Testo:
“Buongiorno a tutti.
Innanzitutto un bel consiglio per gli acquisti: è uscita la raccolta con le seconde nove puntate di “Passaparola”.
Si intitola: “Senza Stato, né legge”. Lo dico perché ci autofinanziamo in questo modo ed è giusto far sapere che chi vuole, chi è interessato a conservare la serie dei nostri interventi, magari anche perché trova qualche difficoltà di collegamento o di linea, lo può fare. Ci manteniamo così, e se qualcuno ci da una mano possiamo continuare in futuro a mantenere vivo questo spazio.
Questa settimana parlerei di un signore, anzi due ma uno è legato all’altro, non esiste l’uno senza l’altro, che stanno terremotando quel poco che rimane ancora di opposizione o presunta tale in Parlamento.
Di questa coppia: D’Alema e Latorre. Sono un po’ come Gianni e Pinotto. Viaggiano sempre in coppia.
Una volta uno era il capo l’altro il portaborse, poi a un certo punto il portaborse fu promosso e divenne addirittura senatore e vicecapogruppo dei DS al Senato e in questa legislatura vicecapogruppo del PD al Senato.
La massima autorità dopo Anna Finocchiaro dell’opposizione, immaginate come siamo messi.
Questo Latorre, tre anni fa, l’estate del 2005, fu beccato con i pantaloni in mano, praticamente, mentre allenava a bordo campo due dei tre scalatori delle scalate dei furbetti del quartierino: quello che stava aggredendo il Corriere della Sera, Ricucci, e quello che stava aggredendo la BNL, Consorte.
Mentre D’Alema fu preso soltanto mentre collaborava alla scalata di Consorte, cioè di Unipol, alla Banca Nazionale del Lavoro.
Oggi i due stanno tornando a far danni, non in ambito finanziario stavolta dove hanno già fallito tant’è che la BNL non è passata all’Unipol: i loro sforzi si sono rivelati vani oltre a essere dei poco di buono sono anche dei noti cialtroni quindi non riescono a portare a termine le loro furberie.
Oggi stanno creando danni perché Latorre è quello che ha screditato, ammesso che ce ne fosse bisogno, il PD andando a scrivere i testi su un pizzino a un suo omologo dall’altra parte, al vicecapogruppo del PDL Bocchino, nella famosa immagine carpita a Omnibus su La7.
Quando Bocchino è in difficoltà, Latorre lo soccorre.
Questo naturalmente ha prodotto un certo terremoto nel PD visto che certe cose si sono sempre fatte di nascosto, certi soccorsi rossi o rosè si sono sempre prestati al centrodestra ma senza farsi notare.
Stavolta era proprio sotto gli occhi delle telecamere, ci voleva un’intelligenza come quella di Latorre per arrivare a tanto e meno male che è successo così anche gli scettici possono vedere.
Non quanto siano uguali, non c’è niente di uguale tra PD e PDL, ma quanto sono complementari, come dicono Veltri e Beha, l’attuale maggioranza e l’attuale sedicente opposizione targata PD.
Devo dire che se si ci fosse in Italia l’attenzione che si deve prestare all’immediato, non dico al passato, già bastavano e avanzavano le telefonate di Latorre e D’Alema con Consorte – e per Latorre pure con Ricucci – per tagliare corto e dire “questi hanno fatto abbastanza danni, li rimandiamo a casa”.
Invece no, c’è voluto un pizzino per capire chi è Latorre e naturalmente vedrete che questo pizzino verrà prontamente dimenticato e perdonato nel giro di pochi giorni perché da noi non paga mai nessuno per le malefatte.
Pensate soltanto a quante centinaia di migliaia di voti hanno fatto perdere questi signori con le scalate bancarie nella campagna elettorale che Prodi cominciò nell’autunno del 2005 in largo vantaggio e assottigliò fino al punto di pareggiare con Berlusconi nel 2006.
Era la campagna elettorale nella quale, giustamente, i giornali di Berlusconi usavano le intercettazioni di Fassino: “abbiamo una banca!”.
Sputtanamento che poi proseguì quando poi uscirono quelle di D’Alema e Latorre in cui D’Alema, come vedremo, diceva a Consorte “facci sognare!”.
Questi danni non sono mai stati pagati perché nessuno ha mai fatto i conti con quella stagione.
D’Alema, che non è stupido, capì, quando uscirono queste telefonate e l’anno scorso quando la Forleo le trasmise al Parlamento, che la base era completamente sconcertata.
