di Torquato Cardilli – L’espressione “usare due pesi e due misure”, vecchia come il mondo, è citata persino nella Bibbia (nel Deuteronomio, uno dei libri del Pentateuco), radice della tradizione giudaico-cristiana.
La metafora, utilizzata per mettere in guardia l’uomo semplice dalle frodi e dagli inganni del commerciante truffaldino, è stata col tempo traslata ad altre realtà come il comportamento dei genitori che trattano i figli in modo diseguale, o dei giudici che infliggono pene diverse per reati identici o dei politici che promettono e ingannano il popolo.
Come ha insegnato Manzoni nella storia della colonna infame, la politica è terreno fertile di menzogne, di abuso di potere, di violazioni delle leggi e se allarghiamo l’orizzonte alla vastità della politica estera constatiamo che spesso gli Stati fanno della metafora una perversa abitudine, una specie di direttiva operativa, un binario guida su cui far proseguire i rapporti internazionali nei confronti di alleati, amici e nemici.
Dopo la carneficina della seconda guerra mondiale (circa 30 milioni di vittime tra civili e militari di tutte le nazioni coinvolte) i vincitori, orripilati da quello che avevano visto, da quello che avevano fatto e da quello che avevano subìto, decisero di creare un’Organizzazione politica, più efficace della defunta Società delle Nazioni, aperta a tutti gli Stati che accettassero di uniformarsi ai principi del diritto internazionale, codificati nello statuto.
L’ONU vide la luce nell’ottobre 1945, due mesi dopo l’orrore della strage atomica di Hiroshima e Nagasaki. La sua Carta fondamentale, è un vero monumento alla sacralità del rispetto reciproco tra gli Stati, all’integrità territoriale, alla sovranità di ogni paese, alla non ingerenza negli affari interni altrui, al divieto dell’uso della forza per dirimere divergenze e contrasti. Quest’ultimo punto, assurto a fulcro giuridico dei corretti rapporti tra Stati, è stato interamente recepito dalla Costituzione italiana, che ci impone il ripudio della guerra come strumento per risolvere una controversia internazionale.
Lo scopo principale dell’ONU era dunque quello di garantire la pace universale. Obiettivo completamente fallito per responsabilità individuale e collettiva dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (USA, Regno Unito, URSS, Francia, Cina) che hanno tollerato o promosso conflitti ovunque nel mondo in funzione dei propri obiettivi geopolitici, e che per ribadire la loro supremazia, si sono riservati un diritto negato a tutti gli altri.
Si tratta di quello che viene comunemente chiamato “diritto di veto”, per impedire l’approvazione di una risoluzione ritenuta contraria ai propri interessi. Infatti ogni risoluzione del Consiglio di Sicurezza deve passare con il voto favorevole espresso di tutti i cinque grandi; se non c’è il voto positivo di uno dei cinque la risoluzione muore.
A 77 anni di distanza da quegli impegni e da quello spirito di pace universale bisogna realisticamente riconoscere che la Carta è stata violata moltissime volte dagli Stati potenti e da quelli deboli, e che ogni violazione è stata figlia del desiderio di potere e di predominio da conservare o da conquistare.
Siamo al terzo mese di guerra in Ucraina che ha diviso il mondo in due metà, pro o contro; da una parte le democrazie occidentali, dall’altra i paesi più popolosi del mondo alcuni dei quali retti da sistemi autocratici. Tutti urlano, si insultano, parlano in favore della pace, ma nessuno fa un vero passo avanti; ciascuno vuole nascondere la propria debolezza dietro atteggiamenti e dichiarazioni bellicose e i media, applicando la metafora dei due pesi e delle due misure, fanno a gara per sdraiarsi sulle motivazioni del potente a loro più vicino che, nei fatti, sostiene il prolungamento della guerra.
Il conflitto in Ucraina, dopo essere passato al vaglio dell’Assemblea Generale dell’ONU che si è espressa in modo estremamente maggioritario per la condanna dell’invasione della Russia (140 si, 38 astenuti, 5 no, 10 assenti) è finito sul tavolo del Consiglio di Sicurezza. Qui, dopo un florilegio di accuse e controaccuse, scambiate con passione tra i delegati russo e americano, il mancato voto favorevole della Russia all’adozione di una risoluzione di condanna, ha bloccato ogni passo successivo.
E’ chiaro a tutti che la Russia ha infranto il diritto internazionale violando con le armi i confini dell’Ucraina per seminarvi morti e distruzioni, ma di violazioni e veti è pavimentata la storia dell’ONU.
