di Igor G. Cantalini – Dopo Egitto ed Emirati Arabi, paesi la cui economia è basata sullo sfruttamento dei combustibili fossili, anche la 29ª edizione della Conference Of Parties (COP), che riunisce ogni anno i paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, ha luogo in un altro paese che ha nel gas e nel petrolio la base della propria economia, l’Azerbaijan, nella capitale Baku. Si potrebbe pensare che scegliere per la COP dei paesi petroliferi possa servire per portarli a un impegno maggiore verso politiche con meno fossili, ma non è realistico. Lo stesso presidente azero, Ilham Aliyev, ha dichiarato, nel discorso di apertura della COP29, che per il suo paese il petrolio e il gas sono un dono di Dio. E come poteva essere altrimenti, con gas e petrolio che costituiscono il 40% del PIL nazionale e il 90% dei proventi totali delle esportazioni? (All’Italia va il 57% del petrolio azero e il 20% del gas).
Non c’è da scandalizzarsi, perché l’Azerbaijan, come pure tutti gli altri paesi produttori di gas e petrolio, estraggono finché c’è chi compra, come noi europei. Qualche perplessità sorge nel momento in cui si viene a sapere che l’incremento promesso alla Ursula von der Leyen, da 8 miliardi di metri cubi di gas esportati in Europa nel 2021 a 20 miliardi nel 2027 per affrancarsi dal gas russo, appare per alcuni esperti irrealizzabile: “Al massimo si arriverà a 15 miliardi di mc”, sosteneva Gubad Ibadoghlu, economista alla London Business School, azero, prima di essere arrestato. Si prevede che il gas mancante arriverà dal Turkmenistan e, ironia della sorte, dalla Russia.
Ulteriori perplessità dovrebbero nascere nel momento in cui si leggono notizie circa l’alto livello di inquinamento delle aree di estrazione, alcune delle quali già nei dintorni di Baku, con impatti pesanti sull’ambiente e, di conseguenza, sulla salute delle persone e degli animali.
Ma, come si dice: “occhio non vede…”
È una situazione comune a tutti i paesi estrattori di combustibili fossili, che è utile ricordare per capire che il problema del cambiamento climatico è sicuramente grave e urgente, ma è proprio nei paesi estrattori che si pagano i prezzi più cari: malattie da inquinamento proprio per la presenza dei giacimenti, disparità economiche abissali (le ricchezze del petrolio e del gas non vengono di certo correttamente distribuite), regimi dittatoriali. E pure questi paesi soffrono il surriscaldamento globale, causato dalla stessa fonte della loro ricchezza: in Azerbaijan il Mar Caspio si abbassa di 6-7 centimetri all’anno ed è pescabile 25-30 km dalla costa, quando pochi anni fa bastava allontanarsi di 2-3 km.
Insomma, si fatica a capire la ratio della scelta, per il terzo anno consecutivo, di un paese estrattore di combustibili fossili, se non che sono paesi che da un lato dispongono della forza finanziaria necessaria per sostenere parte delle spese organizzative (l’ONU contribuisce, ma una parte consistente rimane in capo al paese ospitante) e dall’altro desiderano mostrarsi sia per una comprensibile promozione turistica sia per compensare in qualche modo un’immagine segnata inevitabilmente dagli sporchi gas e petrolio su cui basano la loro economia.
Venendo alla COP a Baku, visitando gli stand dei tanti paesi presenti e incontrando persone di tutto il mondo è risultato evidente un mondo diviso in due: da un lato i Paesi delle economie sviluppate, che “governano” le politiche per il clima e che continuano ad alimentare la domanda per i combustibili fossili, e i paesi produttori di petrolio e gas, che continuano a produrre incrementando ricchezze e diseguaglianze, dall’altro i paesi che subiscono questo modello e pagano gli effetti del cambiamento climatico.
A proposito di clima, camminando tra i corridoi dell’area espositiva si respirava uno strano clima: da una parte freddi e tristi stand dei paesi “sviluppati” e dall’altra stand più colorati e vivaci di tanti paesi in via di sviluppo. Come se i secondi (i poveri) dovessero in qualche modo attirare le attenzioni dei primi (i ricchi). E così non poteva che essere, visto che l’obiettivo principale della conferenza è proprio la rinegoziazione di un nuovo obiettivo di finanza per il clima, il “New Collective Quantified Goal”: si dovrebbe aumentare il fondo per i paesi in via di sviluppo, che attualmente è pari a 100 miliardi di dollari (meno di un terzo dei soldi che ha sul conto il finanziere Warren Buffet). Si parla di triplicarlo e che diventino soprattutto contributi a fondo perduto piuttosto che finanziamenti.
L’anno prossimo dovranno essere decisi i Contributi Determinati a livello Nazionale (Nationally Determined Contributions), vale a dire gli impegni, ahinoi non vincolanti, assunti dai governi per contrastare il cambiamento climatico.