Che bisognava tirarsi da parte per un po’, inabissarsi come si dice in Sicilia: “calati, giunco, che passa la piena”, in modo che la gente dimenticasse.
Oggi abbiamo dimenticato, ecco perché ne parliamo.
Bisogna rifare memoria di quelle telefonate perché nessuno ci ha fatto i conti e nessuno ha mai pagato il pedaggio.
Intanto di cosa parliamo? Del fatto che nell’estate del 2005, protetti dal governatore Fazio e dal Premier Berlusconi, ma anche dai vertici dei DS e della Lega Nord, una masnada di avventurieri, speculatori, immobiliaristi, palazzinari decide di mettere le mani su un pezzo dell’editoria, la più grande casa editrice indipendente dalla politica cioè la Rizzoli – Corriere della Sera, e su due banche strategiche come la Banca Nazionale del Lavoro e la Banca Antonveneta.
Gli scalatori agiscono, in apparenza, su tre fronti ma in realtà sono incrociati fra di loro perché le tre scalate sono una sola che si propone di ridisegnare a immagine e somiglianza di Fazio, Berlusconi, D’Alema e Bossi un pezzo del capitalismo e un pezzo dell’editoria italiana.
Le mani dei partiti, che ormai sono vassalli di questi finanzieri, su un pezzo di sistema bancario e un pezzo di sistema dell’informazione.
L’operazione non riesce perché fortunatamente c’è la procura di Milano che chiede le intercettazioni e fortunatamente c’è un GIP come Clementina Forleo che le concede, per cui vengono tutti preso con le mani nel sacco e il sorcio in bocca, con la coda che usciva ancora dalla bocca, mentre stanno tutti violando le regole penali e di borsa.
Che impongono, come voi sapete, a chiunque voglia prendersi un’azienda rastrellando le azioni di dichiararsi e uscire allo scoperto quando ha raggiunto il 30% del controllo azionario di quell’azienda.
Vuoi comprarti una banca? Quando arrivi al 30% devi dichiararti e lanciare l’OPA, cioè il resto delle azioni lo devi comprare sul mercato pagando le azioni ovviamente di più.
Se dichiari di voler comprare una società il valore delle azioni sale, i risparmiatori che hanno le loro azioni le vedono sopravvalutare, te le vengono a vendere, tu le compri e ti assicuri la società con benefici per tutto il mercato.
Così funziona una borsa democratica in un sistema di libera concorrenza. Così dice la legge Draghi, invece questi furbastri non volevano lanciare l’OPA e quindi accumulavano pacchetti azionari all’insaputa del mercato.
Addirittura, visto che non volevano nemmeno tirar fuori i soldi, per esempio Consorte, assicurandosi che le azioni della BNL le prendessero cooperative, società di prestanomi, finanziarie amiche sue senza vendergliele se no lui avrebbe dovuto comprargliele e non aveva i soldi.
Ricorderete che l’UNIPOL era grossa un quarto rispetto alla BNL che voleva comprare.
Era una pulce che voleva mangiarsi un elefante.
Quindi, per controllare l’elefante, la pulce si mise d’accordo con altre pulci perché ciascuna tenesse il suo pacchetto lì e occultamente restasse alleata con lui.
Perché? Perché c’era un altro pretendente a rilevare la BNL, il Banco de Bilbao dei Paesi Baschi, che come prevede la legge italiana aveva lanciato l’OPA e stavano aspettando di vedere chi entrava nella rete.
Loro compravano pagando, lui, Consorte, faceva il mosaico delle pulci per arrivare al 51% senza doversi dichiarare e strapagare queste azioni, in barba alla legge Draghi.
Questa è l’accusa che viene mossa a lui come a Fiorani per la scalata della Popolare di Lodi all’Antonveneta, come viene mossa a Ricucci per la scalata al Corriere della Sera anche se Ricucci, per lo meno, pur avendo secondo l’accusa tradito e truffato il mercato borsistico, i soldi ce li metteva.
Era molto liquido, Ricucci, con le compravendite mirabolanti di immobili.
Arriviamo nell’estate del 2005 quando si creano delle difficoltà.
Chi interviene a mantenere Consorte da una parte e gli altri? I politici.
I politici non sono i padroni dei finanzieri, intendiamoci, sono i finanzieri che sono padroni dei politici! I politici ormai sono delle specie di agnellini, di cani da compagnia, da riporto.
Che però possono servire per fare questo o quel favore, ma comanda il finanziere.
