
Nel 1935, Wallace Carothers, un chimico della DuPont, inventò il nylon. Un materiale rivoluzionario: leggero, resistente, elastico. La prima applicazione? Le setole degli spazzolini da denti. Poi arrivarono le calze da donna, gli indumenti sportivi, le corde per strumenti musicali, il settore automobilistico, le reti da pesca. Oggi il nylon è ovunque: nei vestiti, negli zaini, nei tappeti, nelle cinture di sicurezza. E anche negli oceani, nei terreni e nei polmoni della fauna marina.
La produzione globale di plastica ha superato i 400 milioni di tonnellate all’anno. Il nylon, tra i polimeri più diffusi, pesa per circa 10 milioni di tonnellate. La cosa drammatica? Meno del 5% viene riciclato. Per le fibre tessili in nylon si scende sotto il 2%. La maggior parte finisce in discarica o bruciata negli inceneritori, con emissioni di CO2 e inquinamento atmosferico.
Il problema del riciclo del nylon è che la sua struttura molecolare complessa lo rende difficile da scomporre. Il riciclo meccanico ne degrada la qualità e richiede materie prime pure. Il riciclo chimico, che dovrebbe essere la soluzione, genera una miscela di monomeri e oligomeri difficili da separare. Serve energia, costa troppo, non conviene.
Ma qualcosa sta cambiando. Un gruppo di ricercatori ha trovato il modo di combinare la degradazione chimica con l’upcycling biologico, cioè la trasformazione del nylon in nuove materie prime utilizzabili. Hanno usato Pseudomonas putida KT2440, un batterio ingegnerizzato capace di metabolizzare i monomeri del nylon 6 (PA6), ovvero 6-aminoesanoico (Ahx), ε-caprolattame e 1,6-esametilendiammina (HMDA).
Per arrivare a questo risultato, gli scienziati hanno usato l’evoluzione adattativa in laboratorio. Hanno selezionato mutazioni genetiche che hanno permesso al batterio di utilizzare il nylon come fonte di carbonio e azoto. In seguito, hanno inserito geni codificanti per nylonasi (enzimi capaci di degradare gli oligomeri del nylon) e il batterio è riuscito a metabolizzare anche le strutture più complesse.
Cosa significa? Che il nylon non sarebbe più un materiale senza futuro. Il processo sviluppato consente di trasformare i residui di nylon in poliidrossibutirrato (PHB), un biopolimero biodegradabile usato come alternativa alle plastiche tradizionali. In laboratorio, il batterio ha convertito il 7-13% del nylon ingerito in PHB. Non è ancora un’efficienza industriale, ma è la prova che si può fare.
Se questa tecnologia fosse sviluppata su scala, si potrebbe creare un ciclo chiuso: nylon di scarto trasformato in nuovi materiali biodegradabili senza bisogno di separare i vari componenti. Una soluzione che non solo ridurrebbe i rifiuti plastici, ma permetterebbe anche di evitare l’uso di petrolio per produrre nuove plastiche.
I numeri sono chiari. Il 73% dei rifiuti in mare sono plastiche, e una grande percentuale viene dal settore tessile e della pesca. Ogni anno, più di 640.000 tonnellate di reti da pesca vengono abbandonate negli oceani, contribuendo all’inquinamento marino. Con una tecnologia simile, queste reti potrebbero diventare nuove bioplastiche invece di uccidere tartarughe e delfini.
L’industria tessile, una delle più inquinanti al mondo, potrebbe integrare questa scoperta nei processi produttivi. Il riciclo del nylon oggi esiste, ma è limitato a prodotti come Econyl, che recupera il nylon dagli scarti industriali. Tuttavia, il processo è costoso e richiede nylon relativamente puro. La scoperta di Pseudomonas putida potrebbe invece consentire di trattare anche scarti misti e difficili da riciclare, senza bisogno di purificarli prima.
Ovviamente ci sono ancora ostacoli. Il processo chimico iniziale richiede energia e materiali, e le prestazioni del batterio devono essere migliorate. Ma questa ricerca dimostra che il nylon non è destinato a essere un rifiuto eterno. Se adottata su larga scala, questa tecnologia potrebbe trasformare uno dei materiali più longevi e problematici della nostra epoca in una risorsa circolare.
Il nylon non è solo un’invenzione del secolo scorso, ma anche un simbolo della nostra dipendenza dalla plastica. E ora, forse, abbiamo trovato il modo di chiudere il cerchio.