La Russia (erede dell’URSS dal 1991) si è avvalsa del ”diritto di veto” in pochissime occasioni, mentre gli Stati Uniti vi hanno fatto ricorso decine di volte, nella maggioranza dei casi per bloccare risoluzioni di condanna per i propri misfatti e per le reiterate violazioni del diritto internazionale, della carta delle Nazioni Unite, delle raccomandazioni dell’Assemblea Generale, da parte dell’alleato Israele.
Dopo la guerra dei sei giorni del 1967 tra Stati arabi sconfitti (Egitto, Siria, Giordania, Libano) e Israele, il Consiglio di Sicurezza varò la risoluzione 242 del 22 novembre 1967 approvata all’unanimità, che prevedeva la cessazione dello stato di guerra e il ritiro delle forze israeliane dai territori occupati (Cisgiordania, alture del Golan siriano, territori di confine libanesi e penisola del Sinai egiziano).
Tale Risoluzione, nonostante i ricorrenti richiami dell’Assemblea Generale (gli Stati Uniti hanno sistematicamente fatto naufragare ogni Risoluzione del CdS di ulteriore condanna dell’occupazione), è rimasta inapplicata in questi 55 anni (salvo la restituzione del deserto del Sinai avvenuta a seguito di un’altra guerra nel 1973).
Analogamente l’occupazione di Gerusalemme, annessa da Israele e proclamata sua capitale eterna, può essere paragonata all’occupazione russa e successiva annessione della Crimea: Israele accampando un legame storico che si perde nel tempo a ben prima della distruzione di Tito del I secolo d.C. ha rifiutato di adempiere alle prescrizioni obbligatorie dell’ONU, che vietavano la trasformazione dello status giuridico della città santa.
Gli Stati Uniti sono andati ben oltre il sentimento e l’atteggiamento di amicizia verso Israele: violando anche essi la risoluzione dell’Onu hanno trasferito con Trump la propria ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme riconoscendone la qualità di capitale dello Stato contrariamente al diritto internazionale.
La Russia dal canto suo, proprietaria della base navale di Sebastopoli, rifondata nel XVIII secolo dal principe Potemkin, nel riaffermare che per secoli la Crimea, abitata in larga maggioranza da russofoni, era parte della nazione russa, ha voluto cancellare la cessione del segretario del PCUS Kruscev (ucraino) che nel 1954 ne fece assegnazione amministrativa alla repubblica sovietica dell’Ucraina.
Nel 2014 la Crimea ha proclamato la sua secessione e indipendenza dall’Ucraina prontamente riconosciuta dalla Russia che di lì a poco, per contrastare la reazione del governo di Kiev, divenuto anti russo con un colpo di stato, favorì l’organizzazione in Crimea di un referendum popolare di annessione.
L’Ucraina e la comunità internazionale attraverso l’Assemblea Generale dell’Onu espressero la condanna dell’annessione con una raccomandazione che raccolse 100 voti favorevoli, 11 contro e 58 astensioni. Il successivo passaggio in Consiglio di Sicurezza fu bloccato dall’opposizione della Russia e dall’astensione della Cina.
In mancanza di un’azione coercitiva da parte del CdS, gli USA si fecero propugnatori dell’imposizione di severe sanzioni economiche contro la Russia che fu anche espulsa (sempre su richiesta degli Stati Uniti) dal G8.
Per giudicare se veniva seguito il sistema dei due pesi e due misure basta ricordare l’atteggiamento degli Stati Uniti e della Nato in occasione della secessione indipendentista del Kossovo a danno della Serbia la cui capitale Belgrado fu pesantemente bombardata dall’alleanza occidentale fino alla capitolazione.
Allora nessuno in Occidente, a livello governativo o di informazione, si oppose alla durezza della devastazione né sollevò critiche per l’assenza di un minimo di “pietas” per le vittime e le distruzioni. E in quel caso la Serbia, ingoiò il rospo senza reagire.
Del resto questo atteggiamento abitudinario del “double standard” da parte dei media occidentali era stato manifestato dopo i bombardamenti selvaggi su Baghdad, su Aleppo, su Tripoli, sull’intero Yemen, sull’Afghanistan che complessivamente fecero più di due milioni e mezzo di vittime.
Per non parlare del dramma dei milioni di rifugiati.
Quelli ucraini sono stati visti con occhi compassionevoli a differenza di quelli dalla Siria, dalla Libia, dall’Afghanistan, dall’Iraq, dal Kurdistan. I primi hanno suscitato emotivamente una gara di solidarietà di accoglienza (in Italia ne sono già arrivati 130mila), gli altri hanno visto sbarrate le porte dell’Europa in maniera dura con barriere di filo spinato e brutalità delle varie polizie di frontiera che li bastonavano e respingevano senza cibo, senza acqua, senza ripari in mezzo alla neve.