Abbiamo questo Consorte che parla con Latorre e con D’Alema che sono i suoi referenti al vertice dei DS anche se i DS in quel momento avevano come segretario Fassino.
Il povero Fassino, ricorderete, nelle telefonate fa la figura del pirla, la figura del cornuto, quello che è l’ultimo a sapere le cose. A Fassino lo avvertono a cose fatte perché dicono, tra sé e sé, tanto lui non capisce.
Invece quelli che stanno nel cuore dell’operazione, insieme a Consorte, sono Latorre e D’Alema.
Infatti spesso Latorre passa il telefono a D’Alema nella speranza che così D’Alema sia immune da intercettazioni, pensate che intelligenza.
Quello che dici viene impresso sia che parli su un telefono sia che parli su un altro! Il fatto, poi, che fosse intercettato il telefono di Consorte fa si che Latorre potesse cambiare tutti i telefoni di questo mondo ma intanto quello che diceva finiva sempre nell’intercettazione del telefono di Consorte.
Questi politici passano per dei geni e in realtà sono talmente stupidi che uno fatica a credere che siano così stupidi!
Pensate soltanto che quando D’Alema viene a scoprire, non si sa da chi, grazie a una fuga di notizie che nessuno ha mai chiarito, che ci sono i furbetti del quartierino e addirittura il governatore Fazio sotto intercettazione, si affretta ad avvertire Consorte di stare attento alle telefonate.
E come lo avverte? Telefonandogli sul telefono intercettato!
Uno dice: “cos’è, un idiota?” No, è il politico più intelligente che abbiamo, quindi figuratevi gli altri!
Siamo al 5 luglio 2005, Latorre chiama Consorte:
“Beh, dimmi tutto caro. Come stanno le cose?”
Consorte: “Stiamo così, Nicò: allora diciamo che domani è il giorno chiave, perché l’ingnegnere – cioè Caltagirone che aveva azioni BNL e che speravano si schierasse con UNIPOL – e i suoi accoliti si sono defilati e vogliono vendere.
Allora ci sono due problemi: il prezzo, gli abbiamo offerto 2.6 ad azione prendere o lasciare…”
Latorre: “ma che prendete il 26% di BNL?”.
Consorte: “il 27%”. Aveva il 27% di BNL.
“Minchia!” dice Latorre.
A un certo punto Consorte dice: “comunque è una cosa che voglio parlare con te e Massimo – D’Alema – a parte.” Il problema adesso qual è?
Queste quote le devono comperare terzi, e già il 27% di BNL che Caltagirone vende mica se le prende Consorte, se no dovrebbe tirare fuori i soldi e non li ha.
E allora Latorre dice: “beh certo, non le potete prendere voi”. Mica potete fare le cose regolari, dice giustamente Latorre… con quella faccia.
Consorte risponde: “esatto!”. Chi è che compra per conto di Consorte? Le banche e le cooperative, quindi “io ho un problema di gara contro il tempo perché sto convincendo questi qui, ma ognuno di loro ha un problema specifico.
Cioè bisogna parlare con le cooperative, e convincerle, e bisogna parlare con Caltagirone perché ci stia al prezzo pattuito.
E allora Latorre dice: “ma che, devo far fare una telefonata a Massimo all’ingegnere?”. Cioè deve far chiamare D’Alema a Caltagirone? Perché se Caltagirone lo chiama D’Alema… e beh, Caltagirone, palazzinaro, editore…
Consorte: “e guarda… ci ho riflettuto, per quello ho chiamato. Mi devi tempo, Nicola, fino a domani pomeriggio… è meglio che Massimo fa una telefonata”.
Perché? Perché a questo punto se le cose non vengono fatte si sa per colpa di chi.
Poi noi non sappiamo se venga fatta la telefonata, è probabile che non venga fatta anche perché poi Caltagirone, ben conoscendo chi c’è dietro a Consorte, alla fine fa quello che gli dicono e che gli viene suggerito dal clima generale.
Tenete presente che siamo a pochi mesi dalla vittoria del centrosinistra, comunque la finanza aveva tutto l’interesse a favorire un gruppo come l’UNIPOL, così vicino ai DS.
A questo punto, passano alcuni giorni, e c’è un altro problema. Il 14 luglio del 2005, D’Alema parla con Consorte, sul telefono suo direttamente.
Lo chiama alle 9.46 per avvertirlo di aver parlato con Vito Bonsignore, che è un altro azionista della BNL, un europarlamentare dell’UDC, pregiudicato per corruzione – naturalmente, se no non stava in quel partito.