Come ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, nel sollecitare i leader a finanziare adeguatamente la lotta al cambiamento climatico, “o si paga ora o pagherà l’umanità”.
Interessante l’analisi dei lobbisti presenti alla COP fatta da Kick Big Polluters Out. Cosa è emerso? Che sono 1.773 i lobbisti dei combustibili fossili accreditati alla COP29, quasi tutti uomini e in numero maggiore dei membri delle delegazioni dei dieci Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico messi insieme. Se fossero un paese, sarebbero il quarto paese più rappresentato, in quanto a pass accreditati. Non mancano anche le nostre aziende fossili, tra cui Eni e Snam.
Nnimmo Bassey, membro di Kick Big Polluters Out , sostiene che “l’influenza dei lobbisti dei combustibili fossili nei negoziati climatici è come un serpente velenoso che stringe il futuro del nostro pianeta, È ora di smascherare il loro inganno, rimuovere la loro influenza e costringerli a pagare per i danni inflitti al pianeta. È il momento di dare priorità alle voci di chi lotta per la giustizia e la sostenibilità, non agli interessi degli inquinatori”.
Voce di uno che grida nel deserto…
Il “Fossil of the day Awards”, premio del CAN (Climate Action Network) assegnato ai paesi che are “doing the most to achieve the least” e “doing their best to be the worst” in termini di progresso nelle negoziazioni climatiche e di azione climatica, ha visto come aggiudicatario i paesi del G7.
Interessante un poster affisso nello stand dell’OPEC (ebbene sì, alla conferenza del clima l’OPEC fa sentire la sua voce).
I 4 messaggi chiave sono: Mitigation, Finance, Adaptation, Collaboration.
Quell’Adaptation fa sentire un brivido che parte dalle prime vertebre cervicali e scende giù fino al coccige, per trovare la sua dimora finale un poco più in basso. Per la serie: “Abituati ai guai causati dal clima che noi dobbiamo continuare a macinar soldi”.
Venendo alle discussioni in corso, si sta negoziando il Programma di Lavoro sulla Mitigazione (MWP, Mitigation Work Programme): positivo il testo prodotto che introduce per la prima volta l’elettrificazione dei consumi tra gli obiettivi da considerare. Paesi come l’Arabia Saudita hanno però rifiutato questo approccio e hanno chiesto di preparare un’altra nota informale.
Sono stati anche proposti nuovi obiettivi per batterie e reti. Si tratta del cosiddetto “Impegno Globale per favorire lo Stoccaggio dell’energia e lo sviluppo delle Reti” (Global Energy Storage and Grids Pledge). L’impegno mira ad aumentare considerevolmente la capacità di stoccaggio dell’energia a livello mondiale entro il 2030. Per migliorare le reti energetiche, i sottoscrittori si impegneranno anche a potenziare la capacità delle reti attraverso un obiettivo globale di aggiunta o ristrutturazione di 25 milioni di km di reti entro il 2030, riconoscendo l’analisi dell’AIE sulla necessità di aggiungere o ristrutturare altri 65 milioni di km entro il 2040 per allinearsi agli obiettivi Net zero 2050.
Servono 6.500 miliardi di dollari all’anno in media fino al 2030 per raggiungere gli obiettivi climatici globali.
Di questa cifra, 1.300 miliardi servono per i paesi emergenti e in via di sviluppo diversi dalla Cina. È quanto si legge nel terzo rapporto del “Gruppo di esperti indipendenti di alto livello sulla finanza climatica”, presentato alla Cop29 di Baku nella giornata dedicata a finanza, investimenti e commercio.
Il maggior aumento degli investimenti, secondo il rapporto, è richiesto nei paesi emergenti e in via di sviluppo diversi dalla Cina. Queste regioni oggi hanno bassi livelli di investimenti e significative esigenze di sviluppo, e sono proiettati a contribuire per oltre il 50% alle emissioni globali nel 2030. “Meno il mondo ottiene ora – commentano gli esperti – e più avremo bisogno di investire dopo”.
Risparmi energetici e rinnovabili rimangono la sola vera soluzione. Immagini di impianti eolici e fotovoltaici apparivano in tutti gli stand, anche in quelli dei paesi produttori di gas e petrolio, tutti impegnati a coprire quote crescenti e sempre più significative dei propri consumi con le rinnovabili grazie a sfidanti programmi di diffusione di eolico e fotovoltaico. Motivi: 1) immagine; 2) è più redditizio vendere petrolio e gas piuttosto che consumarli… Un po’ come fa già da anni la Norvegia.
Per i paesi in via di sviluppo, un passaggio sempre più rapido e consistente alle rinnovabili rappresenta invece una soluzione reale e immediatamente disponibile per affrancarsi dalle fonti fossili, costose e inquinanti a livelli ben superiori di quanto non inquinino nei paesi industrializzati.
