di Marco Bella – Non voglio parlare di Chernobyl e Fukushima. Voglio riflettere su cosa significherebbe realisticamente riavviare oggi un programma nucleare in Italia. Non nel resto del mondo, perché ogni paese è unico.
Ogni tecnologia ha costi e benefici. I fan del nucleare tendono a enfatizzare i benefici, dimenticandosi dei costi mentre gli estremisti del no esagerano le paure delle persone per propagandare le proprie tesi.
L’unica certezza riguardo il nucleare è l’incertezza dei tempi e dei costi necessari per costruire nuove centrali.
Nel 2008 il governo Berlusconi IV e il Ministro Scajola decisero di ripartire con il nucleare. Enel investì 613 milioni nel progetto del nuovo reattore EPR (European Pressurized Reactor) di Flamanville, Normandia. Anche grazie al referendum del 2011 il contratto fu rescisso e i soldi recuperati.
A distanza di ulteriori dodici anni, il terzo reattore di Flamanville (la cui costruzione iniziò nel 2007) non è stato ancora completato a causa di una catena di ritardi. Si parla del 2024 come data possibile. Tutto questo è accaduto in Francia, un paese dove il nucleare è sostanzialmente accettato dalla popolazione, e in un sito dove erano già presenti già altri reattori. Pensate che cosa potrebbe avvenire in Italia, dove da dieci anni si cerca ancora un posto disponibile ad accogliere il deposito nazionale di scorie radioattive.
Secondo Le Monde, i costi totali sostenuti dalla società a maggioranza pubblica EDF per la costruzione di questo reattore potrebbero arrivare a 19.1 miliardi di euro. Per un singolo reattore, potente per carità (1.6 GW) ma sempre di uno solo si tratta.
Ma quello accaduto in Francia non è un caso isolato: anche il reattore Olkiluoto-3 in Finlandia di ritardi ne ha avuti parecchi. Dopo la decisione di realizzazione (nel 2000), la costruzione è iniziata solo nel 2005, e l’allacciamento alla rete è avvenuto solo il 12 marzo 2022. Tuttavia, solo due mesi dopo (maggio 2022) è stato trovato materiale estraneo in una turbina, e il reattore è stato spento fino al 30 settembre. A ottobre, sono stati riscontrati ulteriori problemi che hanno richiesto un nuovo stop. La produzione regolare di energia non dovrebbe iniziare prima di marzo 2023.
Nel frattempo, anche qui i costi si sono triplicati rispetto alle stime iniziali, arrivando a un totale di circa 11 miliardi. Una serie di ritardi e aumenti di costi si è avuto anche per il reattore EPR di Hinkley Point C, nel Regno Unito, la cui costruzione è iniziata nel 2016 e il cui possibile completamento è stato spostato a non prima del 2027. Anche qui i costi totali sono stimati (al momento) sui 30 miliardi di euro per i due reattori.
Ma nell’Unione Europea non si costruiscono solo i reattori EPR: ci sono anche quelli di vecchia generazione di Mochovce (3 e 4), in Slovacchia. I cui lavori sono iniziati addirittura nel 1987 (millenovecentottantasette!). C’è stato un lungo stop e la costruzione è ripresa nel 2008. Il completamento potrebbe avvenire tra il 2023 e il 2025.
Riassumendo: in tutti i paesi dell’Unione Europea sono stati completati solo quattro reattori dal 2000: due in Repubblica Ceca, 2000 e 2002, uno in Romania (2007), e diamo per finito quello in Finlandia anche se è un anno che causa problemi. Sono in costruzione cinque reattori: i due in Slovacchia dal 1987, quello di Flamanville in Francia, e aggiungiamoci anche i due nel Regno Unito.
Quanto è realistico avviare un programma nucleare in Italia che potrebbe prevedere, ad esempio, la costruzione di 10-15 reattori, ovvero più della somma di tutti quelli che ha costruito e iniziato a costruire l’intera Unione Europea negli ultimi 20 anni?
Inoltre, se dovessimo raffrontare queste tempistiche in Italia, dovremmo considerare che oltre al periodo di costruzione andrebbero aggiunti anche diversi anni per individuare i siti, per il processo autorizzativo e per risolvere la questione, non da poco, del referendum. Dalla decisione alla produzione di energia passerebbero realisticamente non meno di 15-20 anni. Con costi che nel caso peggiore, ma tutt’altro irrealistico, (15 reattori per 19 miliardi l’uno se succedesse come a Flamanville) potrebbero arrivare a sfiorare i 300 miliardi, l’equivalente di 10 manovre economiche dedicate esclusivamente al nucleare.
