di Gianluca Riccio – Ricordate quando i programmatori erano considerati intoccabili nel mondo del lavoro? A quanto pare i tempi stanno cambiando velocemente. Aziende Big Tech come Meta, Microsoft, Salesforce ed altre hanno recentemente tagliato decine di migliaia di posti di lavoro, e a tanti non è sfuggita la concomitanza con l’arrivo dell’intelligenza artificiale (AI).
In altri termini: la scelta delle Big Tech di licenziare e mandare a casa tutta questa gente è più figlia di una crisi contingente o di una pianificazione strategica?
Big Tech, una traiettoria chiara
La stima mette i brividi: da inizio 2022 nel settore tecnologico si contano più di 280.000 lavoratori licenziati. A questo si aggiunge un calo del 50% degli annunci di lavoro per sviluppatori software rispetto all’anno precedente. Ma cosa c’entra l’AI con tutto questo?
Secondo una nota degli analisti di Morgan Stanley guidati da Brian Nowak, l’AI sta diventando un importante fattore di produttività nel settore tecnologico. Strumenti come GitHub Copilot di Microsoft sono in grado di aumentare la produttività degli ingegneri del 55%, mentre altri software basati sull’intelligenza artificiale riducono la necessità di grandi squadre di venditori.
E i programmatori? Big Tech tra “efficienza” e automazione
Le aziende Big Tech non stanno solo contraendosi: stanno, scientemente, tagliando posti di lavoro anche per puntare sull’automazione. Urs Hölzle, responsabile dell’ingegneria di Google, ha dichiarato che l’azienda la userà per trovare modi “più efficienti” di lavorare.
Stesso refrain anche da Meta, che ha imposto un blocco delle assunzioni negli ultimi sei mesi. La responsabile del settore finanziario dell’azienda, Susan Li, ripete il mantra del suo capo Mark Zuckerberg: questo è “l’anno dell’efficienza”. Che a questo punto suona come “possiamo fare le stesse cose, o anche più cose, pagando meno gente”. O molta meno.
Cosa significa tutto questo per il settore tecnologico?
Significa che, se da un lato l’AI può portare a un aumento dell’efficienza e della produttività, dall’altro riduce la necessità di nuove assunzioni. La prima “scure” di licenziamenti nelle aziende Big Tech ha riguardato Data entry, traduttori e assistenza ai clienti: un’ecatombe “sincronizzata” che già suonava come uno snellimento voluto, e non una necessità.
Ora siamo già alla fase in cui i programmatori, un tempo considerati al sicuro, potrebbero trovarsi a dover affrontare una nuova realtà. Poi sarà il turno di altri lavori, anche dei “colletti bianchi”, che ora sembrano intoccabili.
Alcuni esperti, come la giornalista Aki Ito, ipotizzano addirittura “la fine della programmazione come la conosciamo”. Di certo l’AI non eliminerà del tutto la necessità di lavoratori umani nel settore tech, ma rallenterà, o perfino fermerà del tutto la crescita degli impiegati. In altri termini: probabilmente i posti tagliati da questa ondata di licenziamenti non torneranno più.
Il futuro è incerto, ma non tutto è perduto
Nonostante le preoccupazioni legate all’impatto dell’AI sul mondo del lavoro, è importante ricordare che l’innovazione porta anche nuove opportunità. Per dei settori che abbandonano il lavoro umano emergeranno nuovi settori e nuovi posti di lavoro. Qualche irriducibile ottimista azzarda perfino un aumento generale degli occupati nel breve-medio periodo, e chi saprà adattarsi o acquisire competenze legate all’intelligenza artificiale (a partire dal “banale” prompt engineering) potrà cogliere queste occasioni.
In definitiva, l’arrivo dell’intelligenza artificiale nel settore Big Tech è un cambiamento epocale che solo il tempo potrà quantificare. Una cosa però sembra certa: le figure “tagliate” in questi mesi non saranno ripristinate.
L’AUTORE
Gianluca Riccio, classe 1975, è direttore creativo di un’agenzia pubblicitaria, copywriter, giornalista e divulgatore. Fa parte della World Future Society, associazione internazionale di futurologia e di H+, Network dei Transumanisti Italiani. Dal 2006 dirige Futuroprossimo.it, una risorsa italiana sul futuro.