Da evidenziare, nello stand dell’Ucraina, l’esposizione di un modulo fotovoltaico danneggiato dai bombardamenti russi, con una scritta a lato che recitava: “L’energia solare ha dimostrato la sua resilienza, persino al fronte. Questo pannello proveniente dalla regione di Mykolaiv, è stato danneggiato dai missili russi, ma sostituito in un solo giorno”.
La forza del fotovoltaico, la fonte di energia più diffusa che possa esserci: non solo è ormai la tecnologia di produzione di energia economicamente più conveniente e che libera dalla dipendenza dalle fonti fossili e dai paesi che le producono, ma è anche la miglior garanzia di resistenza energetica in caso di conflitto. Non è roba da poco.
Da noi, e non solo, invece si insiste a parlare di nucleare… Oltre al rischio che una centrale diventi un obiettivo per dei missili o degli attentati (figuriamoci in caso di una molteplicità di Small Modular Reactor sparsi per il paese), cosa potrebbe succedere in un paese come il nostro in cui addirittura i server del Ministero dell’Interno vengono hackerati, visto e considerato che è noto che ormai tutto, centrali nucleari incluse, dipende da computer e software?
In questo contesto come si pone l’Italia: dal punto di vista dell’immagine il nostro stand di certo non brillava. Non si notavano particolari differenze tra quello dell’Italia e quello dello Zambia.
Andando invece alla sostanza? La presidente Meloni è arrivata mercoledì 13 e nel suo discorso ha detto: “Abbiamo bisogno di un mix energetico equilibrato per migliorare il processo di transizione. Dobbiamo utilizzare tutte le tecnologie a disposizione. Non solo rinnovabili, ma anche gas, biocarburanti, idrogeno, cattura della CO2 e, in futuro, il nucleare da fusione che potrebbe produrre energia pulita, sicura e illimitata.”
“… è prioritario che il processo di decarbonizzazione prenda in considerazione la sostenibilità dei nostri sistemi produttivi e sociali. La natura va difesa con l’uomo al centro. Un approccio troppo ideologico e non pragmatico su questo tema rischia di portarci fuori strada verso il successo. La strada giusta è quella della neutralità tecnologica, perché attualmente non esiste un’unica alternativa all’approvvigionamento da fonti fossili.”
Due problemi:
- sono parole contrastanti con l’accordo della COP28 di Dubai, quando tutti i paesi, Italia inclusa, hanno condiviso la decisione di avviare un percorso di abbandono delle fonti fossili, gas incluso, mentre un ruolo marginale era stato riconosciuto alle altre tecnologie (nucleare, biocarburanti, CCS);
- ancora una volta si parla di approccio ideologico riferendosi, è chiaro e noto, a quei sognatori che pensano di risolvere i problemi solo con le rinnovabili. Chi è più sognatore? Chi sostiene tecnologie immediatamente disponibili e già oggi più convenienti rispetto a tutte le altre (fossili e nucleare incluse) o chi continua a parlare, ormai in modo quasi ossessivo, di un nucleare che non esiste (sia che si parli di fusione che di SMR, Small Module Reactor) e che, se mai arriveranno, avranno costi tali da dover richiedere, come in Francia e in tutti i paesi in cui il nucleare è sfruttato, continui e imponenti sussidi statali per garantire prezzi dell’energia convenienti? Curioso, per non dire imbarazzante, che Confindustria pure insista sul nucleare, noncurante dell’urgenza dei suoi iscritti di risparmiare davvero e urgentemente sulle bollette, ottenibile solo con un’ampia diffusione del fotovoltaico sui tetti e a terra (terreni non coltivabili, terreni non coltivati che tornano a essere coltivati grazie all’agrivoltaico, terreni vicini alle aree industriali da considerare come un’estensione dei tetti, spesso non sufficienti a coprire i fabbisogni energetici delle imprese), con una particolare attenzione allo sviluppo delle CER (Comunità Energetiche Rinnovabili).
Insomma, un bel passo indietro da parte del nostro paese.
La sensazione finale, lasciando Baku, è che le COP riflettono l’atteggiamento del mondo verso i cambiamenti climatici: i paesi più poveri che protestano (soprattutto tramite le ONG locali più che i loro governi, spesso “distratti” dai petrodollari) per i disastri climatici causati dall’inarrestabile corsa dei paesi “ricchi” o “sviluppati” e dei paesi produttori di gas e petrolio per ottenere sempre più potere e denaro. Alla fine, si casca sempre lì…
Forse, per salvare il pianeta, anzi, l’uomo (il pianeta può andare tranquillamente avanti anche senza l’uomo), varrebbe la pena valutare un meccanismo diverso, più efficace delle lenti e costose COP.
L’AUTORE
Igor G. Cantalini – Esperto di comunicazione e marketing digitale. Laureato in Scienze della Comunicazione, ha lavorato con brand di fama nazionale e internazionale, specializzandosi successivamente in Intelligenza Artificiale e approfondendo i suoi studi in ambiti che vanno dalle energie rinnovabili alla mobilità. Scrittore e divulgatore, pubblica articoli su vari temi.