I due si sono parlati al Parlamento europeo, sono entrambi parlamentari europei: uno sta nell’UDC, l’altro nei DS. Uno gruppo popolari europei, l’altro gruppo socialista europeo. In teoria sarebbero su due fronti contrapposti, ma si ritrovano amorevolmente per parlare d’affari.
Perché? Perché l’UNIPOL ha bisogno che anche Bonsignore porti le sue quote in alleanza con Consorte onde evitare che si schieri con gli spagnoli del Bilbao, se no fuggirebbe una quota d’azioni.
E chi va a parlare con Bonsignore? Non ci va Consorte, ci va D’Alema e poi telefona a Consorte per dargli notizia di com’è andato il colloquio.
Dice: “parlo con l’uomo del momento?”
Consorte: “l’uomo del momento? Lo sfigato del momento!”
D’Alema: “a che punto siete?… no ma non mi dire nulla… no ti volevo dire una cosa…”
Consorte: “è tutto chiuso…”
D’Alema: “è venuto a trovarmi Bonsignore”
Consorte: “si, ci ho parlato ieri”
D’Alema: “che da un consiglio”
Consorte: “si, se rimanere dentro o vendere tutto.”
Il problema è che Bonsignore chiede “volete comprarle, le mie azioni, o volete che me le tenga e resti alleato occultamente con voi?”
E’ proprio quello che vuole Consorte: non le vuole comprare, le azioni, vuole mettere insieme a tante pulci anche Bonsignore col suo pacchetto in tasca.
Dice D’Alema: “voleva sapere se io gli chiedevo di fare quello che tu gli hai chiesto di fare…”
Cioè: è D’Alema che mi chiede questa cosa o solo Consorte?
Risponde Consorte: “ah ah!”
D’Alema: “Bonsignore voleva altre cose, diciamo…”
Consorte: “eh, immaginavo, non era disinteressato”.
D’Alema: “voleva altre cose a latere su un tavolo politico. Ti volevo informare che io ho regolato, da parte mia”.
Cioè io il favore politico gliel’ho fatto.
D’Alema prosegue: “lui mi ha detto che resta, ha detto che resta – cioè resta col pacchetto in mano, alleato dell’UNIPOL – è disposto a concordare con voi un anno, due anni – se le tiene lì un anno, due anni per fare da prestanome a Consorte – il tempo che vi serve”
Tanto D’Alema ha già fatto il favore politico in cambio.
Consorte: “sì sì, ma lì…”
D’Alema dice: “ehi Gianni, andiamo al sodo: se vi serve resta”
Consorte: “sì sì sì sì”. E basta.
D’Alema: “e poi noi non ci siamo parlati, eh!”
Consorte: “no, assolutamente. Lunedì lanciamo l’OPA. Abbiamo finito”.
Ecco, questi hanno già il controllo della banca e invece di lanciarla prima, la lanciano dopo. Quindi Consorte conclude confessando il suo aggiotaggio, cioè la sua truffa ai danni del mercato borsistico.
D’Alema, ovviamente, non fa una piega come non fa una piega Latorre nel sapere che questi le quote le fanno comprare da società bancarie e finanziarie anziché in proprio.
Ultima telefonata, che da il peso e il respiro politico del grande statista Latorre, è la telefonata che Latorre fa con Stefano Ricucci.
Sì, perché Latorre parlava anche con Stefano Ricucci mentre questo faceva la scalata al Corriere della Sera.
Questa è una telefonata del 18 luglio. Mentre Fassino telefona a Consorte dicendo: “allora, siamo padroni di una banca!”, la famosa telefonata che lo ha sputtanato in piena campagna elettorale, pubblicata dal Giornale di Berlusconi, Latorre chiama Ricucci.
Ricucci ha pure fatto un grosso favore a Consorte, rilevando le quote nella BNL di Caltagirone e alleandosi con UNIPOL. Si sente quasi un diessino ad honorem, e lo dice a Latorre.
I due sono amiconi, affettuosissimi, come se fossero Berlinguer e Natta. Dato che le nuove generazioni sono questa farsa che abbiamo visto, qui invece di Berlinguer e Natta abbiamo Latorre e Ricucci.
Dice Latorre: “Stefano!”
Ricucci: “Eccolo, il compagno Ricucci all’appello!”. Avrà avuto anche il pugno alzato, probabilmente.
Latorre: “ah ah!”
Ricucci: “Ormai questa mattina a Consorte gliel’ho detto eh: datemi una tessera – dei DS – perché io non ce la faccio più!”
