di Francesca Flati – In ogni rivoluzione epocale, c’è chi abbraccia il futuro e chi cerca di fermarlo. È il caso della carne coltivata, innovazione che ci proietta in un mondo più giusto e più sano. Perché allora c’è chi non vuole proprio sentirne parlare? Che sia per pregiudizio o per meri interessi economici, è una posizione ingiustificata che danneggia l’Italia e gli italiani.
Vediamo perché.
La FAO stima che entro il 2050 le persone da nutrire supereranno i 9 miliardi e quindi la richiesta di carne raddoppierà, passando da 258 milioni di tonnellate del 2005/2007 a 455 milioni.
Greenpeace certifica che già oggi l’attuale sistema di produzione non è sostenibile: solo in Italia si consumano una volta e mezza le risorse naturali dei terreni agricoli. E la Commissione Europea rileva che l’81-86% delle emissioni totali di gas serra imputabili all’agricoltura derivano dal settore zootecnico.
Se aggiungiamo la sofferenza degli animali, la deforestazione, l’inquinamento e le enormi quantità di risorse necessarie per produrre carne, non ci sono più dubbi: dobbiamo cambiare immediatamente direzione.
Il tempo è scaduto.
Nel 2011, Tuomisto H. e de Mattos M. J. T., hanno dimostrato che se in Europa sostituissimo l’attuale produzione di carne definita “naturale”, con carne coltivata, i gas serra diminuirebbero del 78-96%, il consumo di suolo del 99%, il consumo di energia del 7-45% e il consumo di acqua del 82-96%.
Basti pensare che per produrre un chilo di carne bovina servono circa 15.000 litri di acqua e che un terzo del consumo di acqua nelle attività umane è impiegato per l’allevamento di animali da carne.
La produzione di carne coltivata, quindi, potrebbe essere la soluzione a tanti problemi del nostro tempo: cambiamenti climatici, salute pubblica, benessere degli animali.
Solo chi vuole polarizzare il dibattito politico e indurre diffidenza e paura, utilizza la definizione sprezzante di “carne sintetica”, in contrapposizione con l’aggettivo “naturale”.
Ma siamo sicuri di poter considerare “naturali” i capannoni sovraffollati o un grattacielio di 26 piani in cui gli animali subiscono ogni tipo di costrizione, maltrattamento e abuso? E’ naturale mutilare (senza anestesia) maiali e galline o gettare i pulcini vivi in un trituratore?
E non pensiate a pochi casi isolati, queste (e altre) pratiche sono all’ordine del giorno.
Negli anni, centinaia di investigazioni hanno svelato le atroci condizioni in cui vivono e muoiono gli animali allevati a scopo alimentare. Inchieste che hanno coinvolto tanto i grandi, quanto i piccoli produttori, in ogni Paese del mondo, Italia compresa. Anche Report ha mostrato al grande pubblico le condizioni in cui sono costretti a vivere polli, allevati in Italia, che vengono venduti come “biologici”.
E proprio i polli di razza broiler, a cui appartiene il 98% del pollo in vendita oggi, sono un esempio emblematico. Un ibrido selezionato geneticamente che cresce del 400% in più rispetto al suo predecessore naturale allevato nel 1950. In 45 giorni le parti più spendibili sul mercato (petto e cosce) diventano enormi, mentre gli organi interni e le ossa restano praticamente quelli di un pulcino. Per questo soffrono di problemi respiratori e cardiocircolatori, mentre le loro ossa si deformano e si fratturano.
L’Associazione Animal Equality ha dimostrato che questi polli sono letteralmente imprigionati nel loro corpo ed ha denunciato i 27 Stati membri presso la Commissione europea, per le violazioni della normativa UE sul benessere degli animali.
E’ “naturale” manipolare geneticamente una razza? Non prendiamoci in giro: questa è la vera produzione “Frankenstein”, di cui sono vittime anche maiali, tori e altri animali.
Carni e derivati, anche quelli definiti “eccellenze”, troppo spesso nascondono il brutale intervento dell’uomo su milioni di animali, considerati merce di poco conto da un’industria che non ha nulla di “tradizionale”.
