazioni personali, ambito demandato alla cura dell’apposito Garante che, sulla materia, sta facendo tantissimo, anche in ottica di sensibilizzazione nei confronti della cittadinanza ad un corretto uso e ai pericoli dei nuovi strumenti di comunicazione.
Un primo punto di attenzione si pone, inevitabilmente, in relazione all’esigenza di applicare norme – studiate per una realtà “terrena” – ad un ambiente etereo e sovranazionale. Tale “virtualizzazione delle regole”, esperienza spinta dalla rapida evoluzione tecnologica e dalla globalizzazione, ha velocemente trasformato e reso labili e precari i confini tra tutela delle informazioni e mondo delle comunicazioni elettroniche, per via di nuovi attori che calcano il palcoscenico digitale “nutrendosi”, contemporaneamente, di sistemi di comunicazioni e di dati degli utenti.
Il diritto nato originariamente per regolare i tradizionali mezzi di trasmissione (tipicamente giornali e televisione, ma anche le opere dell’ingegno) deve fare i conti oggi con un nuovo spazio per nulla paragonabile agli ambiti disciplinati in passato. Specie negli ultimi anni, con la crescita esponenziale dei c.d. “Over the top” (OTT), lo scenario si è ulteriormente complicato.
Nonostante l’entrata in vigore del GDPR (il nuovo Regolamento sulla protezione dei dati personali, ndr), a distanza di poco più di tre anni dalla sua comparsa, tale impianto normativo mostra le prime insofferenze dinanzi alle sfide tecnologiche degli ultimi anni: intelligenza artificiale, algoritmi, bioprivacy, sistemi di riconoscimento facciale, fake news e tecnologie altamente pervasive come quelle e i deepfake e deepnude.
Tale nuovo scenario, in rapidissima evoluzione, già sembra far apparire desuete le regole a tutela della protezione dei dati sul web di cui oggi il mainstream parla.
Per questo diventa centrale, in un dibattito tutto aperto, proteggere responsabilmente quel patrimonio di informazioni che tutti hanno, nessuno escluso, sin dalla nascita, in un momento storico dove la concessione delle nostre informazioni personali è diventato (per certi aspetti) obbligatorio per accedere e usufruire dei servizi online, pena essere discriminati e non poter esercitare quel diritto di cittadinanza che, ormai, viaggia sempre più sulla Rete.
C’è bisogno di regole, sicuramente. Ma anche di molto buon senso.
L’AUTORE
Fabio Pompei è ingegnere informatico, dottore di ricerca in ingegneria elettronica e giornalista. Docente in corsi di laurea di ingegneria presso alcune università pubbliche e private, è autore di pubblicazioni scientifiche nel settore delle telecomunicazioni. Ha ricoperto negli ultimi anni incarichi pubblici occupandosi, in particolare, di politiche economiche, finanziarie, innovazione tecnologica e semplificazione amministrativa. Ha pubblicato Conversione Digitale (Alpes, 2016), Il valore dei dati nell’ecosistema digitale (EditorialeNovanta, 2019) e Fakedemocracy. Il far west dell’informazione, tra deepfake e fake news (EditorialeNovanta, 2020), e Diritto della privacy e protezione dei dati personali. Il GDPR alla prova della data driven economy (TabEdizioni, 2021).