Vedete che continua questa commistione: Ricucci telefona a Consorte per chiedergli una tessera dei DS, come se Consorte fosse il leader dei DS. E’ la stessa confusione che aveva in testa Fassino quando diceva: “siamo padroni di una banca, anzi siete padroni di una banca”.
Non capiva bene dove finivano i DS e cominciava l’UNIPOL, eppure uno è un partito e l’altro un’assicurazione. Pensate che roba.
“questa mattina a Consorte gliel’ho detto eh: datemi una tessera – dei DS – perché io non ce la faccio più!”.
Latorre: “Ma ormai sei diventato un pericoloso sovversivo”
Ricucci: “eh si eh!”
Latorre: “Un pericoloso sovversivo rosso, oltretutto!”
Ricucci: “c’è anche il bollino, stamattina: ho preso da UNIPOL tutto, ho messo tutto a posto, abbiamo fatto tutte le operazioni con UNIPOL quindi… non ti posso dire niente eh…”
Come dire “adesso mi dovete eterna gratitudine”.
Latorre: “si si si… non possiamo… dobbiamo parlarci un po’”.
Queste sono le telefonate che danno l’idea di come è ridotta la nostra politica, di come è succube della finanza, di come questi vengono portati al guinzaglio dai finanzieri, anche da strapazzo come quelli che abbiamo visto qui all’opera, senza un minimo di autonomia.
Poi parlano di autonomia della politica, di primato della politica. Ma quale primato? Qui i testi li scrivono Consorte e Ricucci e al massimo le musiche le fanno scrivere a D’Alema, Fassino e Latorre.
Penalmente parlando, di queste vicende non si potrà praticamente parlare perché il Senato continua a non rispondere alla Procura di Milano che vuole usare le telefonate per valutare se Latorre abbia concorso nell’aggiotaggio contestato a Consorte e recentemente il Parlamento Europeo ha risposto no alla richiesta della Procura di Milano di usare le telefonate per vedere se c’era un concorso di D’Alema nel reato di aggiotaggio contestato a Consorte.
Ma dal punto di vista politico, queste cose dovrebbero essere valutate e bisognerebbe valutare anche quel “no” del Parlamento Europeo.
Il Parlamento Europeo è stato intortato dalla commissione giuridica presieduta da Peppino Gargani di Forza Italia, tant’è che ha risposto dicendo: “ma non esiste più l’autorizzazione a procedere contro i parlamentari, perché ci chiedete l’autorizzazione a usare le telefonate? Usatele pure, tanto si possono processare i parlamentari in Italia dal 1993”.
Ecco, è evidente che qualcuno l’ha raccontata male questa cosa, ai parlamentari europei, li ha intortati. E chi può averli intortati, visto che il presidente della commissione è di Forza Italia e tutti hanno votato, Forza Italia, DS, Margherita, Lega Nord, UDC, a favore di D’Alema. Perfino Bonsignore, del resto abbiamo visto i rapporti che c’erano col favore politico a latere.
Nessuno ha avuto il coraggio di raccontare ai parlamentari europei che l’Aula di Bruxelles non era chiamata a dare l’autorizzazione a procedere contro D’Alema, ma all’uso delle telefonate.
L’Italia è un Paese talmente tragicomico da avere una legge, la legge Boato, fatta dalla sinistra e dalla destra insieme che stabilisce che se il magistrato intercetta un delinquente a colloquio con un parlamentare, per usare le telefonate a carico del parlamentare, anche se l’intercettato era il delinquente, bisogna chiedere il permesso al Parlamento.
Dato che D’Alema era al Parlamento Europeo hanno chiesto a lui che ha risposto: “ma noi non siamo chiamati a dare l’autorizzazione a procedere”.
Eh no! Siete chiamati a dare l’autorizzazione all’uso delle telefonate. Il fatto è che hanno risposto alla domanda “che ore sono?”, “giovedì”.
Con la risposta “giovedì”, i magistrati che vogliono sapere che ora è non possono saperlo, cioè non potranno usare queste telefonate.
Il fatto che in malafede parlamentari italiani di centrodestra e centrosinistra si siano intortati l’intero Parlamento, da l’idea di come siamo malmessi e soprattutto di come saremmo meglio messi se almeno queste persone che da tre anni si sa che cosa fanno con gli impicci finanziari fossero state mandate a casa.
Invece, se tutto va bene, Veltroni perde le elezioni europee e il PD se lo prendono D’Alema e Latorre.
Passate Parola”
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