A questi profughi di seconda categoria veniva concessa la scelta di morire sull’uscio dell’Europa o di languire duramente in Turchia in miserevoli accampamenti, organizzati dal dittatore di Istanbul e pagati dai governi europei, gelosi del proprio welfare, perché fosse impedito loro sine die l’attraversamento del Bosforo.
La coscienza sporca dell’Occidente si è limitata a qualche ipocrita lacrimuccia per gli emigranti affogati nel Mediterraneo e nell’Egeo e per il corpicino del bambino siriano Aylan, spinto sulla spiaggia dal mare come un relitto e amorevolmente raccolto da un soldato turco, la cui immagine ha fatto il giro del mondo alla velocità della luce ed altrettanto velocemente è stata dimenticata.
Infine la questione dei diritti umani trattata anch’essa con la bilancia truccata dei due pesi e due misure. Per le atrocità commesse in Ucraina la Russia è stata espulsa dal Consiglio dei diritti umani con voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (93 voti favorevoli e 92 espressi in modo diverso; il quorum era di 78 e le cinquanta astensioni per regolamento non sono entrate nel conteggio). Nulla è stato mai intentato a livello internazionale per condannare le violazioni dei diritti umani della Turchia contro i curdi, dell’esercito e dei “contractor” americani per gli abusi sessuali consumati alla presenza dei figli delle vittime, con fucilazioni a freddo di intere famiglie, bambini compresi, durante l’invasione dell’Iraq, di torture documentate spavaldamente sui social dagli stessi soldati comportatisi da veri aguzzini nelle carceri irachene di Abu Ghraib o nel campo di prigionia di Guantanamo.
Andando indietro nel tempo chi ricorda se vi siano stati seguiti a livello internazionale sui massacri di Deir Yassin, o di Sabra e Shatila in cui migliaia di civili inermi furono trucidati in puro stile nazista? O se siano stati condannati i crimini commessi anche in territori estranei al teatro di guerra: uccisione e vilipendio di cadavere del giornalista Kamal Khashoggi a Istanbul, rapimenti di persone all’estero orditi dalla CIA, tra cui quello dell’imam Abu Omar a Milano, fatto uscire clandestinamente dall’Italia per essere consegnato alle torture degli aguzzini egiziani, noti per la loro ferocia, di cui è stato vittima anche il nostro Giulio Regeni?
Del resto ancor oggi a più di un secolo di distanza, se ci si permette di ricordare lo sterminio degli armeni, Erdogan (che bisogna tenere buono perché membro della Nato) minaccia impunemente fuoco e fiamme e l’Occidente tace.
Infine per quanto ci riguarda più direttamente, sempre nel quadro dei due pesi e due misure, non si capisce perché i nostri governi accettino il sopruso, senza una forte reazione politica, di vedere il cittadino Chico Forti condannato nel 2000 a vita per omicidio, da una Corte americana prevenuta come fu nel caso degli innocenti Sacco e Vanzetti.
I nostri Presidenti della Repubblica, Presidenti del Consiglio, Ministri degli Esteri in centinaia di contatti personali in 20 anni con gli omologhi americani, sono stati incapaci di pretendere tra alleati corretti il provvedimento di grazia presidenziale, accontentandosi di frasi di circostanza e della solita pacca sulla spalla. Al contrario il nostro Presidente della Repubblica è scattato sull’attenti più d’una volta di fronte alla richiesta di concedere la grazia a vari cittadini americani condannati da tribunali italiani con sentenza passata in giudicato.
Ma c’è di più: soffriamo ancora, dopo 77 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, di una condizione di vassallaggio. Concediamo “in saecula saeculorum” l’immunità dalla giustizia penale italiana ai militari americani operanti nelle basi in Italia (Aviano, Ghedi, Napoli, Livorno, Sigonella, Pordenone, Gaeta, San Vito, Vicenza ecc.). Così, ad esempio, per la tragedia della funivia del Cermis i militari responsabili sono stati lasciati liberi di rientrare nel loro paese, mentre le vittime italiane di quella strage ancora attendono giustizia.
L’AUTORE
Torquato Cardilli – Laureato in Lingue e civiltà orientali e in Scienze politiche per l’Oriente. E’ stato Ambasciatore d’Italia in Albania, Tanzania, Arabia Saudita ed Angola. Ha redatto oltre 200 articoli di carattere politico ed economico pubblicati in Italia e all’estero da varie testate ed agenzie di stampa.