Inoltre, allevare poche varietà genetiche e impiegare un ridotto numero di animali riproduttori, ne indebolisce il sistema immunitario, predisponendoli a contrarre e trasmettere malattie.
Già nel 2013 la FAO aveva evidenziato che «di tanto in tanto si verificano grandi epidemie, quando un agente patogeno esegue un salto di virulenza, sfugge ai vaccini utilizzati, acquisisce resistenza agli antibiotici, e viaggia lungo la catena alimentare».
È un serio pericolo per le persone, come mostrano i rapporti annuali sulle Zoonosi dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare. Infatti, il rischio di zoonosi, cioè di malattie trasmissibili dagli animali alle persone attraverso batteri o con l’assunzione di alimenti infetti, è fortemente aumentato e finora è stato contenuto solo attraverso un eccessivo uso di antibiotici.
Ma la salute pubblica è ulteriormente minacciata a causa del fenomeno dell’aumento dell’antibiotico resistenza.
Uno studio guidato da Jim O’Neill ha stimato che nel mondo, nel 2050, le infezioni batteriche causeranno circa 10 milioni di morti all’anno, superando di molto i decessi per tumore (8,2 milioni), diabete (1,5 milioni) o incidenti stradali (1,2 milioni), con una previsione di costi che supera i 100 trilioni di dollari.
Solo nel 2019 sono stati contati 4,95 milioni di decessi correlati con questo fenomeno, di cui 1,27 milioni direttamente causati da antibiotico resistenza.
In conclusione, la carne coltivata risulta più sana sia per gli umani che per l’ambiente. Eviterà uccisioni, sofferenze e inutili agonie a miliardi di animali in tutto il mondo. Garantirà un sistema produttivo meno inquinante, estremamente più efficiente e più sostenibile di quello attuale. Favorirà l’ambiente, salvaguardando biodiversità e specie in via di estinzione. Permetterà all’uomo di liberarsi dall’assunzione indiretta di antibiotici ed essendo prodotta in un ambiente sterile, ridurrà la possibilità di esposizione ad agenti patogeni. Consentirà di affrontare il problema della denutrizione, visto che da un solo grammo di cellule si possono produrre 10.000 grammi di carne in 6 settimane. Inoltre, gli studi condotti finora hanno dimostrato che è un alimento sicuro. Deriva, infatti, da tecniche di biologia cellulare già conosciute e applicate da tempo.
È quindi incredibile che l’attuale governo abbia voluto un decreto per impedirne la produzione e l’immissione sul mercato. Tanto più che la libera circolazione delle merci è una libertà fondamentale per il mercato interno europeo. Quindi, l’unica conseguenza sarà quella di impedire alle aziende italiane di competere in un settore in forte espansione: un vero danno per la nostra economia.
La Food and Drug Administration, infatti, ha già dato il secondo via libera alla carne coltivata in USA, mentre a Singapore è già possibile mangiarla. Ed è molto probabile che anche i pareri scientifici dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare saranno positivi. Di conseguenza, la carne coltivata arriverà anche sul mercato italiano. E allora, oltre che antiscientifica, in contrasto con l’ambiente e crudele nei confronti degli animali, quella del Governo è una scelta decisamente lontana dalla retorica del “Made in Italy” con cui si fa scudo.
Pur volendo non c’è scampo alla carne coltivata. E per fortuna!
E’ arrivato il momento di riconoscere che gli animali sono esseri senzienti. E se finora sono stati il nostro cibo, è tempo di re-immaginare il nostro futuro, rispettando il loro, e ridisegnare i processi produttivi del cibo di origine animale.
L’AUTORE
Francesca Flati – Laurea in Ingegneria Gestionale. Per molti anni si è occupata di Digital Marketing. E’ stata portavoce nazionale del M5S. Considera indispensabile il rispetto dei diritti di ogni essere vivente e per questo collabora con diverse associazioni per tutelare quelli degli animali. Appassionata di musica e in particolar modo di hard rock anni ‘80.