Insomma, l’esperienza degli altri paesi europei ci suggerisce che dovremmo ringraziare i “quattro ambientalisti antiscienza” che bloccarono con il referendum il programma nucleare italiano nel 2011, altrimenti avremmo investito decine di miliardi senza aver prodotto nemmeno l’energia per accendere una lampadina. E con la spada di Damocle su tutto il programma di un nuovo referendum, sul quale ciascuno potrà avere la propria opinione, ma che è un’eventualità assolutamente possibile e concreta.
Qualcuno dirà: “ma in altri paesi, come la Cina…”. In Cina ci sono 55 reattori attivi, 18 in costruzione e in alcuni casi dalla posa della prima pietra alla produzione di energia sono passati solo cinque anni. La situazione in Cina non è però paragonabile ad altre nazioni europee o all’Italia. In ogni caso, negli ultimi 20 anni la produzione di energia elettrica da nucleare in Cina è passata dal 2 al 5% del totale, rimanendo comunque marginale.
Introdurre il nucleare in Italia avrebbe un impatto significativo sulle nostre emissioni di CO2, che, è bene ricordare, non derivano solo dalla produzione di elettricità? Nel 2021 l’Italia, senza centrali nucleari, ha prodotto 5.4 tonnellate di CO2 pro capite annue. In Francia questo valore è minore, ma è non poi tanto diverso (4.6 tonnellate annue pro capite, solo il 15% in meno) nonostante oltre il 70% dell’elettricità francese sia ottenuta tramite nucleare.
Quindi, anche se in Italia risolvessimo il problemi di costi, tempi e referendum non possiamo comunque aspettarci chissà quale decarbonizzazione. Dovremmo perciò chiederci se non ci siano modi più rapidi ed efficienti per investire le centinaia di miliardi necessari per arrivare (tra 20 anni se va bene) al livello di produzione di energia elettrica nucleare della Francia.
Ma che cosa “dice la scienza”? Si può rinunciare al nucleare in una nazione e decarbonizzare lo stesso? A parte che la questione riguarda più le scelte politiche che scientifiche, può essere d’aiuto questo interessante dibattito del 2019. Bernie Sanders ha affermato “gli scienziati ci dicono che si può raggiungere la neutralità climatica senza nucleare” e ha proposto di chiudere tutte le centrali atomiche negli Stati Uniti entro il 2050. Il suo opponente, il senatore democratico Cory Booker, ha invece sostenuto che questo non sarebbe stato possibile. Un sito americano ha chiesto a una serie di esperti energetici e climatici quale posizione fosse quella corretta. La risposta prevalente, anche da parte di chi è a favore del nucleare, è stata “a rigore quella di Sanders”, tuttavia, hanno anche osservato che anche Booker portava delle argomentazioni valide perché il costo della chiusura anticipata delle centrali americane sarebbe stato notevole.
Un conto è chiudere le centrale che non hanno terminato il loro ciclo produttivo, un altro invece è iniziare da zero un programma nucleare in un paese dove non c’è, come l’Italia, perché in questo caso la bilancia pende decisamente dalla parte di una decarbonizzazione senza ricorso al nucleare. Basti pensare che la IEA stessa nelle sue proiezioni al 2050, limita al 10% l’apporto nucleare nel mondo.
Ricordiamo che le emissioni di CO2 derivano dai consumi dei ricchi. Infatti, l’1% più ricco della popolazione è responsabile del 23% delle emissioni globali, più del doppio del 50% più povero che invece produce solo il 10% delle emissioni. Una politica di riduzione dei consumi tramite la leva fiscale potrebbe portare a vantaggi ben maggiori e in tempi decisamente ridotti.
Insomma, non ci sono evidenze scientifiche che oggi un ritorno al nucleare sia “indispensabile” o anche semplicemente conveniente per il nostro Paese.
Nel futuro nuove scoperte potrebbero modificare l’analisi costi-benefici perché non è un dogma di fede, come qualcuno crede, ma una tecnologia come le altre. Non serve parlare di Chernobyl o Fukushima per dire che sarebbe un errore introdurlo…
Ringrazio il prof. Livio de Santoli, Prorettore alla Sostenibilità di Sapienza, per i suoi suggerimenti.
L’AUTORE
Marco Bella – Già deputato, ricercatore in Chimica Organica. Dal 2005 svolge le due ricerche presso Sapienza Università di Roma, dal 2015 come Professore Associato.